Il fuggitivo, trent’anni di classe purissima

Il fuggitivo compie trent’anni, ed è rimasto uno dei migliori thriller della sua epoca, e una delle prestazioni migliori di Harrison Ford

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Il fuggitivo uscì in Italia il 9 settembre 1993

Che cosa volete che diciamo su Il fuggitivo, un film talmente ben riuscito che il suo regista Andrew Davis non ha mai più neanche sfiorato questo livello di qualità? Il film con Harrison Ford tratto dall’omonima serie televisiva (che a sua volta la leggenda vuole che fosse stata ispirata alla vera vicenda del dottor Sam Sheppard, informazione che il creatore della serie ha più volte smentito) compie trent’anni, ed è un magnifico esempio di thriller che non è invecchiato di un giorno pur essendo invecchiato più di quanto i suoi creatori potessero immaginare quando lo girarono – un concetto apparentemente astruso che ora proveremo a spiegare meglio.

Perché Il fuggitivo non è invecchiato di un giorno

Il fuggitivo è un film kafkiano. Il suo protagonista vive una situazione assurda ed è costretto ad andare contro la legge per far prevalere la verità. L’altro protagonista è il suo perfetto contraltare, più un simbolo che un personaggio vero e proprio. Il dottor Richard Kimble, interpretato da un barbutissimo Harrison Ford che in quel periodo era in uscita da Indiana Jones e si stava reinventando come attore più drammatico e meno brillante, simboleggia la giustizia, intesa in senso assoluto, morale, non puramente legale e istituzionale. Rappresenta la persona a cui è stato fatto un torto e che è vittima anche di un’apparente cecità collettiva, a sua volta rappresentata e incarnata dallo U.S. Marshal Sam Gerard (Tommy Lee Jones vinse un Oscar per la sua interpretazione).

Gerard è invece la legge, è la giustizia costretta entro i confini dell’istituzionalità; è uno strumento, è l’uomo che esegue gli ordini senza farsi domande, perché tutto ciò che arriva dall’alto è corretto per principio. È un uomo tutto d’un pezzo, talmente tutto d’un pezzo da non essere in grado di riconoscere dove arrivano i limiti della legge e dove comincia il territorio grigio delle verità nascoste (per citare un altro bel film dell’Harrison Ford drammatico). I due sono rette all’apparenza parallele, che passano tutto il film in cerca di un modo di incontrarsi; meglio: una delle due lo fa, l’altra deve essere convinta, trascinata, puntata nella giusta direzione.

È questa ambiguità che rende ancora oggi così interessante Il fuggitivo: è un film che assegna il ruolo del “villain”, inteso come funzione narrativa, a un poliziotto integerrimo, e quello del protagonista a un tizio che, di fatto, sta cercando il modo di farsi giustizia da solo. Il che porta Il fuggitivo in ambiti tematici che possono ricordare addirittura Il giustiziere della notte; che non è poco per un film che, di fatto, è “solo” un lungo duplice inseguimento, una serie di set piece pieni di gatti, topi, labirinti e rivelazioni. È un film che non rinuncia mai a fare il thriller e a tenere la tensione altissima, perché non si vergogna di essere un’opera di genere, per quanto con ambizioni autoriali.

Perché Il fuggitivo è invecchiato tantissimo

Per un motivo apparentemente scemo: perché dal 1993 sono passati trent’anni. “Scemo” perché trenta erano anche gli anni passati tra la serie TV e l’uscita del film, eppure lo stacco che c’è tra questi due è infinitamente più piccolo di quello che c’è tra Il fuggitivo e un ideale remake scritto e diretto oggi, nel 2023. Il punto è sempre lo stesso quando si parla di thriller (di recente ne abbiamo parlato per Mission: Impossible): la tecnologia progredisce a un ritmo sempre più rapido, e certe soluzioni narrative che funzionavano nel 1993, nel 2023 andrebbero completamente ripensate.

Non ci sono smartphone connessi a Internet e tracciati via GPS, in Il fuggitivo. Non ci sono telecamere di sicurezza o foto segnaletiche in 4K: per gran parte del film, il miglior travestimento di Richard Kimble consiste nel tagliarsi la barba che portava quando l’hanno messo in galera. Tutte le chiamate anonime dalla cabina del telefono, gli inseguimenti in metropolitana e i mille travestimenti che Kimble usa per recuperare le informazioni che gli servono a ricomporre il puzzle della sua vendetta: oggi andrebbe tutto preso e buttato nel cestino, e riscritto da capo in ossequio al progresso.

Questo vorrebbe dire trasformare Il fuggitivo in un film estremamente più cerebrale, magari sostituendo il medico con un esperto di coding e CEO di una startup della Silicon Valley; oppure in un survival movie puro, nel quale l’unico modo per sfuggire a quel Grande Fratello che nel 1993 era ancora un Piccolo Fratello è nascondersi là dove neanche i satelliti GPS osano arrivare – in mezzo alle montagne, o tra le dune del deserto. Qualcosa di decisamente più estremo, insomma, della classica giungla urbana (e suburbana) del film di Davis.

Sono considerazioni oziose, comunque: per il momento, per fortuna, nessuno ha ancora pensato a un remake di questo piccolo/grande gioiello (che si meritò anche l’onore di una parodia con Leslie Nielsen, Il fuggitivo della missione impossibile). Non diciamolo troppo forte, prima che se ne accorga la gente sbagliata, e godiamocelo così com’è, con i suoi trent’anni sulle spalle che sembrano tre giorni, oppure un’eternità.

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