Il remake di Demon’s Souls è la chiusura di un cerchio | Speciale
Annunciato nel corso dell'evento di ieri sera, il remake di Demon's Souls sarà tanto un’uscita nuova di zecca quanto un nostalgico sguardo al passato
Tra nuovi amici e vecchie conoscenze, l’evento di presentazione di PlayStation 5 è passato esattamente come ci si aspettava, con molta meraviglia, poche sorprese vere, una diversità di stili e di generi impensabile fino a qualche anno fa e un paio di momenti apparentemente usciti da un’altra epoca. Uno di questi è Godfall, il cui trailer di gameplay ha la delicatezza di un camion di mattoni guidato da Kratos. L’altro è questo, e la sua esistenza è la dimostrazione che i mesi che ci porteranno al lancio di PlayStation 5 (e probabilmente anche i suoi primi mesi di vita) saranno tanto la celebrazione di una nuova generazione di console quanto un affettuoso addio a quella precedente che va in pensione dopo otto anni di onorato servizio.
Un momento di storia e riassunto. Demon’s Souls è un action RPG uscito a febbraio 2009 in Giappone, a ottobre 2009 negli Stati Uniti e a giugno 2010 nel resto del mondo. Sviluppato dalla giapponese FromSoftware, fece il salto oltreoceano grazie ad Atlus, e nonostante un successo commerciale che è un po’ generoso definire “successo” (poco più di 130.000 copie vendute in Giappone nel suo primo anno di vita) venne accolto come un mezzo miracolo da quella parte della critica che se ne accorse. Soprattutto aprì la strada per il vero game changer, che uscì due anni dopo costruendo sulle fondamenta gettate da Demon’s Souls e che da allora si è rivelato essere un po’ a sorpresa una delle opere videoludiche più importanti e influenti degli ultimi dieci anni.
L’idea che non sia necessario guidare passo passo chi gioca, con miliardi di tutorial, marker sulla mappa e aiutini vari. L’idea che la power fantasy ce la si debba guadagnare. L’idea di piazzare il protagonista in mezzo a un mondo che esiste anche senza di lui e spesso sta meglio senza di lui. L’idea di costringere chi gioca a imparare a conoscere questo mondo, a sapere come muoversi, a capire quando una nuova strada si è aperta – in sostanza Dark Souls era uno Zelda se Zelda ti odiasse, o un Metroid dark fantasy e quindi l’evoluzione 3D di Faxanadu, ma non è questo il punto, il punto è che Dark Souls colpì non solo pubblico e critica ma soprattutto il mondo dello sviluppo, che da allora ha assimilato e imparato a memoria decine e decine di lezioni grandi e piccole del gioco di Hidetaka Miyazaki.
Ma questo cosa c’entra con Demon’s Souls? C’entra perché, ancora una volta, Demon’s Souls era la stessa cosa due anni prima. Con alcune differenze anche molto radicali: l’architettura del mondo di gioco, per esempio, non era ancora quella mappa aperta e (quasi) liberamente esplorabile che era uno dei tratti definenti di Dark Souls, ma una più classica struttura a stella con un cuore e cinque raggi da esplorare segmento per segmento. In altre parole se Dark Souls era Zelda solo che ti odia, Demon’s Souls era Mega Man solo che ti odia. Lo spirito però, l’idea di fondo di un loop di vita e morte a metà tra gli insegnamenti del buddhismo, Nietzsche e Ricomincio da capo, lo scheletro del gameplay e della sfida offerta, il senso di esplorazione e scoperta erano tutte lì, nei cinque “mondi” come si diceva una volta e come pervicacemente Demon’s Souls persiste nel chiamarli e in quella strisciante sensazione che ci fosse sempre un segreto in più da scoprire, che nulla fosse mai chiaro fino in fondo.
Tutto questo – e molto altro, anche i dettagli più puramente meccanici come il combat system basato su posizionamento&lock come Ocarina of Time e con l’aggiunta di una barra della stamina a limitare le azioni possibili e ad aggiungere quindi una passata di tattica e conservazione delle risorse – è nato con Demon’s Souls, è esploso con Dark Souls ed è poi diventato canone, scritto nel codice di decine di giochi usciti dopo il 2011. Se avete seguito anche tangenzialmente il mondo dei videogiochi negli ultimi dieci anni ve ne sarete accorti, a un certo punto citare Dark Souls come riferimento per qualsiasi cosa è diventato un meme, o in alternativa una scorciatoia giornalistica per pigri. Esce un nuovo God of War? Ovviamente il combattimento prende ispirazione da Dark Souls.
Le prime impressioni di chi per primo giocò a Horizon: Zero Dawn? “È tipo Dark Souls”. Steam scoppia letteralmente di giochi taggati come soulslike, al punto che lo YouTuber Iron Pineapple ha inaugurato in pieno lockdown una serie nella quale gioca a una serie di soulslike che nessuno ha mai sentito nominare.
L’arrivo, finalmente, di Demon’s Souls in una nuova versione riveduta e corretta (poi ci torniamo) e accessibile a una playerbase infinitamente più vasta di quella che abbia mai potuto avere su PS3 è quindi la chiusura di un cerchio, il momento in cui milioni di persone hanno esperito Dark Souls perché innestato nel DNA di una buona fetta di giochi da loro giocati in questi anni, e che già hanno potuto finalmente godersi l’originale anche sulle console di ottava generazione, potranno finalmente scoprire dove è nato tutto quanto. E lo faranno con quello che si spera non sarà un semplice remake con le texture migliorate, ma un lavoro di revisione più profondo simile a quello fatto di recente per Shadow of the Colossus – l’esempio non è casuale, visto che a occuparsi di Demon’s Souls sarà lo stesso studio, Bluepoint Games.
Il remake sarà tra l’altro l’occasione di confrontarsi con un altro mondo che con gli anni è cambiato radicalmente: quello del multiplayer, che in Demon’s Souls era implementato nel solito modo bizzarro e imperscrutabile tipico di From e che, soprattutto, usciva in un momento in cui giocare online significava Halo, CoD, Left4Dead. League of Legends usciva quell’anno e i MOBA erano ancora solo mod di Warcraft, i battle royale non esistevano, e di sicuro nessuno era pronto a un gioco single player e basato sulla progressione nel quale un estraneo poteva da un momento all’altro manifestarsi sotto forma di nemico e provare a farti fuori o quantomeno a darti fastidio nel modo più irritante possibile. Oggi che il gioco online è finalmente esploso anche in varietà e non solo in quantità di gente coinvolta, Demon’s Souls torna con (immaginiamo) lo stesso sistema ottuso, alieno e irresistibile di gestione del multiplayer, e potrebbe incorrere nel bizzarro destino di trasformare in fenomeno di massa un gioco che al tempo venne affrontato in questo modo dalla critica.
Come dicevamo sopra, quindi, Demon’s Souls sarà tanto un’uscita nuova di zecca quanto un nostalgico sguardo al passato, il suo meritato addio a una generazione che è stata influenzatissima dalla sua esistenza ma non se n’è mai davvero accorta, o non abbastanza. La speranza quindi è che il passatismo non sia l’unico orizzonte, e che rivisitare oggi Demon’s Souls sia l’occasione per imprare cose nuove, che possa diventare un trampolino di lancio quanto lo fu Dark Souls a suo tempo. E già che ci siamo, che questo remake sia anche l’occasione per implementare il sesto, inedito mondo che venne tagliato dalla versione originale del gioco.