I morti non muoiono è un film che si piace fin troppo

I morti non muoiono è una commedia meta-cinematografica a base di zombi che ci tiene a farci sapere quanto è intelligente

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I morti non muoiono è su Netflix

Jim Jarmusch è uno di quegli autori che lavorano poco, lentamente e solo se sono convinti al 100% di quello che fanno: ha diretto solo 13 film in 42 anni di carriera e ogni volta sua nuova uscita è un evento (spesso accompagnato da premi a valanga). È per questo che fa particolarmente male constatare che I morti non muoiono è un caso forse unico nella sua filmografia: un film talmente autocompiaciuto e autoreferenziale da perdere ogni mordente, e trasformarsi in poco più che un divertissement tra amici, ispirato in parte a Romero e in parte all’ondata di meta-horror post-Scream che giocano con la quarta parete come un gatto con la sua preda, fino a lasciarla pesta e sanguinante in un angolo.

Cliff Robertson, Ronnie Peterson e Mindy Morrison (Bill Murray, Adam Driver, Chloë Sevigny) sono i tre tutori della legge della piccola cittadina di Centerville, che già dal nome si presenta come luogo ironico e postmoderno. Centerville è esattamente quello che promette: un paesino rurale in mezzo al nulla degli Stati Uniti, talmente indefinito che potrebbe trovarsi ovunque, il cui motto locale, esposto con fierezza all’ingresso della cittadina insieme al cartello che indica la popolazione totale in 738 individui, è “a real nice place”. Abbiamo visto centinaia se non migliaia di Centervilles in più di un secolo di cinema americano: per Jarmusch questa diventa una scorciatoia, che gli evita di dover caratterizzare troppo nel dettaglio il luogo e i suoi abitanti.

A cosa serve dedicare tempo e fatica a costruire un senso di luogo intorno a Centerville quando basta prendere Steve Buscemi e fargli interpretare il contadino razzista con il cappello “Make America White Again”, e farlo immediatamente scontrare con un Danny Glover che non è mai stato così vecchio per queste stronzate? A Centerville c’è il diner, il distributore di benzina con i cartelli scritti a mano, il barbone del paese che ogni tanto ruba le galline (Tom Waits)… basta la prima scena che ci porta in giro per il paese nella macchina di Cliff e Ronnie per capire dove siamo e che razza di gente ci troveremo davanti: vecchi razzisti e tradizionalisti contro giovani con aspirazioni di fuga dalla claustrofobia della campagna, in uno scontro generazionale che coinvolge anche la povera Selena Gomez in uno dei ruoli più ingrati della sua già non incredibile carriera cinematografica.

Su questo canovaccio familiare a chiunque abbia visto mezzo film americano nella sua vita, Jim Jarmusch costruisce le sue stranezze, che sì, comprendono anche gli zombi come promesso fin dal titolo (e come confermato dalle migliaia di riferimenti ai film di Romero sparsi in giro per il film), ma non si limitano a quello. Nel tentativo di fornire una spiegazione all’esistenza dei morti viventi che sia diversa dal solito “virus letale fuggito da un laboratorio”, Jarmusch si addentra senza alcuna vergogna nei territori del camp e persino del disaster movie di emmerichiana memoria, con una badilata di critica sociopolitica sottile e allusiva come una quercia in faccia.

Il fracking nelle regioni polari ha causato lo spostamento dell’asse terrestre, e questo a sua volta ha portato gli animali a impazzire come in un eco-horror degli anni Settanta, il tempo a smettere di scorrere e, soprattutto, ha fatto smettere di morire i morti. Che invece si risvegliano in piena putrefazione e, come gli zombi di Survival of the Dead o quelli del romanzo di John Ajvide Lindqvist L’estate dei morti viventi, deambulano e provano a ripetere le stesse azioni che compivano quando erano vivi. Essendo zombi da film sono anche feroci, aggressivi e capaci di sbudellarti e trasformarti in zombi – ma a Jarmusch interessa più che altro un’altra questione, un classico dei film di morti viventi: come reagisci quando il tuo paese è invaso da zombi che sono il tuo panettiere, la tua fruttivendola, i tuoi vicini di casa?

È quello che potremmo definire approccio etico agli zombi, quello che spinge i personaggi del film a non massacrarli indiscriminatamente ma a trattarli come dei cari estinti; quello che ti fa cercare soluzioni alla piaga diverse da “diamo fuoco a tutto”. Purtroppo, I morti non muoiono prende quest’idea potenzialmente provocatoria e la umilia, trasformandola (come quasi tutto il resto del film, di fatto) in una semplice macchina per gag. Jarmusch ha quasi sempre usato l’ironia nei suoi film, anche quelli più grigi e amari (Down by Law, Broken Flowers). Qui però non la usa come un’arma, ma preferisce abbandonarsi alla facile parodia – facile e anche un po’ superba, perché è impossibile non notare un minimo di puzza sotto il naso in I morti non muoiono, come se Jarmusch non volesse sporcarsi troppo le mani con l’horror e lo usasse solo come strumento per raggiungere i suoi personali obiettivi.

Il problema è che è difficile capire quali siano questi obiettivi, al di là di quello di sperare di strapparci un sorriso con la gag ricorrente di Adam Driver che sa di stare vivendo in un film, e quindi fa costanti riferimenti alle cose che ha letto nella sceneggiatura (e poche cose ammazzano la tensione narrativa quanto un personaggio che sa già come andranno a finire le cose). Tutti i possibili discorsi sull’ammazzare una persona che conosci solo perché è diventata uno zombi vengono soffocati dall’ennesima battutina, o dall’ennesimo personaggio sgradevole che fa una fine prevedibilmente orribile (I morti non muoiono sembra anche un modo per Jarmusch per togliersi un po’ di sassolini dalle scarpe contro chiunque non la pensi come lui). Non c’è vero orrore, anche perché non c’è modo di affezionarsi davvero a dei personaggi che sono definiti esclusivamente dal loro mestiere e dagli archetipi di altri personaggi simili venuti prima di loro.

Il riassunto migliore di quello che non va in I morti non muoiono è probabilmente il personaggio di Tilda Swinton, una tarantinata completamente gratuita che porta il film in direzioni inaspettate e che è una di quelle idee che su carta sembrano bellissime, ma all’atto pratico risultano solo buttate lì. Ecco, la definizione perfetta per tutto il film è questa: “buttato lì”. Come questo finale di pezzo.

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