I videogiochi dopo il 2020: qualcosa è cambiato | Speciale
È ormai da più di un decennio che si parla di ascesa dei videogiochi, ma il 2020 rappresenta un punto di svolta colossale per il medium
La crescita del fatturato della game industry deriva dallo spazio maggiore che i videogiochi hanno acquisito all’interno della società nell’ultimo anno. Accanto al fine principale, che è quello di intrattenere e coinvolgere chi gioca, i videogiochi si sono dimostrati una grande risorsa per la socializzazione e il divertimento collettivo durante la quarantena. Emblematico è l’impatto che ha avuto Animal Crossing: New Horizons su Nintendo Switch la scorsa primavera, grazie alle sue isole virtuali in grado di riunire e far divertire amanti, familiari e amici resi irraggiungibili e intangibili dalle misure di sicurezza.
La necessità di uno spazio di condivisione e socializzazione, seppur digitale, spiega il successo improvviso di Among Us, il videogioco sulle deduzioni sociali sviluppato dal piccolo team indipendente InnerSloth. Pubblicato nel 2018, il titolo è poi esploso improvvisamente solo nel 2020, con picchi di quasi mezzo miliardo di utenti raggiunti a novembre scorso. Il successo inaspettato di Among Us è dovuto al raggio di influenza di Twitch e streamer, anch’esso cresciuto con l’inizio della pandemia. Una sorte simile, anche se di portata minore, è toccata a inizio 2021 a Rust, il survival game multiplayer online di Facepunch Studios pubblicato sempre nel 2018.
Piccole rivoluzioni anche nella didattica, ora a distanza. Sono molti gli e le insegnanti, nonché associazioni e istituzioni, che hanno sperimentato sistemi alternativi di didattica tramite il videogioco. Da This War of Mine di 11 bit studios entrato a far parte nel 2020 delle letture consigliate nelle scuole secondarie in Polonia, a Just Dance utilizzato dalla Digital Schoolhouse per insegnare i codici di algoritmo. Per non parlare del supporto sempre più diffuso del Discovery Tour di Assassin’s Creed Origins e Odyssey per lezioni di storia, arte e filosofia.
In generale è evidente come la pandemia abbia portato nuove abitudini che vedono al centro il videogioco. Secondo l’indagine di SuperData, negli Stati Uniti il 55% della popolazione ha fatto ricorso ai videogiochi per svagarsi durante il primo lockdown. Nonostante i grossi numeri dovuti all’eccezionalità della situazione, secondo la compagnia si tratta di una tendenza volta a rimanere. Intanto il giro d’affari generato dai videogiochi negli Stati Uniti nel 2020 è di 60,4 miliardi di dollari. Volendo guardare casi più vicini, anche nel Regno Unito la situazione appare rosea: il mercato videoludico ha visto una crescita del 14,5% rispetto al 2019 pari a 4,4 miliardi di sterline. Crescita che riguarda anche il pubblico, passato da 33 a 36 milioni di utenti nel 2020.
E in Italia? “Il giro d’affari del settore nel 2020, comprensivo di hardware e software fisico e digitale, è pari a 2 miliardi e 179 milioni di euro, con una crescita del +21,9% rispetto al 2019”. È quanto emerge dal Rapporto Annuale sui videogiochi pubblicato da IIDEA, Italian Interactive Digital Entertainment Association. Scende invece lievemente il numero totale di giocatori (56%) e giocatrici (44%), passato in un anno da 17 a 16,7 milioni.
Il rapporto illustra pure l'impatto che il COVID-19 ha avuto sulle abitudini di gioco in Italia. Con le restrizioni dovute alla pandemia, sono aumentate le ore settimanali dedicate ai videogiochi, con picchi di 8,5 ore nella prima ondata, stabilitesi a 8 durante la seconda. Inoltre “i videogiochi multiplayer online hanno avuto un ruolo di grande supporto [...]”. Non stupisce dunque trovare il podio dei titoli più venduti del 2020 occupati da FIFA 21, GTA V, FIFA 20, seguiti dal già citato Animal Crossing New Horizons. Lo strapotere dei giochi sportivi non è comunque una novità dovuta all’eccezionalità della pandemia.
Se in Italia la maggioranza del pubblico videoludico si presenta poco varia “nei gusti”, lo stesso non si può dire dell’operato dei team di sviluppo. Il panorama nostrano è costellato da produzioni indipendenti che sperimentano col medium per esportare un’immagine del paese lontana da stereotipi e immaginari consolidati. Tra i casi più recenti figura A Painter’s Tale: Curon, 1950, sviluppato da Monkey Tales Studios in collaborazione con l'associazione IVIPRO. Un titolo tanto semplice nelle meccaniche da walking simulator, quanto profondo nel saper raccontare la storia del suggestivo borgo altoatesino oggi sommerso dalle acque del Lago di Resia.
Ma gli esempi sono diversi: da Hundred Days, il “winemaking simulator" di Broken Arms Games che esalta la cultura vinicola tramite meccaniche da gestionale, a Milanoir di Italo Games, che invece omaggia il cinema poliziesco italiano degli anni Settanta con un gameplay che strizza l’occhio a Hotline Miami; da Football Drama di Open Lab Games, che parla di calcio come fenomeno culturale e sociale grazie a un’importante componente narrativa, a Wheels of Aurelia, il racing game di Santa Ragione che racconta di un viaggio in auto nel pieno degli Anni di Piombo.
Non a caso i titoli appena citati sono stati i protagonisti del recente X Indie Developer organizzato da Nintendo in collaborazione con IIDEA. Questo perché i titoli menzionati sono arrivati, o arriveranno entro il 2021, su Nintendo Switch. Dai titoli citati emerge una promozione dell’Italia dall’estetica sì internazionale, ma che non rinuncia alla propria identità. Una promozione sensibile e attenta grazie a riferimenti e rappresentazioni che traggono ispirazioni da letteratura, musica, cinema e capitoli di storie locali o di portata nazionale spesso esclusi dalle narrazioni mediali, in primis videoludiche.
Se da una parte il supporto di Nintendo rappresenta un’ottima spinta per lo sviluppo indipendente italiano, sono però le istituzioni a doversi muovere per prime in tale direzione. Un primo passo importante è stato fatto nel 2020 con il First Playable Fund, fondo istituito presso il Ministero dello sviluppo economico per sostenere lo sviluppo di videogiochi - e più in generale di intrattenimento digitale - nelle fasi di concezione e pre-produzione. Tuttavia, in base a quanto emerso all'evento X Indie Developer, ciò che serve per rendere “il videogioco italiano” competitivo nel panorama internazionale è soprattutto una formazione imprenditoriale, il supporto per la distribuzione e la sensibilizzazione del pubblico.
Per quanto ancora in Italia non si possa parlare di una cultura videoludica a 360 gradi, è possibile scorgerne gli albori. A livello globale, l’impatto che ha avuto la pandemia del 2020 nella penetrazione dei videogiochi - nelle diverse declinazioni di prodotti, espressioni, strumenti - all'interno della società rappresenta una svolta colossale. Gli effetti sono già evidenti e a portata di dati. Adesso bisogna vedere come evolveranno una volta tornata l'agognata normalità.