Il cinema italiano è rinato?

In un recente articolo del New York Times, si parla del successo delle pellicole nostrane a Cannes. Ma siamo sicuri che sia una svolta? O sono le solite esagerazioni?

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Nel 2001, Nanni Moretti vinceva il festival di Cannes con La stanza del figlio, dopo un digiuno durato quasi venticinque anni per le pellicole italiane. Intanto, due registi come Gabriele Muccino e Ferzan Ozpetek ottenevano un grande successo al botteghino, di solito riservato a prodotti comici di ben altro genere, grazie a L'ultimo bacio e Le fate ignoranti. Il protagonista di quei film, Stefano Accorsi, portava poi al successo anche la deliziosa opera prima di Marco Ponti, Santa Maradona, mentre Ermanno Olmi realizzava un lavoro notevole con Il mestiere delle armi. Il cinema italiano, insomma, era rinato, in grado di ottenere grandi successi commerciali con prodotti di qualità e di brillare anche all'estero. Una svolta, peccato che la rivoluzione annunciata non sia mai avvenuta.

Con questa premessa, potete capire il mio scetticismo verso la recente rinascita (la decima? La quindicesima?) del cinema italiano. Anche perché, la situazione mi sembra molto meno stimolante di quella del 2001. Vediamola un attimo. Si parla tanto del successo dell'Italia a Cannes, ma ci si scorda di dire che, oltre ai due titoli in concorso, c'era un'altra coppia di prodotti nostrani in sezioni collaterali, Sangue pazzo e Il resto della notte. Questi titoli si sono dimostrati dei flop terribili al botteghino e mentre almeno il budget della pellicola di Giordana verrà ammortizzato in parte dal passaggio televisivo, i 2,2 milioni che è costato Il resto della notte sono impossibili da recuperare.

Veniamo ai due successi. Gomorra si porterà a casa (alla fine della sua avventura) circa undici milioni di euro solo in Italia e per una pellicola costata 4 milioni, è già un successone, qualsiasi cosa faccia all'estero. Il discorso de Il divo è invece un po' diverso. Dopo due settimane notevoli, la pellicola di Sorrentino (complice anche la stagione estiva) è calata e chiuderà con poco meno di cinque milioni. Considerando un costo intorno ai 4,2 milioni e le percentuali degli esercenti, significa stare ancora in passivo. Per carità, con tutti gli altri mercati (home video e televisioni) un profitto per la Lucky Red ci sarà sicuramente, ma non è il caso di gridare al trionfo, magari soltanto perché le altre tre precedenti pellicole di questo talentuoso regista non avevano raggiunto questa cifra neanche sommando i tre incassi.

Per il resto, cosa ha offerto il panorama italiano in questi primi sei mesi dell'anno? A parte gli strascichi panettosi di De Sica e Pieraccioni (che vanno sempre bene, ma che con i discorsi sulla rinascita hanno poco a che fare), non certo molto di esaltante. L'esordio alla regia di Silvio Muccino non ha convinto né la critica né il pubblico (8 milioni di euro, per una pellicola così attesa, non sono un risultato fantastico). L'ultimo Verdone ha sicuramente portato la gente al cinema, ma francamente ha anche posto una pietra tombale sui suoi personaggi preferiti (e per fortuna, verrebbe da dire). Il tentativo di seguire la scia giovanilistica, con prodotti come Questa notte è ancora nostra o Ultimi della classe, è stato un flop. L'unico che si è salvato è Scusa ma ti chiamo amore, che oltre ad essere stato un successo al botteghino, era anche quasi decente.

Caos calmo, nonostante lo 'scandalo' fabbricato ad arte e la presenza di Nanni Moretti, non è andato oltre i cinque milioni e non ha convinto neanche al Festival di Berlino. Tutta la vita davanti si è attestato sui 4 milioni, peraltro senza assolutamente portare al cinema i ventenni di cui parla. Colpo d'occhio di Rubini non è arrivato ai 3. Il mattino ha l'oro in bocca non ha raggiunto il milione (nonostante il traino di Baldini e Fiorello), stesso risultato (non) ottenuto da I demoni di San Pietroburgo.

Insomma, quando il New York Times parla di rinascita perché due pellicole hanno vinto premi a Cannes (di cui una con grande riscontro di pubblico) rimango perplesso. Intanto, non capisco tutta questa enfasi sul 'neorealismo'. Il segreto del successo, sembra dire il prestigioso quotidiano americano, è stato il ritorno del neorealismo (o neoneorealismo). Peccato che negli ultimi vent'anni siamo stati sommersi da centinaia di pellicole due camere e cucina e/o titoli di denuncia che non vedeva nessuno. Quale sarebbe la novità? E tutto si può dire de Il divo, tranne che segue le orme di De Sica e Rossellini (se vogliamo, è molto più vicino al Petri di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, insomma quasi agli antipodi del neorealismo). Inoltre, negli ultimi vent'anni Paesi (Iran, Corea, Turchia, Brasile) con una tradizione cinematografica non eccelsa hanno vinto molto di più nei vari Festival e ottenuto riscontri all'estero che noi ci sogniamo.

La mia paura è che un successo (e mezzo) ottenuto rischi di essere fuorviante. Gomorra era l'adattamento di un libro popolarissimo e che ha conquistato i lettori. Oltre a questo, c'è stata la sensazione di film da 'vedere' assolutamente per dimostrare il proprio impegno civile. Un fenomeno, insomma, difficilmente ripetibile e se qualcuno è convinto che il pubblico italiano stia aspettando con ansia qualche decina di pellicole sulla camorra, temo che si sbagli. Il divo ha avuto un traino fantastico da Cannes, ma anche dai mass media (quando gli ricapita a Sorrentino una puntata di Anno zero tutta per lui?). Tornando a parlare di personaggi meno 'divistici' e leggendari di Andreotti, non è detto che i risultati siano gli stessi. Spero, insomma, che i produttori siano abbastanza intelligenti da non pensare di poter affidare budget molto più ingenti a Garrone e Sorrentino per qualsiasi loro progetto, contando su grandi trionfi al box office.

Ma il problema è un altro e (quasi) nessuno lo nota. Molti sembrano pensare che la vera rinascita del cinema italiano debba partire dai film d'autore (e dalle vittorie a Cannes), che poi dovrebbero essere salutari per tutto il panorama produttivo. in realtà, va sempre ricordato che i film di Fellini ed Antonioni venivano prodotti grazie alle commedie con Franco e Ciccio e con i poliziotteschi di Maurizio Merli. Abbiamo per caso nel nostro Paese chi produce materiale di genere? No, mentre in Spagna (tutta una serie di fortunati horror di prestigio, da Apri gli occhi a Il labirinto del fauno fino al recente The Orphanage), Francia (basta guardare il curriculum da produttore di Luc Besson di un anno qualsiasi e scoprire che c'è più roba che da noi in un decennio) ed Inghilterra (le parodie di Edgar Wright, le pellicole di Danny Boyle). Insomma, come la linea editoriale di Badtaste dovrebbe indicare chiaramente, è il cinema di genere e commerciale che porta avanti un'industria e permette di vedere prodotti d'autore interessanti. Chi pensa che sia il contrario, rischia di andare incontro all'ennesima delusione...

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