Il piccolo grande uomo, cosa ha cambiato (e per sempre) quando 50 anni fa uscì

Nessuno aveva mai mescolato i generi come Il piccolo grande uomo, nessuno ancora a Hollywood voleva cambiare il cinema per cambiare la società

Critico e giornalista cinematografico


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A differenza dei soliti film hollywoodiani noi ammettiamo di mentire. Fin dall’inizio”.

Così Arthur Penn descriveva Il piccolo grande uomo durante la sua lavorazione, la storia di un uomo che attraversa un periodo molto preciso della storia americana, raccontata da egli stesso, il meno affidabile dei narratori possibili, in flashback.
Il film una sua verità ovviamente ce l’ha ma, precisa sempre Pennè solo quella interna al racconto”. Come molti film moderni crea una bolla, un micro sistema di valori e possibilità che sono veri solo nelle parole e nei ricordi del protagonisti, ma all’interno di quella bolla tutto è giusto, tutto è coerente. Non c’è bisogno di spiegarlo oggi, perché sappiamo bene che nella bolla dei film Marvel valgono certe regole e in quella di quelli della saga di Harry Potter ne valgono altre, e che ognuno è coerente con le proprie.

La storia è quella di Jack Crabb, uomo bianco cresciuto dagli indiani, tornato tra i suoi simili tra alti e bassi, arruolato nella cavalleria e poi di nuovo tornato tra gli indiani. Da una parte e dall’altra della barricata assiste a tutto e il contrario di tutto e prende parte al massacro di Little Big Horn, si confronta con il generale Custer, trova moglie e assiste il capo della sua tribù indiana, tutto senza un’apparente volontà propria, sballottato dagli eventi, dalla storia e da quello che gli altri gli chiedono di essere. Questo film in pratica fonda quella maniera di raccontare la storia americana attraverso un protagonista che la subisce che poi farà il successo di Forrest Gump. Solo che in Il piccolo grande uomo il film stesso, in armonia, è una commedia che sambia sottogenere di continuo. “Lo so che il pubblico ama le opere compatte e omogenee. Ma io voglio fare il contrario. Il cinema dovrebbe rimanere sempre aperto e libero, senza per forza che tutto sia definito e risolto”.

piccolo grande uomo cavallo

Arthur Penn è stato uno dei cineasti più ribelli in assoluto. Ad oggi è raccontato e ricordato meno di altri suoi coevi, meno di Coppola o meno di Lumet o Pollack, ma in realtà il suo contributo è stato cruciale in anni cruciali. Alla fine degli anni ‘60 era imbevuto fino al midollo di idee di cambiamento, cambiamento del cinema per raccontare il cambiamento della società, aveva in odio costrizioni, restrizioni e visioni classiche tanto nel filmmaking quanto nella società. I suoi film sovrapponevano di continuo questi piani, in Penn ogni sovversione delle regole del cinema equivaleva ad una sovversione delle regole della società in cui viveva. Nel 1969, nel pieno della controcultura, era reduce dal successo incredibile di Gangster Story, con cui aveva messo la pietra tombale al Codice Hayes (la maniera in cui gli studios si autoregolamentavano e in pratica si autocensuravano su tutti i temi tabù), aveva creato una nuova estetica della violenza, un nuovo modo di raccontare gli antieroi e aveva messo in scena una società diversa in cui i criminali sono più umani della legge (e già La caccia in un certo senso girava da quelle parti).

piccolo grande uomo pistola

Riraccontare Little Big Horn come un massacro e una pagina vergognosa era una rottura con il cinema del passato e una rottura con la retorica sulla guerra in Vietnam. Riraccontare il west dalla parte degli indiani, in linea con quello che faceva nello stesso anno Soldato blu, era il revisionismo di un’epoca ma anche della maniera in cui l’America guardava se stessa, non come il terminale di un’evoluzione per il meglio ma come il risultato di genocidi e ingiustizie profonde. Ed era anche il revisionismo di un genere cambiando i ruoli di protagonisti e antagonisti, cambiando scenari, paesaggi e retorica.
A Penn il mondo non piaceva e faceva film che lo raccontavano come un posto spiacevole, l’America come un paese fondato da figure meschine.

piccolo grande uomo spada

La coerenza di Penn stava nel non limitare le idee di cambiamento alla società ma di applicarle nei film. Il piccolo grande uomo racconta di qualcuno che incarna diverse identità. Jack Crabb nella sua vita è tutto, anche un barbone, anche un soldato, anche un indiano e anche un americano. Il film assieme a lui prova diversi generi e li rigetta tutti, gettandosi da uno all’altro di continuo, rifiuta di farsi inquadrare e rifiuta le regole che non trova ragionevoli. E questa è la vera storia, quella dei ruoli che la società impone agli individui raccontata tramite un film che esso stesso rifiuta le definizioni e le etichette, provandone tante ma avendo, incredibile per l’epoca, un’unità e una coerenza che non lo rendono un pasticcio. Di fatto Arthur Penn trova la lingua giusta per mescolare i generi un decennio buono prima che diventasse la regola e fonda un nuovo modo di fare cinema.

piccolo grande uomo capo indiano

Anche al loro interno la logica della sovversione fa sì che i generi di Il piccolo grande uomo siano traditi, il western che non è un western classico ma revisionista, il film storico che non è fedele alla storia ma mente e si prende concessioni, il dramma fatto di genitori massacrati e aspettative frustrate ma pieno di commedia.
Alla fine doveva esserci la morte del grande capo indiano, ma proprio per evitare il melodramma e abbracciare il viaggio picaresco si opta per una delle scene più memorabili del film e a suo modo più commoventi. “Volevo mostrare che non solo gli indiani sarebbero stati distrutti ma che sarebbero anche stati condannati a vivere”.

piccolo grande uomo pistolero

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