Il ritorno di Cowboy Bebop: riscopriamo la serie di culto
Ricordiamo assieme la serie animata di Cowboy Bebop, in attesa del ritorno al cinema, ai primi di marzo, del lungometraggio sulla saga spaziale
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Oggi siamo terribilmente abituati alla commistione di generi. Negli ultimi anni il postmodernismo ha messo la quarta marcia e, nel fumetto come in ogni altro media intrattenitivo, abbiamo assistito a una mescolanza di ispirazioni di generi assolutamente senza pari. Sarà un caso, ma alcuni degli esperimenti più di successo di questo tipo, almeno nel mondo fumettistico, hanno tra i loro ingredienti proprio le storie di far west: Pretty Deadly, fumetto Image Comics di Kelly Sue DeConnick ne è un esempio, The Sixth Gun di Cullen Bunn un altro. All'epoca non era così scontato che si potesse realizzare una storia credibile che avesse per protagonisti personaggi che si considerano cowboy, che agiscono come cacciatori di taglie in un sottobosco malavitoso da thriller pulp e si muovono in una sistema solare (il nostro) in cui pianeti ed asteroidi sono stati colonizzati, nessuno più vive sulla Terra. Un sistema solare che gode di tecnologie avanzatissime, ma in cui una Beretta è sempre una Beretta, una Glock è sempre una Glock, il jeet-kun-do è sempre quello dei film di Bruce Lee e la mafia non perdona, porta rancore, si vendica come ai giorni nostri.
Ventisei episodi di animazione di nuovissima generazione, una delle prime serie che ci capitò di vedere che mescolava con evidenza e con costanza le tecniche tradizionali e la CGI con ammirevole coerenza e coesione. Un dinamismo delle immagini impressionante anche per quell'epoca, quando assistevamo a moltissimi prodotti che ci lasciarono davvero a bocca aperta (anche più spesso di quanto accade oggi, dato che assistiamo a cadute di qualità anche su serie molto blasonate provenienti dal Giappone). Cowboy Bebop era ed è visivamente meraviglioso, con un'ambientazione costantemente doppia, che sapeva fondere elementi fantascientifici e ipertecnologici con un'atmosfera terribilmente contemporanea. Gli abiti erano un po' retrò, un po' anni Novanta; le città delle colonie non sembravano quelle del futuro, ma le nostre; ovunque, nella serie, domina un'idea di decadenza della civiltà, come se la tecnologia avesse premesso all'umanità di spostarsi nello spazio, ma non nel tempo e gli uomini e il loro stile di vita fossero rimasti immutati su Marte, Giove, Venere e sulla cintura di asteroidi. Il tutto senza cadere nell'abusata estetica steampunk.
Un cast di personaggi interessanti e complessi, ognuno pieno di segreti e rimpianti da dimenticare o da ignorare, per continuare una vita senza radici e una fuga dal passato senza una meta nel futuro, tra momenti d'azione entusiasmanti, episodi tutti quanti molto diversi tra loro in grado di accogliere la comicità e l'epica, il noir e la fantascienza, la malinconia e momenti di grande poesia emotiva. Questo è Cowboy Bebop: una serie adulta raccontata con la lingua degli adolescenti, terribilmente coinvolgente e assolutamente mai banale. Ai primi di marzo, saremo sicuramente al cinema a rivederci il bel film di Shinchiro Watanabe, perché nessuna occasione di ricordare quel martedì sera e i venticinque seguenti che passammo incollati allo schermo, trepidanti, dovrà mai andare sprecata. Buona visione.