Il Corvo è sempre di una bellezza struggente

Gotico, cupo, piovoso ma anche spaccone e destinato a diventare un culto: Il Corvo non ha perso un’oncia della sua potenza

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Le notizie che arrivano da chi ha già avuto modo di vedere il reboot di Il Corvo firmato da Rupert Sanders sono scoraggianti, e sarebbe fin troppo facile dire che ce l’aspettavamo. Meglio non pensarci, verificare nel caso con i propri occhi, e dedicarsi ad altro: per esempio, una ri-visione dell’originale, che quest’anno compie trent’anni e che li porta molto meglio di quanto avrebbe il diritto di fare, considerato quanto è radicato nell’estetica dei primi anni Novanta. Dire che “non è invecchiato” sarebbe sbagliato: meglio usare l’espressione “è diventato immortale”, per quanto non senza tempo. Succede quando hai una fonte fortissima a cui attingere, e un’idea estetica altrettanto potente; per non parlare degli aspetti meta-cinematografici, che hanno indubbiamente contribuito a creare il mito di Il Corvo ma che preferiremmo non affrontare in questo pezzo, perché fa ancora molto male.

Il Corvo, gli anni Novanta e non solo

Abbiamo scritto “estetica anni Novanta” e non abbiamo intenzione di ritrattare; ma sarebbe limitato ridurre Il Corvo solo a questo. Il fumetto originale uscì sul finire degli anni Ottanta, e conservava ancora molte tracce di quel decennio: era una storia cupa e romantica come lo era la musica di Cure e Joy Division, e il look dei personaggi (protagonista in primis) sembrava ispirato a una gita in una discoteca goth. Il film riprende queste suggestioni estetiche, alle quali aggiunge un set design che molti accostarono al primo Batman di Tim Burton, ma che a noi ha fatto venire in mente a più riprese Blade Runner – e non solo per la quantità di pioggia che cade durante il film.

Il Corvo è insomma un film di passaggio, un ponte tra due decenni che riesce a individuare con estrema precisione tutte quelle caratteristiche di continuità tra gli eccessi e le pose degli Eighties e il nichilismo cobainiano del decennio successivo. Persino la colonna sonora è costruita con questo criterio: ci sono Cure, Jesus & Mary Chain e Thrill Kill Kult, ma anche Pantera, Nine Inch Nails e Rage Against the Machine, e il miracolo è che lo stacco temporale non si sente (aiuta che due di queste tre band interpretino cover di pezzi anni Ottanta). Capita spesso che i film connotati temporalmente assomiglino a capsule temporali cristallizzate in u certo periodo; Il Corvo è invece la testimonianza diretta di un cambio di decennio, di un momento di passaggio, e anche per questo è riuscito già trent’anni fa a parlare a due generazioni contigue ma ragionevolmente diverse.

L’importanza di chiamarsi Proyas

Uno dei segreti mica tanto segreti di Il Corvo è più che altro una cosa della quale non si discute mai a sufficienza: Alex Proyas, che al tempo era appena al suo secondo film dopo aver debuttato anni prima con quella che era quasi un’autoproduzione, era la persona giusta al posto giusto e al momento giusto. Il suo Spirits of the Air, Gremlins of the Clouds era una sciocchezzuola sci-fi con tante idee buffe ma una certa carenza di visione d’insieme. Con Il Corvo, anche grazie a una sceneggiatura che si appoggia al fumetto senza snaturarlo ma semplificandolo dove serve, Proyas trova (già) la sua dimensione. Che è poi quella onirica: Il Corvo è un film di inquadrature sbilenche, angoli impossibili, movimenti di macchina volti a disorientare e spiazzare.

A tratti è ai confini con l’espressionismo, e quest’estetica da sogno alcolico si accompagna alla perfezione a una sceneggiatura che procede per strappi e scossoni, salti temporali in avanti e all’indietro, continui cambi di punti di vista e anche scarti di tono. Ci sono parecchie sequenze che sono lì solo perché sono belle, e non aggiungono nulla alla storia ma moltissimo al piacere di chi guarda. Detto altrimenti: Il Corvo è un film molto più sperimentale di quanto dica la sua fama, che ne parla come di un culto ma che raramente menziona quanto sia profondamente strano.

Il piacere dell’invulnerabilità

Rivedere oggi Il Corvo, comunque, è illuminante anche per un altro motivo: è evidente fin dalla prima scena in cui Eric Draven ammazza qualcuno il motivo per cui abbia colpito così tanto l’immaginario collettivo di due generazioni. D’accordo, è bello e strano; d’accordo, ha una colonna sonora passata alla storia. Ma soprattutto, vedere il protagonista in azione dà una soddisfazione rara, persino per un film (tecnicamente) di supereroi. Il trucco è concentrare tutta la tragedia e la fase di down all’inizio della vicenda di Eric Draven e della sua Shelly: quanto possono peggiorare le cose se la prima che ti succede è venire ammazzato?

E infatti da quando Draven ritorna in vita le cose non fanno che migliorare. È invulnerabile, immortale, fortissimo e parecchio incavolato: Il Corvo è in sostanza un rape & revenge nel quale la revenge è a carico di una terza persona e non della vittima del rape, e questa terza persona passa un’ora e mezza a sfogarsi contro chi l’ha ammazzato. Non ci sono mai veri dubbi sul successo della sua missione di vendetta: sembra di vedere Liam Neeson in Io vi troverò, che scena dopo scena elimina interi eserciti di avversari senza sudare. È un film tragico e romantico, ma Il Corvo è anche una power fantasy, nella quale c’è bisogno di una principessa in pericolo perché il protagonista abbia un momento di crisi. Per il resto, Draven è un Terminator, o se preferite il mostro di uno slasher che però ha ragione. È un film profondamente triste, Il Corvo, ma è anche una spacconata ipermuscolare, e questo accostamento azzardato funziona alla grande. Insomma, è un classico, che nessun brutto reboot potrà mai svilire.

The Crow – Il Corvo è in sala dal 28 agosto

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