Il duro del Road House funziona perché sì

Il duro del Road House è un film sgangherato e bizzarro, e funziona perché è un mix perfetto di ingredienti improbabili (e Patrick Swayze)

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Il duro del Road House è su Amazon Prime Video

Nel 1987, un ballerino diventato attore divenne una star internazionale di prima grandezza per un film nel quale interpretava un istruttore di danza. Nel 1991, questa stessa persona venne eletta da People “uomo più sexy del mondo”. Esattamente in mezzo a questi due passaggi di carriera chiari e logici, Patrick Swayze strappò la gola a una persona mentre insegnava ai suoi colleghi a essere gentili, in un film che ebbe un discreto ma non imprescindibile successo e che ha conosciuto la vera fama grazie a una gag dei Griffin. Il duro del Road House è uno dei film più trasmessi anche nel nostro Paese, eppure se ci pensate un attimo è un culto curioso e a tratti inspiegabile.

Il duro del Road House è un film piccino

Chissà quanti italiani, nel 1989 e in tutti gli anni successivi fino all’avvento di Google Translate, si posero la fatidica domanda: “se il film si chiama Il duro del Road House, perché il locale dov’è ambientato si chiama Double Deuce?”. La risposta è ovviamente che “road house” è un termine generico che indica un locale per nutrirsi e intrattenersi collocato lungo una strada che porta fuori città, o anche fuori da un piccolo paesino in mezzo al nulla. È il caso di Jasper, Missouri, dove il film è ambientato e che ancora oggi conta meno di 1.000 abitanti: Il duro del Road House è un’opera piccina che parla di posti piccini e di gente ancora più piccina, e le sue stranezze si possono spiegare più o meno come David Lynch spiegava quelle di Twin Peaks.

Questo suo essere completamente astratto dalla metropoli e tutto ambientato in un luogo dove ci si conosce tutti lo rende anche un po’ un western, del quale condivide in fondo la struttura di base: uno straniero arriva in una città nella quale la bilancia del potere oscilla tra due gruppi rivali, e con il suo fare misterioso e i suoi metodi efficaci risolve la situazione. L’unica differenza è che non se ne va cavalcando verso il tramonto: per il resto, Patrick Swayze mette il suo talento da ballerino, e il suo grande impegno nell’imparare le arti marziali per l’occasione, al servizio di una storia vecchia come l’America, e modernizzata solo perché ambientata non in un saloon ma in un ristorante anni Ottanta.

La varia umanità del Double Deuce

Questa scelta a sua volta fa sì che Il duro del Road House sia popolato di figure assurde e larger than life, che spesso compaiono solo in una scena per fare qualcosa di buffo o imprevedibile per poi tornare a confondersi tra la folla. Si ha spesso la sensazione, guardando questo film, che nessuno sia normale, a parte il povero James Dalton (sulla cui normalità, comunque, qualcosa da dire ci sarebbe), e che la varia umanità che riempie il film sia saltata fuori da un fumetto pulp degli anni Trenta, o da un film satirico/ironico/postmoderno.

Invece no, è tutto vero ed è tutto anni Ottanta, dalle pettinature alla colonna sonora. Rowdy Herrington, il regista, qui al suo secondo film dopo aver debuttato con un thriller su Jack lo Squartatore, non ha avuto una grande carriera, ed è bizzarro guardando Il duro del Road House: ha un controllo notevole delle inquadrature e sa giostrare soprattutto gli interni con grande maestria, e anche le coreografie dei combattimenti sono spesso di squisita fattura. E soprattutto sa gestire la folla, il che per un film ambientato in un locale affollato è fondamentale. È grazie a lui se il Double Deuce prende vita e ci fa accettare qualsiasi cosa, che sia una rissa violentissima o un momento slapstick da film di Alvaro Vitali.

Siate gentili

Ovviamente, il vero collante che tiene insieme tutto questo progetto è un altro: ne parlavamo all’inizio come dell’uomo più sexy del mondo. Patrick Swayze è oltre la perfezione nel ruolo di Jack Dalton, con il suo mix di fascino enigmatico e tranquillità zen che lo rende magnetico anche quando sta zitto e sorride (succede per circa il 60% del film). Questa scena da sola dovrebbe dimostrare quanto Il duro del Road House sappia di essere un film che funziona grazie al suo protagonista, e che si prende dunque tutto il tempo che serve per celebrarlo, anche a costo di appesantire il minutaggio con sequenze tutto sommato inutili.

L’unico che gli può tenere testa è Sam Elliott nei panni di Wade Garrett, il Gandalf di James Dalton: anch’egli rinomato buttafuori, si presenta senza i suoi proverbiali baffoni ma con tutto il carisma di uno dei più grandi attori di Hollywood, e riesce in più di una scena a calamitare l’attenzione e distoglierla persino da Patrick Swayze. Ma Garrett in quanto personaggio esiste comunque in funzione di Dalton, che in Il duro del Road House è un porto sicuro, il faro a cui si guarda per giustificare qualsiasi cosa – gole strappate comprese.

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