Il racconto dei racconti: è arrivato il momento di renderlo un cult

Il racconto dei racconti ha raccolto molto meno di quanto meritasse. Ora è su Netflix: è il momento di rendergli giustizia

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Il racconto dei racconti è arrivato su Netflix

Quella di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è la storia di un film uscito nel posto giusto al momento giusto, l’opera perfetta per intercettare lo zeitgeist e le richieste di almeno due diverse categorie di fan. E che per qualche motivo, nonostante tutto questo, non è riuscito a lasciare il segno come avrebbe dovuto, finendo nel giro di sei anni (e ingiustamente) nel dimenticatoio o quasi, senza lasciare quasi eredi né aprire alcuna nuova strada creativa. La prima categoria è quella locale della gente che da anni invoca la rinascita del cinema italiano, soprattutto quello c.d. “di genere”, categoria-ombrello sotto la quale, almeno dalle nostre parti, si tende a infilare tutto ciò che non sia film d’autore conclamato, commedia ridanciana o dramma esistenziale da tinello. Matteo Garrone è uno dei capifila di questa resurrezione vera o presunta, e il suo Gomorra uno degli apripista; con Il racconto dei racconti apriva per la prima volta le porte del suo cinema al fantastico, al surreale e al folkloristico – ossia una di quelle strade poco battute che i succitati Sostenitori della Rinascita sostenevano che si dovesse tornare a esplorare, vista la quantità di spunti e idee contenute nella nostra tradizione.

La seconda categoria è invece più internazionale, ed è quella che, in un mondo post-Signore degli anelli e pure post-Game of Thrones, aveva riscoperto non solo il fantasy più tradizionale, ma anche il gusto di virarlo al dark e all’inquietante. Gli anni Dieci di questo millennio sono stati in questo senso una collezione di esperimenti più o meno riusciti, dall’Alice goth di Burton ai vari Biancaneve e il cacciatore e Cappuccetto Rosso Sangue; in questo contesto, Il racconto dei racconti si presentava come una risposta un po’ piccata a questa tendenza, che sotto strati di trucco nero nascondeva sempre un animo gentile e disneyano che depotenziava un po’ tutto il grimdark nel quale questi film provavano a sguazzare.

Il racconto dei racconti re

Questo perché per Il racconto dei racconti Matteo Garrone non si è ispirato a qualche fiaba nordeuropea più o meno universalizzata da oltre un secolo di cultura pop, ma in ossequio alla succitata prima categoria è andato finalmente a pescare nella nostra tradizione. In particolare nell’omonima opera di Giambattista Basile, nota anche come Pentamerone – se non l’avete letta, è una versione ancora più marcia e perversa del Decamerone di Boccaccio, con una cinquantina di racconti che svariano dalla stregoneria al body horror, e che hanno fatto da base per una serie di fiabe più note e codificate (da Raperonzolo a Cenerentola). Garrone ne pesca tre (La pulce, La cerva fatata e La vecchia scorticata) e le intreccia in un racconto più o meno unitario, un film a episodi nel quale i confini tra gli episodi stessi sfumano e a tratti spariscono.

La questione strutturale è in realtà uno dei pochi problemi, o comunque uno dei più delicati, di Il racconto dei racconti. Perché, per quanto Garrone si impegni a incastrare le tre storie e a dare la parvenza di una narrazione unica che saltabecca di personaggio in personaggio, il risultato finale non riesce a mascherare le cuciture, e il film è molto chiaramente tre film in uno, e non sempre alternati in maniera efficace. Oltre al fatto che è nella natura stessa del film a episodi di essere altalenante: è rarissimo che chi guarda si faccia coinvolgere allo stesso modo da tutte le storie, ci sarà sempre “quella preferita” e “quella che piace di meno”, e questo inevitabilmente si riflette sul godimento della visione, perché prima o poi ci si imbatte in scene che fanno pensare “non vedo l’ora di tornare a quell’altro personaggio”.

