Il Principe d'Egitto: quando la DreamWorks cercò di aprire le acque dell’animazione

Alla fine degli anni ‘90 l'animazione stava cambiando e Jeffrey Katzenberg lo capì inaugurando la sua DreamWorks con Il Principe d'Egitto

Critico e giornalista cinematografico


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Il Principe d'Egitto
quando la DreamWorks cercò di aprire le acque dell’animazione

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2004/2020 DreamWorks Animation L.L.C. All rights reserved
sfinge principe d'egitto

L’animazione alla fine degli anni ‘90 stava cambiando e Jeffrey Katzenberg lo aveva capito benissimo e la DreamWorks (che aveva fondato assieme a Steven Spielberg e David Geffen) sarebbe andata in quella direzione ampliando lo spettro dei contenuti rispetto alle sole favole per ampliare il suo pubblico. La Pixar aveva distribuito solo Toy Story ed era pronta a mandare in sala A Bug’s Life, i suoi due film più bambineschi, ma si stava muovendo nella stessa direzione. Del resto l’animazione giapponese era arrivata nelle sale americane per le prime volte con film come Akira e poi La principessa Mononoke.

Così dopo 10 anni di lavoro alla Disney, 10 anni di successi in cui era riuscito a rimettere in piedi lo studio con film come Aladdin, La Bella e la Bestia, La Sirenetta e Il Re Leone, Katzenberg non voleva più fare favole, aveva lasciato burrascosamente lo studio animato per antonomasia che aveva contribuito a rimettere in piedi nel 1994 e con la sua nuova compagnia voleva cambiare l’animazione.

Il Principe D’Egitto sarebbe stato il suo araldo.

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SKG sulla cover del Time Magazine
L’idea folle era venuta in uno dei primi meeting a casa Spielberg tra i tre fondatori. Katzenberg già dai tempi della Disney voleva fare I Dieci Comandamenti in versione animata, e Spielberg gli disse: “Sai credo che sia venuto il momento per te di fare quel film”. Geffen aggiunse “Ma non c’è da scherzare, se lo facciamo dev’essere un film serio, adulto, rigoroso”. E così sarebbe stato.

Il Principe D’Egitto fu uno degli sforzi più incredibili della DreamWorks e una delle tempeste creative più allucinanti dell’animazione americana. Katzenberg prese animatori alla Disney a frotte e mise in piedi da zero uno studio, si consultò con rappresentanti delle religioni cristiane, ebraiche e musulmane per non scontentare nessuno e creò una storia religiosa in maniera non religiosa, con un’idea di grandiosità, grandezza e meraviglia visiva inedite.

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Paul Lasaine e Rob Lukas supervisionavano il reparto sfondi, il più impegnativo e imballato di disegnatori che avrebbero dipinto a mano 934 sfondi diversi. In un’era in cui l’animazione tutta andava verso la computer grafica e in cui la DreamWorks stessa aveva lavorato con la CG per Z la formica e poi l’avrebbe fatto con Shrek, questo era ancora un film disegnato in gran parte a mano con qualche inserto digitale.

Unendo le professionalità prese alla Disney con quelle della Amblimation (la divisione di animazione della Amblin confluita nella DreamWorks) si raggiunsero in breve i 350 animatori da 34 paesi diversi. Ad oggi molti di quei fondali e di quelle idee visive rimangono stupefacenti e una spanna sopra quelli già impressionanti di Aladdin, quanto a rapporto tra dimensioni diverse, paesaggi e valore pittorico. Il Principe D’Egitto trabocca di idee che sono principalmente visive e raccontano molto di più di quel che dicono i dialoghi (non eccezionali).

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ramses sul trono“Non è live action e non è un cartone animato. È qualcosa di nuovo. In questo sta il suo potenziale maggiore e il suo ostacolo più grande”
- Jeffrey Katzenberg

Con questa dichiarazione Katzenberg descriveva il film, un uomo che le voci fino a quel momento avevano raccontato come accentratore e desideroso di stare sotto i riflettori, che si era presentato ad uno dei molti eventi stampa di Il Re Leone portando un vero leone adulto alla catena come fosse un cane! Ecco lui ora si era dedicato anima e corpo a battere quello studio con cui era entrato in rotta, voleva mettere a tacere Disney e di fatto renderla obsoleta, superare 70 anni di fate e favole per approdare ad un’altra idea di animazione, non necessariamente buona per tutti ma anzi adulta. Ci sarebbe riuscito, in un certo senso, offuscando la Disney per tutti gli anni 2000, ma questo non sarebbe avvenuto seguendo la direzione segnata da Il Principe D’Egitto.

Lo stesso Katzenberg all’epoca disse che paragonare questo suo film con quelli della Disney sarebbe stato come mettere a paragone “mele e sottomarini”. Per dire della modestia delle ambizioni.

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Del resto Il Principe D’Egitto fu e rimane un’impresa memorabile, il primo lungometraggio d’animazione ad iniziare con un cartello di avvertimento (che dice che la vera storia è nella Bibbia e questa è solo un’interpretazione), uno che non aveva merchandising, non aveva materiale da marketing e non era pubblicizzato nei fast food.
Cosa incredibile per l’epoca (e anche oggi).

