Il Mio Nome è Thomas: abbiamo visto il nuovo film di Terence Hill e non è quello che immaginate

Lontano dal cinema da anni Terence Hill è tornato con il film più personale possibile, letteralmente al di là di qualsiasi valutazione qualitativa

Critico e giornalista cinematografico


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Dieci anni dopo l’ultimo film TV (Doc West, un western) e 21 anni dopo l’ultimo film girato per il cinema (l’incredibile Potenza Virtuale, una produzione che non ha nulla da invidiare a quelle della Troma), Terence Hill torna al cinema con un film che si presenta con questo trailer:

Nel parlare di Il Mio Nome è Thomas non ha assolutamente nessun senso fare un discorso sulla qualità, non ha senso stare a considerare i dialoghi, la maniera in cui è raccontata la storia, in cui sono fotografate le scene o sono interpretati i ruoli e se è ciò che state cercando probabilmente questo non è l’articolo giusto. Il film è come appare dal trailer, né più né meno, c’è poco altro da aggiungere.

Quello che però il trailer non spiega, e che invece è evidente fin dai primi 50 secondi (effettivamente 50!), è che Il Mio Nome è Thomas non è una produzione come le altre, ma una stranissima forma di summa della vita di Terence Hill (è anche regista qui), tutto finto ma anche tutto capace di richiamare la realtà. Una maniera per raccontare una carriera tutta insieme in una storia né finta né vera. Per la prima volta vediamo effettivamente la mitologia di Terence Hill al completo, il west che incontra il cowboy moderno (quello da strada sempre in viaggio con la moto) che infine incontra il cristianesimo.

La prima scena mostra Terence lasciare un’abitazione nelle montagne, ci sono le carote portate al cavallo come in Renegade, c’è una musica con il fischio che ricorda quella di Trinità (e il fischio è davvero del fischiatore originale di quelle colonne sonore, Alessandro Alessandroni), c’è un brano di Micalizzi e tutto il resto dello score è di Pino Donaggio, la moto da viaggio (Harley Davidson), gli occhiali da sole e un abito di pelle da biker. Aggiungendo elementi e dettagli di un’intera carriera in soli 50 secondi ancora è possibile vedere una padella da bivacco messa in bisaccia, uno scorpione del deserto e le aquile che lo accompagnano in questa partenza in moto dalla sua dimora.

[caption id="attachment_308718" align="aligncenter" width="2500"] Fagioli west + bikers + padre/figlia[/caption]

Dopo questo attacco la storia di Il Mio Nome è Thomas sarà quella di un uomo che decide di partire per compiere qualcosa di importante per sé, andare a leggere un libro sulla religione nel deserto, e che prima di farlo (e questa è la seconda scena) si reca da un gruppo di frati che lo ribattezzeranno. Terence Hill, il cui vero nome è Mario Girotti, anche nel film riceve uno pseudonimo con cui si farà chiamare per il resto del film (non sappiamo nella finzione come si chiamasse prima il suo personaggio ma è bello pensare si chiamasse effettivamente Terence): Tommaso, o Thomas (“che gli sta meglio” dicono i frati).
Non è chiaro quale sia il senso di tutto ciò per il film, ma a chiunque lo guardi il senso meta-filmico è abbastanza evidente. Stiamo vedendo la vita e la carriera di Terence Hill ammassate in scena senza un ordine e un senso chiari ma con un’evidenza disarmante in un film che richiama Il Mio Nome è Nessuno e si fonda su un ribattezzo.

Dunque quando è chiaro che Il Mio Nome è Thomas sta sublimando un incrocio inedito tra vita personale e vita professionale, arriva l’ultimo colpo. Il luogo in cui il protagonista si sta dirigendo è l’Almeria, la zona della Spagna in cui sono stati girati la maggior parte degli spaghetti western, e quando ci arriverà capiremo che non è un caso o un riferimento buttato lì ma stava effettivamente cercando un vecchio villaggio west diroccato in cui vivere. Nessuno dirà mai come mai quella persona sapeva che lì c’era un villaggio west finto e perché conosca quel luogo. Questo non fa che accrescere il senso evidente di bilancio personale.