Mostro

Ma questa è appunto una questione strutturale; per il nostro discorso ci interessa di più quella tematica, e le atmosfere contano di più di una lieve zoppìa narrativa. E il fatto è che le storie raccontate in Il racconto dei racconti non sono quelle che siamo (sono, in riferimento al resto del mondo e all’America in particolare) abituati ad associare al genere. Prima abbiamo usato un po’ a sproposito il termine “body horror”, ma il film di Garrone risolve l’anacronismo: le fiabe che racconta sono nerissime parabole discendenti di gente in varia misura ossessionata con il proprio corpo e le sue mutazioni, e in certi casi con i corpi in generale. Ci sono tre re (due re e una regina, in realtà): uno ignora la figlia per prendersi cura di una pulce gigante, mentre la ragazza sogna un marito e di abbandonare le mura del castello per scoprire il mondo; uno è interessato solo al sesso, al desiderio, al piacere, alle gioie della bellezza femminile, ed è disposto a qualsiasi cosa pur di goderne; la regina, invece, ha visto il marito morire per zampa di un mostro marino, che in cambio le ha donato un figlio, il quale però ha un gemello bastardo che potrebbe creare qualche problema politico.

Sono tutte storie di desideri e di sacrifici che si fanno per realizzarli: la regina è disposta a perdere il marito in cambio di un erede, la vecchia avvizzita della cui voce il re lussurioso si innamora non ha problemi a usare acidi e colle per risistemare il suo corpo decadente, e la figlia del re allevatore di pulci vuole sposarsi a tutti i costi – enfasi su tutti. Come dicevamo già nella recensione dell’epoca, Garrone osserva tutte queste storie da distanza di sicurezza, con uno sguardo tra l’affascinato e il disgustato ma anche con quell’incapacità di staccare gli occhi anche dalle scene peggiori tipica degli incidenti in autostrada (oltre a essere più violento di qualsiasi fantasy grimdark uscito dall’America negli ultimi vent’anni, Il racconto dei racconti è anche spesso disturbante).

Stacy Martin

E queste storie si sviluppano in direzioni e con soluzioni che, ancora una volta, non sono quelle a cui il genere declinato all’hollywoodiana ci ha abituato. Certo ci sono mostri, combattimenti, omicidi e intrighi; ma c’è anche gente che considera normale farsi scuoiare viva per ringiovanire la propria pelle, una madre ossessionata dal figlio al punto da ricorrere alla necromanzia per (secondo lei) proteggerlo, un re che pur di mantenere la parola data è disposto a donare sua figlia a un bruto che vive tra le montagne. Le poche, pochissime figure indiscutibilmente positive di questo universo gretto, egoista e prevaricatore sono anche quelle che fanno la fine peggiore e più dolorosa: basta questo dettaglio per capire che non siamo dalle parti di Burton o di Kristen Stewart in armatura. Piuttosto da quelle di Il labirinto del fauno e del primo Del Toro in generale, che è la cosa più vicina a Il racconto dei racconti che ci sia nel mainstream e dintorni; ma lì la fiaba era al servizio del messaggio e del racconto storico, mentre qui è al centro di tutto: Garrone non cede mai alla metafora facile, preferisce scavare nelle viscere dell’animo di questa collezione di mostri di vario genere e lasciare che a parlare siano le loro azioni. Perché, vale la pena ribadirlo, queste sono le fiabe della nostra tradizione.

Paradossalmente uno dei punti deboli di questo impianto così sontuoso (anche in termini di location, costumi, trucco e parrucco ed effetti speciali vari) è quella che dovrebbe essere una delle sue forze: Garrone lavora con un cast internazionale, che da un lato dona prestigio all’operazione, dall’altro lo costringe a lavorare con un paio di volti tanto arcinoti quanto clamorosamente svogliati (Salma Hayek e Vincent Cassel), che attutiscono un po’ l’impatto di certe scene. Non è un problema generalizzato, ovviamente: Toby Jones è come sempre delizioso, Stacy Martin un’apparizione e Bebe Cave l’assoluta MVP del film; ma è comunque un peccato.

Streghe

Non un peccato quanto i cinque milioni scarsi incassati da Il racconto dei racconti nel 2015, un clamoroso caso da manuale di film apprezzato dalla critica e snobbato dal pubblico. Che diceva di essere pronto, e invece poi ha dimostrato di non esserlo affatto. Ci piacerebbe sapere che effetto farebbe se uscisse al cinema oggi, sei anni e un sacco di rinascite italiane dopo. Per ora ci accontentiamo di sapere che è disponibile in streaming su un’altra piattaforma molto usata: a volte i culti nascono così.

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