I sette samurai, sette motivi per cui è un capolavoro

I sette samurai compie settant’anni e noi lo celebriamo con sette ragioni (una per samurai) per cui è uno dei più grandi film di sempre

Condividi

I sette samurai uscì nei cinema il 26 aprile 1954

Uno degli incubi di chi scrive di cinema è quando arriva il momento di celebrare un anniversario importante. E più passano gli anni più questo terrore aumenta, perché una cosa è parlare dei dieci anni di un film che è diventato rapidamente un classico, un’altra è farlo di fronte a un’opera colossale come I sette samurai, che quest’anno di anni ne compie settanta. Sono tantissimi, anche se a riguardarlo non si direbbe, e il fatto che dalla sua uscita siano passati sette decenni significa che un numero imprecisato di persone ha già avuto modo di parlarne, scriverne, analizzarlo, dissezionarlo nei suoi minimi dettagli. Nel caso del film di Kurosawa, poi, la situazione è ancora più grave: oltre a essere stato studiato da chiunque si occupi di cinema, è anche uno dei film più citati da registi, sceneggiatori, attori, da chiunque lavori nel cinema insomma. E cosa si può scrivere che non sia già stato detto meglio da, per esempio, George Lucas, o John Sturges, o chi volete voi?

I sette samurai è un film monumentale, uno di quei casi in cui il valore cinematografico è pari alla sua influenza ma anche alla sua capacità di intrattenere – uno dei primi veri blockbuster, come vedremo dopo, pur non avendo nulla a che fare (o forse sì…) con il cinema americano che inventò il termine. Umiliati e avviliti di fronte all’impossibilità di produrre qualcosa di nuovo e originale su uno dei film fondamentali della storia del cinema, abbiamo quindi pensato di celebrarlo in un altro modo, e cioè elencando sette motivi (uno per ogni samurai) per i quali è un capolavoro. Li trovate qui sotto, nell’ordine in cui ci sono venuti in mente.

Perché I sette samurai l’hanno copiato tutti

Lo dicevamo già sopra: I sette samurai è uno dei film più influenti di sempre, e non c’è dimostrazione migliore del fatto che se ne ritrovano tracce in praticamente tutti i generi e nelle opere di alcuni dei più grandi autori americani e non solo. Non parliamo solo degli ovvi riferimenti, il più classico dei quali è I magnifici sette. George Lucas l’ha usato come ispirazione (insieme a un altro film di Kurosawa, La fortezza nascosta) per Star Wars. George Miller lo cita in continuazione nei suoi Mad Max. Spielberg, Scorsese e Tarantino non sarebbero gli stessi autori senza I sette samurai. E potremmo andare avanti per altri cento paragrafi.

Perché ha inventato un sacco di trope

C’è un motivo se I sette samurai è così copiato, amato, riverito, adorato. Moltissimi dei trope che si ritrovano nel cinema hollywoodiano (e non solo, di nuovo) negli ultimi settant’anni vengono da qui. Parliamo di cose che potrebbero sembrare persino banali: l’idea di introdurre l’eroe mostrandolo in una situazione che non c’entra nulla con la trama, ma che lo caratterizza; la ricerca e formazione del gruppo di protagonisti; l’uso della pioggia in certe sequenze d’azione, che da sola “fa atmosfera” (e che nella realtà era una cosa che Kurosawa odiava perché gli rendeva difficili le riprese). Di nuovo: se l’avete visto in un action, sci-fi, western post-1954, è possibile che venga da I sette samurai.

Perché per I sette samurai Kurosawa rifiutò di lavorare in studio

Il regista era convinto che la qualità dei set influenzasse anche quella del lavoro degli attori, e rifiutò quindi di ricostruire in studio il villaggio dove è ambientata gran parte del film. Lo fece invece ricostruire en plein air, il che gli diede anche la possibilità di riprendere l’azione con più macchine da presa contemporaneamente – un’altra innovazione che molti grandi hanno ripreso, e che rende più armonioso e realistico il montaggio.

Perché è girato da un uomo in stato di grazia

Quanto detto finora dovrebbe spiegare questo punto: Kurosawa era al suo quindicesimo film, e aveva già girato capolavori come Rashomon e Cane randagio. Ma dove moltissimi autori, arrivati al film numero quindici (ripetiamo: 15), potrebbero mostrare i primi segni di cedimento, Kurosawa era al contrario all’apice della sua creatività: aveva voglia di sperimentare, di superare i suoi limiti e quelli produttivi tipici dei film dell’epoca, voleva fare la storia, insomma. E ci riuscì (non senza sudare).

Perché ha un cast clamoroso

E non parliamo solo di Toshiro Mifune, il cui personaggio è anche quello più moderno tra i sette samurai, nonché quello più comico e curiosamente fuori tono rispetto al resto (il che, nelle mani di un genio, si trasforma in un punto di forza del film). Se chiedete a noi, Takashi Shimura, il “capo” semi-ufficiale dei sette, raggiunge livelli anche superiori, perché non si limita a interpretare l’anziano saggio ed esperto, ma lascia spazio anche a sprazzi di umanità, persino di ironia e divertimento.

Perché la battaglia finale andrebbe insegnata a scuola

E non solo a scuola di cinema: in tutte le scuole, magari a partire dalle elementari. “Guardate, bambini, ecco cosa può fare il cinema”...

Perché I sette samurai è lunghissimo ma non prolisso

Sembra una piccolezza, ma I sette samurai è un film di tre ore e mezza, e in un’epoca nella quale sembra essere tornato di moda allungare le proprie opere a dismisura perché altrimenti “non è un grande film”, la sua durata potrebbe essere vista come un ostacolo, una scelta eccessiva e ridondante. E invece, nel suo seguire il ritmo delle stagioni e in particolare la crescita dell’orzo che segnala il momento dello scontro finale con i banditi, il film non risulta mai prolisso: è lungo giusto, non spreca mai tempo o girato per ripetersi o mostrarci cose superflue. È impossibile immaginarlo più breve di così, perché ogni fotogramma ha senso e si merita di rimanere nel montato finale (realizzato tutto dallo stesso Kurosawa, che anche in questo era un genio).

Cosa ne pensate? Fateci sapere con un commento qui sotto oppure, se preferite, sui nostri canali social.

Seguiteci su TikTok!

Continua a leggere su BadTaste