Il bizzarro anacronismo di Anya Taylor-Joy prima di La regina degli scacchi
La regina degli scacchi ha fatto esplodere il fenomeno Anya Taylor-Joy, ed è un’ottima occasione per recuperare la sua intera filmografia
LEGGI: La regina degli scacchi: Anya Taylor-Joy spiega la scena finale della serie
LEGGI: La regina degli scacchi prima di essere una serie Netflix è stato un film girato ad Ancona
Nata nel 1996, Anya Taylor-Joy ha cominciato come modella e non ha esordito al cinema prima del 2015, quando prima Robert Eggers e poi l’intero fandom horror hanno fatto la conoscenza della sua Thomasin, magnifica protagonista dell’altrettanto magnifico The VVitch. L’horror d’altra parte è il genere che l’ha traghettata fino alle soglie di Netflix per La regina degli scacchi: il film che le ha dato i primi accenni di fama è Split di Shyamalan, e anche l’inevitabile rito di passaggio del film di supereroi è avvenuto in un contesto sulla carta più orrorifico della media (parliamo di The New Mutants).
Scritto e diretto da Sergio Gutiérrez Sánchez, esordiente alla regia ma con alle spalle le sceneggiature di The Orphanage, The End e The Impossible, Marrowbone aveva tutte le carte in regola per far girare un po’ di teste – se solo fosse uscito almeno una decina d’anni prima. È un’opera gotica (un po’ all’europea, un po’ nel senso di american gothic), figlia di Henry James e Shirley Jackson e soprattutto del successo di The Others e di quella generazione di horror psicologici che quando Sánchez scrisse The Orphanage stavano passando di moda, e che oggi sono stati messi in soffitta dal cinema horror in favore di altre suggestioni, e si sono quindi spostati, offesissimi, in televisione.
Marrowbone arrivò quindi nel modo giusto ma sul medium sbagliato, la stessa situazione nella quale si trovò appena un anno dopo un altro esempio di favolona gotica uscita fuori tempo massimo, cioè Mistero al castello Blackwood con Alexandra Daddario. Ormai la casa delle case infestate è il c.d. “piccolo schermo”, e il fatto che Marrowbone sia particolarmente fiero delle sue radici e della sua struttura intricata e costruita tutta attorno a un grande mistero da svelare dettaglio dopo dettaglio non lo ha certamente aiutato. Come non è riuscito ad aiutarlo il cast, che oltre alla già citata regina degli scacchi comprende altri volti oggi notissimi come il Charlie Heaton di Stranger Things e Mia Goth (vista in Suspiria e in Emma, proprio insieme ad Anya Taylor-Joy), spettrale e ultraterrena come sempre.
Il segreto di questo insuccesso è il testardo rifiuto di Sergio Gutiérrez Sánchez di girare un film al passo con i tempi. Marrowbone è la storia di tre fratelli e una sorella che fuggono dall’Inghilterra insieme alla madre per sfuggire al padre, e trovano rifugio nella casa d’infanzia della madre stessa, dove si stabiliscono e dove devono difendersi dalla presenza di un fantasma che li perseguita e che potrebbe avere a che fare con il padre. Su questo scheletro da “film di case infestate”, nel quale è chiaro fin da subito che gli spaventi di rito saranno legati a una questione di famiglia, Sánchez innesta una serie di figure collaterali che ruotano intorno ai cinque, e che fungono più da plot point viventi che da veri personaggi: c’è un avvocato un po’ viscido che gestisce le carte della famiglia Marrowbone, un paesino del Maine popolato da figure di cartone...
E poi c’è lei, Anya Taylor-Joy, nella parte più innocua e ingenua della sua carriera: Allie la bibliotecaria, una ragazza solare sorridente simpatica che ovviamente diventa subito amica dei quattro e altrettanto ovviamente si innamorerà di uno di loro. E che, nella sua perfetta normalità, serve a fare da contraltare alle stranezze di questa famiglia che vive isolata nei boschi, e che tiene tutti gli specchi di casa coperti con un lenzuolo per tenere lontano il fantasma: è una parte inusuale per lei, che ne approfitta per dimostrare di essere capace di recitare anche ruoli più tradizionali e accomodanti.
Marrowbone racconta tutto questo con tutta la pazienza del mondo e un gran gusto per i particolari e i momenti di pura atmosfera, oltre che ovviamente per i plot twist e le scoperte shock. Sánchez si diverte un sacco a girare per i corridoi di questa lussuosa magione in perenne sfacelo facendo danzare la camera, e muovendosi di stanza in stanza in cerca di un po’ di luce crepuscolare o di uno scorcio che gridi “opulenza!” e “decadenza!” nello stesso respiro. È un film che trasmette il puro piacere di essere stato girato, al punto che se ci si abbandona al racconto si possono anche ignorare senza problemi tutti i buchi di trama, le soluzioni assurde, le lungaggini e persino l’artificiosità con il quale è stato costruito questo bizzarro, clamorosamente anacronistico mistero gotico.