Certo il film inizia con una corsa in biga che è una pura sequenza d’azione e ha un paio di personaggi macchietta classici (i sacerdoti) ma molto di più di leggero c’era nella prima versione e fu tagliato e asciugato. Cammelli e altri animali divertenti, un assistente personale di Mosè che gli dava i consigli... Tutto tagliato.

Il film inizia come uno della Disney e lentamente diventa altro, l’umorismo è dimenticato e un’incredibile gravitas si impadronisce del tutto. Scompaiono anche i veri villain, Mosè e Ramses hanno un rapporto complesso e Ramses fa di tutto per lui fino a che le piaghe e la morte del figlio non lo aizzano.

L’ambizione di raccontare a grandi e piccoli le piaghe d’Egitto, l’angelo della morte che uccide i bambini, villain colpevoli di genocidi e poi la pioggia di fuoco, la fuga, il mare che si apre e le tavole della legge, era qualcosa di spropositato.

character design di mosè

Anche il character design si dovette adattare. Ci fu un’attenzione molto più forte del solito ad avere volti realistici, coerenti con i tratti somatici delle diverse etnie coinvolte e Katzenberg proibì a tutti di riguardare I Dieci Comandamenti per non copiarlo.

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Alla fine, però, il problema più grande fu come rappresentare l’apertura del Mar Rosso ovviamente. Si optò per qualcosa di molto simile al film di De Mille anche se l’idea della balena in controluce dentro le acque offre una prospettiva completamente diversa, un mondo di creature ed esseri viventi che segue l’esodo ebraico tutti comandati da Dio. Questa è un film decisamente più religioso del kolossal con Charlton Heston, è un film in cui l’idea di un Dio onnipotente (per quanto vago e buono per religioni diverse) permea tutte le scene, là dove I Dieci Comandamenti era un film in cui l’idea di un regista onnipotente permeava tutte le scene.

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Era davvero un rischio un film così. Un rischio talmente grosso che Jeffrey Katzenberg tenne nascosto il budget. Si dice solo 5 persone fossero a conoscenza della cifra. Si era speso tantissimo (ora lo sappiamo, 70 milioni di dollari) e tali erano i dubbi sugli incassi che c’era il terrore si potesse parlare di fallimento. Z la formica, il primo film d’animazione targato DreamWorks, in realtà non era una produzione interna, era stato appaltato, questo era il primo vero film DreamWorks e non doveva fallire anche se lo stesso Katzenberg si rendeva conto di che scommessa fosse. Girò il mondo per promuoverlo già con un anno di anticipo, cercò (e trovò) l’approvazione delle comunità religiose e alla fine incassò 200 milioni. Non un trionfo (Il Re Leone pochi anni prima ne incassò 763 di milioni e Mulan nel suo stesso anno 304) ma viste le condizioni e la scommessa senza dubbio una vittoria, anche perché all’epoca si trattò del più grande incasso mai registrato per un film d’animazione non della Disney.

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Per arrivare a quella cifra fu chiamato un cast ricchissimo di doppiatori da Ralph Fiennes come Ramses (un villain con uno straordinario lato umano come la Disney non faceva all’epoca) e poi in ruoli più o meno grandi Michelle Pfeiffer, Sandra Bullock, Jeff Goldblum, Danny Glover, Patrick Stewart, Helen Mirren, Steve Martin e Martin Short. Val Kilmer era invece Mosè ma anche Dio, per la cui voce fu necessario ben più di un brainstorming.

  • Ralph Fiennes

  • Michelle Pfeiffer

  • Sandra Bullock

  • Jeff Goldblum

  • Danny Glover

  • Patrick Stewart

  • Helen Mirren

  • Steve Martin

  • Martin Short

  • al Kilmer

Tutto Il Principe D’Egitto cercava di rifondare una mitologia evitando i soliti clichè e non volevano quindi la solita voce baritonale per Dio, si pensò a tutto, anche ad un coro di voci (scelta decisamente troppo politeista però) fino ad arrivare ad una consulenza con i leader religiosi e all’idea che Dio avrebbe parlato a Mosè con la stessa voce di Mosè ma modificata.

Ovviamente, per battere la Disney sul suo terreno non potevano mancare le canzoni. Praticamente Il Principe D’Egitto è stato trattato come un musical di Broadway (del resto poi lo è diventato) con in particolare la canzone When You Believe, che in una versione riarrangiata più pop e cantata da Mariah Carey e Whitney Houston vinse anche l’Oscar per la miglior canzone originale.

Usare attori noti come doppiatori non era certo una novità ma fu una politica che da qui in poi la DreamWorks trasformò in una regola e in uno strumento importante di promozione (si veda Shrek), come anche usare musica pop sulla scia del successo anche commerciale di When You Believe, allargandosi addirittura a musica non originale, e infine andando a strizzare spesso l’occhio agli adulti anche in prodotti più leggeri.

L’impronta data con lo studio maniacale di questo film è quella che poi avrebbe caratterizzato l’intera produzione DreamWorks, sebbene con toni molto più leggeri, e la più grande innovazione portata dallo studio.

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Qualcosa di serio, grave e pieno di importanza come Il Principe D’Egitto è rimasto un unicum, ma in molti sensi tanti degli elementi sperimentati in questo film sono poi diventati la pietra fondante di quella che è stata la grande rivoluzione dell’animazione americana per tutti.

Quella che i molti altri studi nati dopo la DreamWorks hanno seguito e imitato.

Fino al 19 aprile trovate Il Principe D'Egitto su


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