Il corpo e la sessualità in Ghost in the shell: la rivoluzione della nudità

Identità, corpo, anima. Ghost in the shell è ancora rivoluzionario per come provoca superando la sessualità verso l'utilitarismo

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Per festeggiare l’arrivo, il 14 aprile, dell’edizione home video in 4K di Ghost in the shell vi proponiamo alcune riflessioni ispirate al saggio di Mary Beth McAndrews, per il sito filmschoolrejects, sulla fisicità e la sessualità nel film di Mamoru Oshii.

Alzi la mano chi, entrando in una fumetteria per la prima volta, non è rimasto colpito dall’onnipresente copertina del DVD di Ghost in the Shell. Le linee verdi del chip ricordavano il ben più celebre Matrix (in pochi sapevano che l’influenza era contraria). In primo piano una pistola tra le mani di un’affascinante donna… nuda. Salvo scoprire subito dopo, una volta caduto l’occhio, che non si tratta di una donna, ma di un androide. 

Ecco, sin dal primo impatto della riuscita e inquietante immagine promozionale, Ghost in the shell si raccontava per quello che è. Una riflessione sulla tecnologia futura, certo, ma più nello specifico un thriller cibernetico sull’esistenza terrena e sulla condizione della carne umana in rapporto all’anima. E cosa c’è di più umano della nudità?

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McAndrews riflette in particolare modo sulla scena iniziale con la costruzione fisica del Magiore Motoko Kusanagi. È chiaro sin da subito che siamo in un mondo in cui i limiti del corpo umano sono obsoleti. E in quanto tali intollerabili. La funzionalità di quella macchina fatta di muscoli, nervi e tessuti è "aumentata" da aggiunte cibernetiche. Aumentata, diciamo, non solo potenziata, intendendo il termine allo stesso modo della “realtà aumentata” dove uno non esclude l’altro ma le due cose convivono in armonia.

La nudità è quindi l’assunto di partenza per la riflessione psico-filosofica del film. Il punto base dell’essere più puro, che non ha sovrastrutture. Il corpo svestito, nel contesto narrativo di Ghost in the shell, stupisce lo spettatore. Bastano pochi minuti per capire che il paradigma della nudità è infatti completamente ribaltato rispetto al nostro occhio. Le inquadrature sono sì legate a uno sguardo maschile e pruriginoso (come promesso dalla locandina). Ma questo è un problema dello spettatore, di chi guarda. Non certo degli abitanti del 2029 il cui corpo ha perso ogni funzione sessuale in funzione della pura utilità.

A ben vedere, anche Matrix ha ben ripreso questa filosofia, sicuramente in maniera meno radicale, ma anche le sorelle Wachowski hanno messo in secondo piano l’antico primato del corpo rispetto all’identità sessuale. La carne è una batteria, è vista dalle macchine come un oggetto, ma è l’anima il vero mistero irriproducibile. 

Ghost in the shell

Tornando a Ghost in the shell: Kusanagi si nasconde dai sensori termici non mascherandosi ma... denudandosi. Si spoglia prima di entrare in azione. Perché nella lettura utilitaristica del corpo, tutto ciò che è sopra è un di più, è quasi il cammuffaggio che dà l’identità apparente al soggetto. Tra i corpi nudi, non c’è invece differenza. Nel momento di massimo sforzo, lottando contro una macchina, il corpo del maggiore si distrugge e cresce, assume posture e una struttura muscolare da statua greca maschile. Mentre intravvediamo il suo interno fatto di cavi e metallo sembra emergere dal profondo un aspetto maschile del suo io. Ancora una volta è il corpo che si modella per realizzare le pulsioni del subconscio.

Ma allora la questione che attraversa tutto il film non è quella di superare la sessualità o oggettificare il corpo per compiacere lo sguardo (non concordiamo in questo con quanto lasciato indirettamente intendere nel saggio). Quello, lo ripetiamo, è un problema di chi guarda. Mamoru Oshii è interessato invece al materiale, alla forma delle cose. Il Magiore Motoko ha il corpo perfetto proprio perché è artificiale, e quindi per lui meno affascinante della carne “impura”. Oshii è attratto dal Ghost (il subconscio), nascosto nell’involucro (shell). 

Sotto questa chiave di lettura viene da chiedersi quindi se quella forza vitale imprigionata sia l’anima o, superando questo concetto, sia un io. Una coscienza diffusa nel cyberspazio che quindi non dipende più da un luogo o da una materia. E se è sciolta da questi vincoli allora è perfetta, quasi divina, sicuramente indipendente e libera. E chi è totalità di sé non è più costretto a dipendere dall’altro.

Ghost in the shell non si limita quindi a osservare un nuovo rapporto tra il corpo e la sessualità, come spiegato nel saggio. Ma crediamo si possa fare ancora un passo ulteriore nell’analisi, andando a osservare di nuovo lo sguardo. La vista, in quel mondo, non è unica e assolutamente non è oggettiva. Si guarda in digitale, si guarda attraverso scanner, si legge la temperatura, la posizione e così via… L’occhio semplice fatto di nervi, muscoli, cornea e iride non ha più senso di esistere perché è esploso in un’infinità di visioni. Esattamente come accade oggi, dove la realtà è filtrata da un milione di schermi. Ed è questa la condizione per scomparire sotto gli occhi di tutti, spogliandosi dalla maschera, uscendo dall’involucro.

Il Magiore Motoko vince così il desiderio sessualizzante della contemporaneità (che, a ben vedere, è ancora più utilitaristico di quello del film): mettendo il proprio io al centro della sua finitezza. Non importa di cosa sia fatta, ma la sua coscienza è l’unica che deve restare integra. E allora potrà essere libera di definire se stessa senza dipendere più dalle mani degli altri che plasmano e modellano a propria immagine e somiglianza. 

Fonte: Filmschoolrejects

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