Il cacciatore: follia da method acting di De Niro, veri proiettili e la lotta per un capolavoro

Un film come Il cacciatore può nascere solo da un profondo desiderio di spingersi al di là delle solite lavorazioni

Critico e giornalista cinematografico


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Vere pallottole dentro vere pistole, mesi senza lavarsi, attori in fin di vita, Robert De Niro all'apice del method acting e un regista che non aveva studiato regia, hanno creato Il cacciatore

La guerra è più che altro attesa: aspettare che arrivi la morte in un attimo. E come fai a renderlo un dramma? È proprio un problema filmico” così Michael Cimino spiega il perché della roulette russa, come mai il suo film su un gruppo di ragazzi che partono per il Vietnam e al ritorno non sono più gli stessi contiene pochissime scene di guerra combattuta e moltissime di roulette russa. La ragione è che non si può riprendere l’attesa, non è cinematografico, e la cosa più vicina a quella tensione di aspettare che arrivi fulminea la morte è la roulette russa. Accadevano sul serio quei duelli conditi da scommesse, Cimino aveva anche dei ritagli di giornali indonesiani in cui venivano raccontati, ma questa base reale è un dettaglio marginale. Il problema era tutto drammaturgico. Ogni qualvolta che in Il cacciatore c’è uno scontro a fuoco con il nemico (avviene due volte: dopo il primo bombardamento quando Robert De Niro usa un lanciafiamme, e poi quando si liberano dalla prigionia) tutto si gioca in pochi secondi e con tagli appositamente confusi, in un film per il resto molto dilatato. La guerra è morte (o sopravvivenza) subitanee. Il resto è interminabile attesa.

Nasce con questi presupposti e con un gruppo di persone che avevano un gran desiderio di fare film senza seguire nessuna buona norma, uno dei romanzi per immagini più vivi e potenti degli anni ‘70. La storia della realizzazione di Il cacciatore è infatti una lunga serie di norme e regole per il buon cinema che sono state infrante. In primis da Michael Cimino, che si è sempre vantato di non aver fatto scuole di cinema, di essere arrivato su un set senza sapere che certe cose non si fanno. E quindi di averle fatte: “Ci sono delle sequenze in cui i personaggi camminando passano attraverso 4-5 location diverse, un’inquadratura la giravo in un luogo, una in un altro e poi un’altra ancora altrove, tutto per la stessa camminata. Per me aveva senso e nessuno mi aveva detto che non si fa”. E soprattutto Il cacciatore è la storia di un gruppo di attori che, chi più chi meno, erano all’inizio della propria carriera cinematografica, galvanizzati da una grande sceneggiatura, dall’essere tra i migliori della propria generazione e dal poter lavorare con un regista che li spingeva tantissimo sull’asse del method acting, cioè quella tecnica di recitazione che punta all’immedesimazione nel personaggio.

"Cose mai viste prima"

Per la parte ambientata in Vietnam Cimino aveva chiesto agli attori “di fare cose mai fatte prima, di dormire con le uniformi, di non levarle mai, di tenerle anche se bagnate per un mese. Non si sono rasati, non si sono lavati, che poi è ciò che accade in guerra. Puzzavano come l’immondizia e si fomentavano a vicenda”. Di certo questo cast corale aveva Robert De Niro come guida, che all’epoca era il più noto di loro, l’unico ad aver già trovato il successo. Era esploso con Il padrino - parte II, aveva girato Taxi Driver e Novecento di Bertolucci. Stava preparando Toro scatenato e voleva prendersi una vacanza quando gli arrivò la sceneggiatura di Il cacciatore. Ai suoi occhi era irrinunciabile.

Ci finì dentro fino al collo, sul fiume Kwai appeso a un tronco, trascinato dalla corrente. La decisione di fare quella scena così fu presa lì per lì. Ne stavano pianificando un’altra, Cimino propose loro di tuffarsi e saltare sul tronco, poi disse al direttore della fotografia Vilmos Zsigmond di riprendere tutto, i tre attori ci si buttarono, preda della corrente. L’imbarcazione da cui li seguivano Cimino e Zsigmond si ruppe, finirono in acqua e l’operatore per tenere la macchina da presa schiacciava sott’acqua il regista. Alcune delle inquadrature di quella scena sono state fatte con Cimino che soffocava sott’acqua e secondo lui è possibile sentirlo nella colonna audio. Robert De Niro era così spericolato in quella fase della sua carriera e si era creato un clima così esaltato sul set, che accettarono di essere avvicinati davvero da un elicottero nella scena in cui sono su un ponte e cercano di essere salvati. Sono davvero Robert Niro e John Savage quelli appesi alla base dell’elicottero, è di Cimino la mano che cerca di tirarli su senza successo e sono davvero loro che cadono in acqua da considerevole altezza. Non delle controfigure. Addirittura l’elicottero nell’approcciare il ponte si era incastrato su una delle corde che gli impediva di alzarsi, si stava inclinando pericolosamente, le pale stavano per toccare l’acqua, fu Cimino, a mano, a scendere alla base del mezzo, sulla pedana, e a liberarlo.

Un cinema audace, artistico, poetico e innovativo

Questo genere di situazioni sono frutto di un’atmosfera di grande libertà, grande fiducia nel film e grande esaltazione giovanile per la possibilità di un cinema audace, artistico, poetico e innovativo. In quel gruppo di attori c’era Christopher Walken, nel primo ruolo di rilievo della sua carriera, pronto a tutto pur di emergere; c’era John Cazale, forse l’attore più stimato e influente della sua generazione, presente in cinque film candidati al premio Oscar per il miglior film in soli sette anni (Il padrino, Il padrino - parte II, Quel pomeriggio di un giorno da cani, La conversazione, Il cacciatore), non il più famoso del gruppo ma un’autorità; e c’era Meryl Streep, anche lei alle prime esperienze di cinema dopo che essere diventata molto famosa nel giro teatrale di New York. Diverse fonti riportano che in quegli anni la versione di La bisbetica domata che aveva portato in scena a New York era “la cosa da vedere” e l’aveva consacrata come il prossimo grande nome della recitazione. 

