Il più bel documentario del 2007
Non solo ha vinto l'Oscar, ma ha dimostrato come si possa realizzare un lavoro di indagine giornalistica seria, senza le manie di protagonismo di Michael Moore. Si tratta di...
Rubrica a cura di ColinMckenzie
Il titolo mette assieme la vicenda di uno sfortunato tassista morto in una prigione afgana con una frase del vicepresidente Dick Cheney, pronto dopo i fatti dell'11 settembre ad arrivare al lato oscuro pur di sconfiggere i terroristi. Ma quali sono i meriti di questo documentario, che gli hanno anche permesso di vincere l'Oscar? Vediamoli. Una cosa che ho adorato è che il regista Alex Gibney, a differenza di quanto faceva Michael Moore in Fahrenheit 9/11, non fa finta di aver scoperto delle notizie, ma si affida a diversi giornalisti che si sono occupati di questi casi. Ecco quindi che chi ha coraggiosamente cercato la verità non viene trascurato e non ci si appropria impunemente del suo lavoro.
In effetti, questo è uno dei punti più importanti. E' evidente che praticamente in tutti i casi descritti la tortura fine a se stessa produce solo false confessioni, utilissime a far finta di aver ottenuto dei risultati, ma non certo efficaci per combattere la guerra al terrore. Tanto che, molto spesso (il 93% dei casi) i sospetti non sono stati arrestati dalle autorità angloamericane, ma da personale del luogo, quasi sempre interessato a mettere le mani su cospicue ricompense e pronto ad accusare persone completamente innocenti. Così, per coprire un errore di partenza, si continua a perseverare, mantenendo persone in carcere senza processo e possibilità di difendersi. Viene anche preso in giro il telefilm 24, pieno di situazioni in cui si torturano dei sospetti per fermare un attacco imminente, cosa che porta un avvocato a chiedere "ma quando mai negli ultimi 500 anni abbiamo potuto interrogare un criminale mentre la bomba non era ancora esplosa?".
Ciliegina sulla torta, un'ironia sarcastica pungente che colpisce con delle scritte fulminanti (dopo che un ufficiale a Guantanamo ha rivelato che non è morto nessuno in quella prigione, scopriamo che sono avvenuti diversi suicidi). E un finale incredibilmente commovente, affidato alle parole del padre del regista, che si occupava di interrogatori per la Marina. Insomma, di prodotti del genere, ne vorremmo vedere molti di più...