Il film di Uncharted esiste già e si chiama La Mummia

C’è un motivo se il reboot con Tom Cruise e Sofia Boutella è tornato di moda? Secondo noi sì

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Il film di Uncharted esiste già e si chiama La Mummia | Speciale

Nel momento in cui scriviamo queste parole, e forse anche nel momento in cui le leggete, il secondo film più visto su Netflix in Italia dopo Work It è il primo e ahinoi ultimo capitolo del terzo reboot di una delle saghe cinematografiche più venerabili della storia, cominciata nel 1932 grazie a Boris Karloff, recuperata negli anni Novanta da Stephen Sommers, resuscitata una volta di più da Universal grazie al potere di Tom Cruise e al momento tristemente spostata nel cestone dei progetti accantonati.

La re-re-resurrezione

La Mummia di Alex Kurtzman, uscito nel 2017, doveva essere un nuovo inizio, il primo passo lunga la strada della creazione di un universo condiviso popolato dalle classiche creature dei vecchi horror Universal, il tutto con l’obiettivo finale non dichiarato ma piuttosto evidente di arrivare a fare “Avengers con i mostri”. Invece incassò "solo" 410 milioni di dollari, in pratica nulla a fronte di un budget per produzione e marketing che si avvicinava ai 350 milioni, e divenne la tomba di tutto il progetto, che è stato subito resuscitato e riplasmato in “facciamo tanti film con i mostri ma che non c’entrano tra loro eh! Sia chiaro” e che è finito più o meno direttamente nelle sapienti mani di Jason Blum (che ha già prodotto L’uomo invisibile di Leigh Whannell, produrrà il prossimo Dracula e lavorerà insieme a Ryan Gosling per The Wolf Man).

Perché allora questo film maledetto, o questo maledetto film, uno dei flop di critica più clamorosi dell’intera carriera di Tom Cruise, deriso e additato e descritto con espressioni tipo“non si può neanche definirlo un film”, è il secondo film più visto su Netflix, più anche di 365 giorni? La nostra teoria è che c’entrino i videogiochi e l’algoritmo, oltre al fatto che La Mummia è stato smontato dalla critica statunitense molto più di quanto lo sia stato nel resto del mondo, e assumere che un film sia oggettivamente brutto solo perché lo dicono in America è il contrario di una buona idea.

Due minuti solo due vedrai

La Mummia non è brutto, e non è neanche lontanamente raffazzonato e incomprensibile come viene invece spacciato in giro. Il primo atto in particolare, una volta sbrigata qualche tediosa ma necessaria formalità narrativa, condensa in trenta minuti le otto/dieci ore di gioco di un capitolo a vostra scelta di Uncharted – stiamo dicendo che è di chiara ispirazione videoludica in tutto, nel ritmo, in certe inquadrature, negli stunt di Tom Cruise e Jake Johnson, nelle situazioni di distruzione a vari livelli che susseguono rapidamente e senza soluzioni di continuità... “Come Indiana Jones”, direte voi, ed è chiaro che il DNA è quello molto più che la versione semi-comica di Stephen Sommers, ma declinato con un altro tipo di linguaggio visivo, non l’avventurona spielberghiana ma il videogioco di avventura in terza persona, e se ci aggiungete che il protagonista non è un archeologo in cerca di storia ma un ladruncolo in cerca di pezzi preziosi da rivendere capirete perché Tom Holland ha già un modello su cui costruire il suo Nathan Drake. Ci sono momenti durante i primi trenta minuti di La Mummia nei quali basterebbe cambiare i nomi per trovarsi davanti all’ormai semi-mitologico live action di Uncharted.

Il dettaglio dei primi trenta minuti, che sono quelli dove questa commistione di linguaggi è più evidente ed efficace, è decisivo: Netflix considera “visto” un film o un episodio di una serie TV se l’utente l’ha guardato per almeno due minuti, e La Mummia ce ne mette quindici volte tanto a rallentare: l’ipotesi più probabile è che la maggior parte degli spettatori abbia retto fino all’ingresso in scena di Russell Crowe, poi abbia lasciato scorrere il film in sottofondo e abbia ricominciato a seguirlo sul finale, annunciato molto esplicitamente con un paio di grosse esplosioni e urla demoniache.

Perché il vero problema di La Mummia, il difetto più grave che ha trascinato il film più in basso di quanto si meriterebbe, è che a un certo punto la storia si ferma ed entra in gioco la mitopoiesi, il primo momento di costruzione dell’universo condiviso; non è solo l’introduzione del Dottor Jekyll in un film su La Mummia, è tutto quello che gli gira attorno, l’organizzazione Prodigium, la caccia al male in giro per il mondo, tutti dettagli che servono molto poco alla narrazione (il secondo atto si potrebbe asciugare di venti/venticinque minuti senza far perdere di senso al film) ma molto al gettare le basi per dieci, cento, mille altri film ambientati all’interno dello stesso canone narrativo. Non è una novità per progetti di questo tipo, a modo loro succedeva anche nei primi film del MCU e s’è visto qualcosa di simile anche in un altro nascente universo condiviso, quello che finora comprende Kong: Skull Island e Godzilla: King of the Monsters.

L'insostenibile pesantezza dello spiegone

Il problema di La Mummia è più che altro il “come”: tutto quello che coinvolge Russell Crowe nel film è posticcio e fuori posto, spezza tutta l’azione appesantendola con spiegoni e allusioni che non verranno spiegate prima del film successivo, o quello dopo ancora, o almeno sarebbero state spiegate se la seconda opera da regista di Alex Kurtzman non avesse ammazzato il progetto in culla. La Mummia sarebbe potuto essere dieci volte migliore se si fosse concentrato su quello che nel film funziona (gente in costante pericolo di vita, battutine taglienti, grandi sequenze action, un po’ di soprannaturale) e non fosse stato costretto a inserire l’equivalente cinematografico del “materiale di lettura non richiesto”.

Poi a un certo punto, come dicevamo sopra, arrivano altre esplosioni e La Mummia torna ad accelerare, fino a un finale piacevole per quanto insoddisfacente (per i motivi esposti sopra). Ci sono grandi eserciti di zombie – una scena di inseguimento a nuoto che li vede coinvolti è particolarmente gloriosa –, un paio di combattimenti girati in maniera tutto sommato competente, quel pizzico di drama che stuzzica, o dovrebbe stuzzicare, anche gli occhi del cuore, c’è insomma tutto quello che lo spettatore si aspetta dopo aver visto l’inizio ed essersi un po’ distratto nella parte centrale – “forse mi ricordo che c’è una pietra? E lui è maledetto? Alla fine distruggono la pietra quindi vedi che la pietra c’entrava. Mi ricordo anche il dottor Jekyll a un certo punto?”, discorsi simili insomma, indicativi di un film imperfetto ma abbastanza divertente da venire ricordato con affetto da chi non lo approccia aspettandosi Le notti di Cabiria.

Oppure, se preferite, un film perfetto per una visione disattenta, da divano, come dimostrano i numeri. Decidete voi se è un’offesa o un complimento.

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