I nerd che fecero l’impresa è Stranger Things per adulti disillusi

I nerd che fecero l’impresa parla della confusione tra gioco e realtà, ma applicata a ultratrentenni un po’ falliti

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I nerd che fecero l’impresa compie 10 anni: uscì nei cinema il 21 gennaio 2014

Tristemente dimenticato poco dopo la sua uscita, disconosciuto dal suo stesso regista ma nonostante questo sempre a un passo dal compiere il suo grande ritorno e diventare finalmente il culto che meritava di diventare, I nerd che fecero l’impresa (curiosa traduzione italiana dell’intraducibile originale Knights of Badassdom, cioè all’incirca I cavalieri dello spaccaculismo totale) ha avuto l’unica colpa di uscire due anni prima della prima stagione di Stranger Things, invece che due anni dopo. Cioè: non è l’unica, e nella forma in cui è uscito al cinema è solo una delle tante; ma è secondo noi il dettaglio decisivo che ha impedito al film di Joe Lynch di trasformarsi quantomeno in un piccolo caso, se non addirittura in un oggetto di adorazione.

I nerd che fecero l’impresa e Stranger Things

Proviamo a spiegare la sparata un po’ gratuita del paragrafo precedente. Fortemente voluto da quel nerd di Joe Lynch, che ama l’horror, i giochi di ruolo e il metal, I nerd che fecero l’impresa è la storia di un gruppo di adulti che continuano a coltivare quelle passioni che al tempo venivano più facilmente associata agli anni intorno all’adolescenza – il genere di cose che ti fanno confrontare in continuazione con frasi tipo “alla tua età ascolti ancora quella roba/giochi ancora ai videogiochi/a Dungeons and Dragons?”. O meglio che ti facevano: il film è uscito negli anni in cui il c.d. “nerdismo” era definitivamente uscito dall’armadio per trasformarsi in una cosa cool, grazie a The Big Bang Theory e miliardi di altre cose che non staremo a citare perché quello è un altro pezzo.

Tra questo miliardo di cose non si può non annoverare Stranger Things, una storia di preadolescenti appassionati di D&D che si ritrovano a viverlo in prima persona. La serie Netflix è probabilmente (insieme a Joe Manganiello) la prima responsabile dell’attuale ritorno di fiamma per i giochi di ruolo, che grazie a serie come Critical Role sono tornati (o meglio, diventati per la prima volta!) una roba socialmente accettabile quando non direttamente da più fighi del quartiere. Quello che le generazioni cresciute negli anni Ottanta sognavano che succedesse, ottenendo in cambio Tipper Gore, la censura e l’inqualificabile Mazes and Monsters, le generazioni attuali, in particolare quelle post-Stranger Things, hanno finalmente visto realizzato.

Non sarete troppo vecchi?

La differenza fondamentale tra le due opere è ovviamente nell’età dei protagonisti, ed è un dettaglio che oggi verrebbe gestito diversamente, figlio del fatto di essere uscito poco prima della rivoluzione invece che poco dopo. Aiuta che I nerd che fecero l’impresa parli specificamente di LARP, di gioco di ruolo dal vivo: chiunque l’abbia provato (chi scrive l’ha fatto, più volte) conosce bene quella sensazione di straniamento provocata dal fatto che da un lato ci stai credendo tantissimo, dall’altro se ti distacchi un secondo e ti guardi da fuori noti che sei circondato da adulti magari con figli e mutuo vestiti di stagnola e che brandiscono finte armi smussate. Quello che una sessione intorno a un tavolo può mascherare viene messo invece crudelmente alla luce dal film di Lynch, che soprattutto all’inizio sembra essere più figlio dell’epoca del Satanic Panic che di quella dove anche i fotomodelli giocano a D&D – una satira del nerdismo più che un film di nerd.

Dopodiché, ovviamente non è così, e anzi il film vuole dire esattamente il contrario, e incoraggiare chi ha queste passioni invece che umiliarlo: il protagonista (Ryan Kwanten, ve lo ricordate?) è un ex giocatore che ora ha di meglio da fare, e che nel corso dell’avventura compirà invece un percorso che lo porterà ad apprezzare di nuovo il potere dell’immaginazione et cetera. Ma si tratta appunto di un messaggio che arriva alla fine di un percorso, e per arrivarci bisogna superare lo scoglio dell’autoironia e del sapersi prendere in giro, qualcosa che non è mai stato semplicissimo per una categoria che ha vissuto per decenni sulla difensiva (e che per vari motivi tende a prendersi molto sul serio). Quello che arrivava a un primo impatto di I nerd che fecero l’impresa era più che altro “ecco il solito film che prende in giro i giocatori di ruolo asociali e sfigati”. Non abbiamo prove, ma sospettiamo che molto del suo potenziale pubblico non ci si sia avvicinato al tempo perché aveva paura di sentirsi sfottuto invece che celebrato.

Sì ma di cosa parla?

Ovviamente un film può diventare un culto anche dopo essere stato snobbato all’uscita, e ci sono degli ottimi motivi per cui quello di Joe Lynch non ci è riuscito. Uno su tutti: trattasi di opera incompleta, maciullata e della quale lo stesso regista non riconosce appieno la paternità. Nel senso che oltre a essere una storia di LARPer che vanno nei boschi per una convention, è anche una storia di alcuni LARPer in particolare che, per sbaglio, evocano un demone, e devono mettere in pratica tutto quello che hanno imparato tirando i dadi per sconfiggerlo e salvarsi la pelle. E quindi è una commedia horror, con enfasi sulla seconda parte dell’equazione, ispiratissima a Sam Raimi e strapiena di sangue, budella e organi strappati.

O almeno così avrebbe dovuto essere nelle intenzioni di Lynch, che si trovò però escluso dal processo di montaggio e post-produzione ritrovandosi poi per le mani una versione riveduta, corretta e accorciata della sua opera, nella quale quasi tutto il gore era stato rimosso per renderla più digeribile (curioso, se pensate che uno dei nomi di richiamo, Peter Dinklage, veniva da una serie TV nota per la sua brutalità). La versione di I nerd che fecero l’impresa che abbiamo a disposizione, quindi, è solo una pallida ombra di quella girata da Lynch, dalla quale è stata eliminata la parte horror mantenendo solo le battute e le abbondanti citazioni nerd, musicali e non solo. Un massacro che peraltro in certi casi influisce sulla scorrevolezza del film e sulla sua continuità, e che è figlio di una certa insicurezza di fronte a un prodotto che non si era sicuri di poter vendere nella sua forma originaria.

Siamo convinti che sarebbero bastati un paio d’anni di attesa per cambiare completamente il panorama e permettere a I nerd che fecero l’impresa di uscire com’era stato pensato, e di guadagnarsi l’affetto e la simpatia di una fetta consistente di pubblico. Sarebbe stato venduto come “un mix tra Stranger Things e Hook – Capitan Uncino” e avrebbe intrattenuto grandi e piccini. Invece, ahinoi, rimane solo un comunque adorabile what if: chissà se un giorno Lynch (il cui ultimo film, Suitable Flesh, è un omaggio a Lovecraft e a Stuart Gordon con una clamorosa Heather Graham) riuscirà davvero a farsi giustizia, e a #releasethelynchcut.

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