Il momento migliore di Ant-Man non è stato girato da Peyton Reed | Un film in una scena
C'è un momento brevissimo in Ant-Man, in cui il film cambia ritmo e regia. Ed è uno specchio di quello che il film poteva essere e non è.
La storia produttiva di Ant-Man, come noto, meriterebbe un film a parte. Anni di produzione, scritture e riscritture della sceneggiatura iniziata ancora prima dell’esordio di Iron Man. Nel 2011 Edgar Wright aveva appena finito Scott Pilgrim vs. The World, non un successo commerciale, ma l’ennesima prova delle capacità del regista di esplorare il mondo pop dei fumetti. Inisieme al sodale Joe Cornish, Wright consegna la seconda sceneggiatura di Ant-Man a un Kevin Feige ancora appesantito dal comitato di autori Marvel che ne indirizzava le scelte artistiche. Passerà ancora molto tempo prima che il produttore riesca a ottenere la totale autonomia decisionale.
Nel giugno 2012 Edgar Wright riceve il via libera per girare una scena test al fine di sondare l’estetica e le potenzialità del film. Abbiamo già parlato di come, nel metodo produttivo Marvel, conti molto la previsualizzazione digitale. Una tecnica sempre più implementata in sinergia con la regia arrivando a riprodurre i film per intero. In questo caso serviva però solo un piccolo esempio per capire come rendere i poteri del protagonista attraenti al pubblico. Andavano stabilite le regole narrative dell’azione: come si rimpicciolisce Scott Lang? Come va inquadrato quando è minuscolo? Come combatte e che livello di forza può avere?
Il breve filmato venne mostrato un mese dopo il suo completamento nel San Diego Comic-Con ad un pubblico di pochi fortunati. Ancora non sapevno di avere assistito all’unica scena di Ant-Man diretta da Edgar Wright mai vista da “non addetti ai lavori”. Sono immagini mai rese pubbliche ma che grazie ai teak dell’epoca possiamo veder anche noi di seguito.
In parallelo a questo, Wright stava girando La fine del mondo, ultimo capitolo della trilogia del cornetto. Un momento sabbatico e di distanza dalle avventure del supereroe che iniziavano pian piano a scricchiolare senza trovare una forma ben definita.
Mentre l’MCU aspettava il suo Ant-Man il rapporto tra le due parti iniziava a incrinarsi. La Marvel stava andando verso un universo sempre più integrato, mentre il regista voleva aver autonomia sia come storia che come stile. Sceneggiatura dopo sceneggiatura, nota dopo nota, il film faticava a prendere una forma in grado di unire le esigenze della Casa delle idee con quelle autoriali del regista. Lo ricordiamo: i lavori preliminari di Ant-Man, l’ideazione, i primi trattamenti, erano iniziati quando ancora il progetto Avengers era un sogno nerd considerato irrealizzabile. Ora l'Universo Marvel era un qualcosa di molto diverso, così come le aspettative del pubblico. Il genere dei cinecomic era maturato molto e richiedeva profonde revisioni dei piani iniziali.
La separazione fu inevitabile a soli due mesi dall’inizio delle riprese: “Io volevo fare un film Marvel, ma non so se loro volessero un film di Edgar Wright” dirà il regista qualche mese dopo in uno dei rari commenti sulla vicenda.
Immediatamente salirono a bordo Adam McKay e Peyton Reed per salvare la baracca. Riscrissero il film per renderlo più compatto nella continuità dell'MCU. Chiusero in fretta e furia il film che oggi tutti noi conosciamo. La struttura ossea è di Wright, ma il DNA è tutto del nuovo team.
Eppure c’è ancora oggi una sottile traccia proprio di quella scena girata come test. La si può intravedere nel terzo atto, quando Ant-Man si ritrova ad affrontare due guardie armate.
Sono pochi secondi in cui l’azione decolla, il montaggio si fa frenetico e chiarissimo e per la prima volta il film si gode la propria stranezza. La regia non si trattiene ma, come durante i racconti di Luis (altro momento brillante) la macchina cinematografica si fa sentire, usa il tempo del racconto come ritmo del montaggio. Grande e piccolo si alternano grazie a delle zoomate. Mentre Lang corre su un modellino i proiettili lo sfiorano e il sonoro diventa quello di un film di guerra. L’intera sequenza può essere battuta ritmicamente con i piedi tanto è montata con precisione. Proprio grazie a questa musicalità i due piani (quello grande e quello microscopico) si fondono benissimo pur raccontando sostanzialmente due scenari diversi.
Questa idea per cui un evento può assumere dimensioni diverse a seconda del punto di vista viene ben utilizzata anche sul finale con il trenino. Eroe e villain si sparano raggi laser, si lanciano intere carrozze… ma è solamente il giocattolo di Cassie Lang e, dalla sua prospettiva, l’epica battaglia si riduce solo a un pezzo di plastica che “misteriosamente" cade sul tappeto.
Sono momenti esilaranti ed esaltanti al contempo, che sembrano estratti dal cinema di Edgar Wright.
Ant-Man non è un film sbagliato, nemmeno poco riuscito rispetto alle proprie intenzioni, anzi! Ha però l’enorme problema di essere impalpabile, di non avere momenti memorabili né grandi (o piccole) emozioni. Semplicemente scorre, va avanti con leggerezza.
È nei piccoli momenti come in quello appena descritto che si può ritrovare la promessa - non mantenuta - di quello che sarebbe potuto essere Ant-Man e che ancora oggi non riesce a delineare. Piccoli slanci, trovate e intuizioni mai veramente integrate. Sono quelle poche inquadrature messe insieme da Edgar Wright, o per lo meno ispirate al suo lavoro, a racchiudere il vero divertimento. Non è solo una scarica di adrenalina per chi guarda, che a quel punto può essere interessato alla storia o meno, ma è soprattutto un entusiasmo del meccanismo cinematografico. È la grammatica adottata nella scena che trova la libertà di giocare con il mai visto.
La scena migliore di Ant-Man non è stato girata da Peyton Reed, non solo da lui per lo meno.
Ancora oggi quel minuto di test è un simbolo di quello che questo supereroe ha da dare, ma che non è ancora riuscito a concretizzare. Per la saga è giunto con urgenza il momento di spiccare il volo con Ant-Man and the Wasp: Quantumania e sperimentare con le convenzioni, trovare un nuovo linguaggio, provare a essere per Peyton Reed la piattaforma di gioco che Edgar Wright voleva per sé.
Il rischio per il supereroe più piccolo della Marvel è quello di lasciarsi schiacciare dai colleghi, ormai diventati giganteschi dopo avere trovato la propria identità cinematografica.