I publisher, i videogiochi, noi
Alcune considerazioni sul passato e sull'evoluzione del rapporto tra i publisher e la stampa
Chi si occupa di giornalismo ha, di norma, un ego abbastanza ampio, non solo devi essere convinto di avere delle opinioni interessanti ma pure che là fuori ci sia qualcuno interessato a leggerle. Con un profilo psicologico di questo tipo è indubbio che lo schiaffo di Bethesda bruci più del dovuto con l’intero settore - in Italia, come in America - sulle barricate a difendere il mestiere.
Il giornalismo videoludico ha perso la battaglia contro gli YouTuber ben prima che FaviJ e PewDiePie invadessero l’internet con i loro video. La nostra sconfitta anzi, il nostro peccato originale, l’abbiamo commesso quando abbiamo abdicato a ogni velleità critica in nome di presunti buoni rapporti con i publisher. Quando, insomma, abbiamo smesso di rapportarci con gli uffici stampa per discutere direttamente con i commerciali.
Tuttavia a un certo punto abbiamo passato la linea, trasformandoci in uffici marketing aggiuntivi e accettando condizioni sempre più stringenti. Abbiamo accettato gli embarghi e poi gli embarghi sulla data dell’embargo, e poi le linee guida su cosa dire e cosa non dire nella recensione. A un certo punto ci siamo addirittura trasformati in influencer online quando, giusto per fare un esempio, in occasione dell’uscita di GTA V ai giornalisti fu richiesto di twittare sul gioco con qualche giorno d’anticipo e seguendo dei dettami abbastanza rigidi, pena l’esclusione dal giro delle review copy.
Pure chi scrive non è esente da colpe, i press tour negli alberghi a cinque stelle me li sono fatti come tutti gli altri e, all’epoca, non mi sono posto troppi problemi. Oggi tento di giustificarmi dicendo che avevo vent’anni e che a vent’anni si è stupidi davvero ma, a pensarci bene, non hanno vent’anni o forse meno pure gli YouTuber che oggi tanto denigriamo?
Forse buona parte della “stampa specializzata” odia i nuovi arrivati perché, con lo slancio tipico dei rivoluzionari, ha strappato il velo di rispettabilità dietro cui nascondevamo la nostra doppiezza intellettuale. Ci siamo piegati ai peggiori compromessi con i publisher ma, almeno, dalla nostra avevamo la cultura videoludica, l’aver giocato a qualche titolo misconosciuto per MSX, insomma, ci sentivamo degli intellettuali solo perché eravamo stati dei ragazzini solitari e forse pure un po’ sfigati.
Gli YouTuber hanno mandato in frantumi questa illusione: totalmente digiuni di ogni cultura e orgogliosi di essero, i ragazzi che hanno invasto i social, Twitch e affini non si nascondono dietro al nostro desiderio di legittimità. Sanno bene di essere all’interno di un sistema governato dallo show business e non fanno nulla per nasconderlo. Se il nostro ideale erano i ponderosi articoli su EDGE degli anni ‘90, per FaviJ e compagnia il modello è zero approfondimento, solo tante immagini e un po’ di impressioni buttate li alla bruttocane.
In questa analisi, voglio essere molto chiaro, non c’è un giudizio di merito: non credo che la nostra critica videoludica fosse incredibilmente migliore di quello che ci viene proposto oggi, sì, forse qualche esperienza editoriale aveva del valore, ma stiamo parlando di articoli, giornalisti e testate che si contano a malapena sulle dita di una mano.
Victor Hugo una volta disse che al mondo c’è gente che pagherebbe per vendersi, ecco, forse buona parte del giornalismo videoludico italiano e mondiale dovrebbe chiedersi se ne sia valsa la pena. Ma si tratta di un esercizio ozioso, il futuro è già cominciato e il giornalismo videoludico che abbiamo contribuito a rovinare non ne fa parte. Bethesda è solo l’inizio, presto arrivanno EA, Activision, Ubisoft e tutte le altre, l’unico modo che abbiamo per sopravvivere è tornare a fare il nostro mestiere per davvero, sarà un po’ meno glamour, forse senza viaggi intercontinentali e dovremo dire addio alle stanze d’hotel in centro a Los Angeles ma, almeno, avremo salvato quella poca dignità che ci rimane.
CORRELATI