Meryl Streep e John Cazale erano una coppia quando a Cazale fu diagnosticato il cancro. Nonostante la malattia fosse mortale volle lo stesso partecipare a Il cacciatore, ci teneva a girare almeno un film con Robert De Niro, lo fece mentre tutti sapevano che era malato. Nonostante questo nella scena in cui De Niro lo disarma e gli punta la pistola contro proprio Robert De Niro chiese di poterla girare con un colpo realmente nel caricatore “ma facciamo in modo che non sia in canna eh!” disse. Non era una pistola finta ma una vera con un vero proiettile dentro: “Credo che mi aiuterebbe a farla meglio”. La follia è che Cazale, avvertito della cosa accettò: “Si penso di potercela fare”. La Universal invece non fu avvertita, anche perché già erano terrorizzati che il cancro uccidesse Cazale in mezzo alla lavorazione e per questo si erano opposti all’averlo nel cast. Per poterlo scritturare Cimino accettò un patto infernale: scrivere una seconda sceneggiatura, d’emergenza, in cui il personaggio di John Cazale muore, così da poter finire il film anche in caso di prematura dipartita di Cazale (“Era veramente una merda di sceneggiatura” ha detto anni dopo Cimino). Cazale finì la lavorazione e in alcune scene è visibilmente più scavato e malato che in altre. Se lui doveva girare, sul set c’era sempre anche Meryl Streep. Dopo le riprese lei rimase in ospedale un mese accanto a lui, fino a che non morì. Aveva 43 anni, Meryl Streep invece 29 e una carriera incredibile che iniziava proprio da lì.

Di quel gruppo di attori scritturati per Il cacciatore fu De Niro il primo a essere scritturato. Perché la Universal accettasse di far partire la lavorazione di un film così grosso serviva un nome. Solo l’anno prima il Times lo aveva definito: “The hottest actor of the year”. E questo bastava. Soprattutto come detto Robert De Niro ci entrò a tutti i livelli. Non solo volle recitare nel film, nonostante avesse previsto un periodo di riposo, ma volle partecipare ai sopralluoghi, vedere le location e entrarci dentro. Quando si recarono le prime volte nelle fabbriche e nei piccoli centri che poi si vedono c’era anche De Niro, e fu proprio lui a suggerire a Cimino di prendere quella persona che li guidava e faceva da location scout per il film, per interpretare uno degli amici, il corpulento John. Era totalmente dentro al progetto, era nel momento migliore della sua carriera, era disposto a dormire negli alloggi degli operai delle fabbriche per avere più informazioni su come interpretare il suo personaggio.

Il risultato? Un film grandissimo

Il risultato di tutta questa preparazione, di queste tecniche poco convenzionali e dall’altra parte anche di un uso massiccio del method acting, ben oltre i limiti del ragionevole e del consentito, stranamente diede vita a un film grandissimo. Un romanzo di tre ore, che visto oggi somiglia ad una canzone di Bruce Springsteen e si snoda come un grande libro. Un film dalla formidabile gestione del ritmo e del tempo, bilancio di una generazione, una grande epica americana su un gruppo di amici e la tragedia che si abbatte su di loro. Racconta Cimino che quando proiettò il montato ai produttori, uno di loro vedendolo sembrava esaltato, gli piacevano il matrimonio, i balli e via dicendo, poi quando nella prima battuta di caccia il protagonista spara e si vede il cervo morire, cominciò a dire a voce altissima mentre il film ancora andava: “Non va. Non ci siamo. Abbiamo perso il pubblico. È finita!”. L’ordine era di far finire il film dopo il matrimonio, cioè dopo un’ora sulle tre totali, senza nemmeno la parte in Vietnam! Una follia che sembrava però la decisione finale. Cimino chiese solo la possibilità di fare due test screening, in due città diverse, uno con la versione lunga e uno con la versione corta: quella che avrebbe avuto il gradimento maggiore sarebbe andata in sala. Terrorizzato che la corta potesse di più Cimino piacere allungò 50$ al proiezionista perché simulasse un incidente a metà proiezione, la pellicola che si brucia e si strappa. Creò così artificialmente un’interruzione di mezz’ora, di quelle con le luci in sala che si accendono, che tirasse fuori il pubblico dal film, di fatto perdendolo quando poi il film sarebbe ripartito. Ovviamente alla fine la versione lunga risultò la più gradita.

Il cacciatore vinse 5 Oscar, di cui tre molto importanti: miglior film, miglior regia e miglior attore non protagonista con Christopher Walken. Robert De Niro e Meryl Streep, benché nominati, non vinsero a favore di Jon Voight e Jane Fonda in Tornando a casa. Al botteghino il film fu un trionfo a sorpresa. Sorpresa per tutti tranne che per Cimino, che in realtà l’aveva capito mesi prima cosa sarebbe successo. Lo aveva capito quando il film fu programmato per soli 10 giorni a Westwood, quel tipo di uscita tecnica che viene fatta prima della vera distribuzione, in modo da potersi qualificare per partecipare agli Oscar. In quei primi spettacoli le reazioni del pubblico erano state le più estreme, Cimino lo venne a sapere al telefono dall’esercente e non ci poteva credere, dovette andare di persona a vederlo. Gli spettatori svenivano per la tensione, si sentivano male e andavano in bagno a vomitare: “A quel punto capii che avevamo per le mani un successo”.

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