Il robot selvaggio è un film per tutti. Veramente per tutti. Per questo va sostenuto

È raro vedere film come Il robot selvaggio che riescono a parlare ai bambini quanto agli adulti innovando anche il linguaggio visivo e il ritmo del racconto

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Chi ha visto Il gigante di ferro penserà a quello splendido film guardando Il robot selvaggio. I due hanno alcune cose da spartire, non troppe: sono entrambi tratti da un libro, hanno un robot come protagonista, affrontano il rapporto tra ecologia, pace e tecnologia come lo farebbe Miyazaki, mentre sono raccontati con l'adrenalina e il ritmo tipico del cinema americano. Non è per questo, però, che durante la visione del film di Chris Sanders si pensa a quello di Brad Bird. È perché chi ha amato Il gigante di ferro si porta dietro un rimpianto: non essere riuscito a impedire al film di essere uno dei flop più ingiusti di sempre. Nel 1999 non c’è stato spazio per il giusto passaparola che sostenesse un’opera promossa e posizionata male, portata in sala senza capire la sua vera qualità e senza crederci. Invece Il robot selvaggio è un Gigante di ferro che ce l’ha fatta e che ora può venire sostenuto proprio da coloro che nel 1999 non riuscirono a farlo per tempo. Oggi queste persone possono far conoscere un nuovo robot a una nuova generazione grazie a un film quasi altrettanto bello. 

I grandi numeri che Il robot selvaggio sta ottenendo al botteghino suonano come il riscatto di un’ingiustizia passata. Sembrano essere i biglietti staccati da chi ora è adulto, forse anche genitore, e i film con robot non li sottovaluta più. Perché Il gigante di ferro era un film che faceva le cose in maniera diversa, aveva il cuore di Spielberg e una storia matura, resa piacevole e comprensibile anche ad un pubblico più piccolo, grazie alla sapiente animazione. I disegni amplificavano le emozioni e l’importanza delle stesse, non le sminuivano, ma le rendevano comprensibili. L’amicizia tra un ragazzo e un “mostro” trovato nel bosco parlava su più livelli. Quello della lealtà, dell’essere buone persone ed eroi a modo proprio, per i piccoli. In realtà il cuore del film è il potere, la paura della debolezza, l’ingerenza dei governi e il senso di mistero cosmico, di fragilità rispetto alle meraviglie. Roba da adulti, ovviamente. 

Anche Il robot selvaggio fa le cose in maniera diversa e du due livelli. Lontano dalla struttura classica Pixar, alla poesia contrappone l’azione, così ben fatta da diventare a sua volta poetica. Se nell’animazione odierna a commuovere è di solito un momento di tenerezza, il superamento di una prova o la scoperta di una parte di sé, ne Il robot selvaggio la sequenza più commovente è fatta di allenamenti durissimi, di movimento, musica e colori. 

Una mamma robot in una società selvaggia

Rozzum 7134 è un(a) robot costruita per risolvere problemi e aiutare il suo padrone. Si ritrova, per via di un incidente, su un’isola popolata da animali di ogni specie. Il luogo è come un rifugio per specie in via d’estinzione. Il film non lo esplicita, ma lo possiamo intuire da come viene suggerito che vivano gli umani, in bellissime città isolate dal resto del mondo. È un cinema che racconta la natura e le migrazioni climatiche, un po’ come faceva Elemental: senza renderlo un tema ma inserendolo nel racconto. 

Il bello di Rozzum è che non è programmata per provare rabbia. Si evitano così tutte le sequenze di sconforto e confusione, ormai un cliché nei film d’animazione. Non ci sono momenti in cui sono le emozioni negative a segnare svolte negative nella trama. Ne Il robot selvaggio infatti anche un passaggio temuto dai genitori come il distacco dal figlio (e non viceversa, se servisse un altro segno di grande scrittura, questo è uno) diventa un qualcosa a cui i personaggi tendono per loro natura

Le fasi della vita 

Il rapporto non di sangue, ma adottivo, tra genitore e figlio è tutto orientato a una comprensione degli adulti. I più piccoli vedranno l’azione, il divertimento slapstick e le emozioni legate al “farcela o non farcela” contro il nemico. I genitori vedranno un robot che si strappa il cuore di circuiti per proteggere il figlio. Noteranno come la maternità inizia secondo delle programmazioni ben precise, seguendo istruzioni che porteranno alla riuscita del compito. Con il tempo però questa impostazione va bypassata. Le direttive imposte e autoimposte saltano, si inizia a improvvisare, a farsi guidare dalla reciproca conoscenza e fiducia. È raro trovare la genitorialità raccontata con tale schiettezza in un film d’animazione.

Il robot selvaggio prende in considerazione le fasi della vita e le usa come fasi dell’arco narrativo dei suoi protagonisti. Anche Rozzum è come un bambino all’inizio. Deve scoprire il mondo, imparare a parlare. Poi c’è l’attaccamento, la crescita. Lei si rovina, diventa di aspetto quasi sgradevole nel terzo atto, con il muschio e i graffi. Anche questa è una piccola rivoluzione: solitamente la maturità dei protagonisti corrisponde alla loro massima bellezza in scena. Qui il tempo si sente sui circuiti. Eppure proprio quando le sue forme sono meno armoniche percepiamo la robot come più reale e viva. L’adolescenza non è ribellione ne Il robot selvaggio, ma scoperta di sé e desiderio di partire, di camminare (o volare) verso i propri orizzonti. Anche in questo caso, la storia colpisce forte chi quell’età la sta vivendo, ma ancora di più gli eventuali accompagnatori maggiorenni. 

Per crescere un cucciolo d’oca serve una comunità

È quello che fa la grande animazione: scrollarsi di dosso il vincolo di un’età e immergersi nella fantasia facendola parlare alla reale esperienza di vita. Così gli animali diventano presto persone. I legami sono lampanti: amicizia, timore, paura. In un mondo in cui quasi nessuno è cattivo per ruolo, ma tutti lo sono per natura, la popolazione di animali aiuta a immaginare il mondo come dovrebbe essere.

È per questo che è così piacevole stare dentro questo film. Perché non è ideologico o utopistico, non è ingenuo, eppure tira fuori i migliori sentimenti. Senza retorica accetta l’incompletezza dei suoi personaggi. Anche la robot perfetta, meraviglia della tecnologia, fatica a completare il suo compito più difficile. Per crescere un bambino serve una comunità. Allo stesso modo nessuno si protegge da solo. È finito il tempo degli animali re e regine, dei protagonisti destinati per diritto di sangue a fare grandi cose. Il robot selvaggio è la rivoluzione degli ultimi che si aiutano a vicenda. 

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