[caption id="attachment_308723" align="aligncenter" width="1920"] Almeria[/caption]

Terence Hill, a differenza del compagno Bud Spencer (cui il film è dedicato), ha sempre avuto un suo immaginario personale che raramente veniva fuori nei film della coppia. Uno fatto molto dell’America tradizionale, un ribellismo molto buono e positivo che rifiuta l’autorità che viene dal denaro ma accetta quella che viene dai sentimenti, uno stile burbero e di poche parole più a suo agio con fatti e azione (più che altro di schiaffoni) che mescola il west con il mito della strada. Solo dal 2000 a tutto ciò si è unito il tassello cristiano con Don Matteo (che lui ha sempre detto di considerare come un cowboy con l’abito talare al posto dello spolverino, il basco al posto del cappello a tesa larga e la bici al posto del cavallo). Quel personaggio che molti vedono come una fase separata dal resto è invece per Terence Hill un tassello coerente con il resto del mosaico e Il Mio Nome è Thomas lo spiega benissimo.

È evidente che in questo film tutti questi elementi sono presentati e ordinati in maniera abbastanza caotica, c’è più la voglia di mettere sullo schermo un richiamo a tutto che dargli un senso. Ma questo è anche il suo fascino (l’unico). Terence Hill gira un film in cui ci sono dettagli da Don Matteo, Ad Un Passo Dal Cielo, dagli spaghetti western (o meglio fagioli western) e Lucky Luke, dai suoi film da solista e ovviamente quelli in coppia con Bud Spencer. Non ci vorrà molto infatti perché scatti una piccola e modesta scazzottata con dei cattivi rigorosamente in completo (come sempre vestivano quelli dei loro film), mentre più avanti ce ne sarà una un po’ più elaborata in cui mostra di avere (a 79 anni!) ancora una certa forza atletica.

La trama del film poi coinvolgerà soprattutto una ragazza, anch’essa in viaggio, piena di problemi, depressione e tendenze suicide che cerca una risposta e svelerà un grosso problema. Ma questo film, dalla fattura realmente ingiudicabile e al di là del bene e del male, ha un atteggiamento così autunnale e crepuscolare, è così folle nella sua scrittura da non prevedere una vera trama o un vero intreccio, piuttosto si limita a gettare i due personaggi in Almeria e (l’impressione è quella) aspettare che accada qualcosa. Spunta ben presto lo spiritualismo cristiano, mai nascosto e molto evidente. Spuntano passaggi di Lettere dal Deserto di Carlo Carretto (un religioso italiano) e la trama si modifica. Non è un più un road movie ma assomiglia a una parabola di salvazione.

La cosa sorprendente è che Il Mio Nome è Thomas non ha infine paura della morte, proprio di rappresentarla e di superarla. In chiusura, con un colpo imprevedibile, si rivela clamorosamente un film sul superamento della perdita, la vita oltre la vita e una serena accettazione del crepuscolo dell’esistenza. Tutto ciò in un film scritto e diretto da un uomo che ha perso un figlio adottivo (Ross Hill, con lui in Renegade). Ambizioni smisurate in un’opera in cui tutto avviene immediatamente e con ben poche spiegazioni.
Come si scriveva all’inizio non ha senso in questo caso stare a giudicare il valore, perché troppo grande è la sorpresa e troppo clamoroso è il bilancio di una vita all’insegna del mito americano fuso con quello cristiano.

[caption id="attachment_308719" align="aligncenter" width="1237"] La cappella tra west e cristianesimo[/caption]

Nel villaggetto west diroccato, intorno all’ex saloon Thomas alla fine creerà una specie di luogo sacro con delle candele e della musica sacra, in quel luogo troverà il suo Purgatorio intorno a ciò che gli è più caro, il mondo del cinema on the road, dello stile di vita da cowboy moderno, qualche lancio da baseball e molto semplicismo unito a valori di granito.
Non è un film vero e proprio forse ma, e questa è poi la forza del cinema, al netto di tutto è un’opera che usa i miti e i luoghi comuni del cinema per rappresentare un immaginario a suo modo originale e unico di un uomo che ha vissuto dentro il cinema e la tv, rimanendone evidentemente influenzato, e finendo per identificare i valori della propria vita privata con quelli dei film e delle serie tv che ha interpretato.

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