I Guardiani della Galassia in lotta per lo spazio nel cerchio dell’inquadratura | Un film in una scena

I Guardiani della Galassia hanno problemi di Ego. James Gunn li inquadra in una circonferenza. Sarà questo il simbolo più forte del film

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Il salto nel vuoto fatto dalla Marvel con Guardiani della Galassia è stato il primo restyling dell’universo cinematografico della casa delle idee. Il secondo lo stiamo vivendo in diretta. È fatto da un autore sconosciuto ai più, James Gunn, da personaggi minori e poco noti anche ai lettori dei fumetti, da un approccio cosmico, slegato da regni o pianeti, ma in continuo viaggio. Sono proprio i Guardiani la forza narrativa che ha sbloccato possibilità infinite alle storie MCU.

Ogni volta che la Milano atterra su un pianeta esplodono possibilità di storie, personaggi e nuovi angoli della fantasia di Stan Lee (e degli autori che l’hanno seguito). Sulla terra tutto questo sarebbe stato limitato.

I Guardiani della Galassia rilanciano la space opera nel 2014, quando il genere era considerato morto, e mettono l’acceleratore sulla narrazione visiva della Marvel. Prima di Gunn il centro dei film Marvel erano i personaggi, le loro scelte e azioni. La narrazione visiva era sempre al servizio della grande storia da raccontare e quindi messa spesso in secondo piano. Pur trovando sempre momenti iconici da supereroe, film come Iron Man o Captain America non avevano bisogno di raccontare culture distanti o sconosciute.

Guardiani della Galassia ha invece un sacco da comunicare. Le inquadrature sono piene, sature di oggetti e di colori. Prendete questa immagine: quanti dettagli riuscite a vedere? Quante figure si celano nelle ombre? Quanti oggetti? C’è da perdersi.

I Guardiani della Galassia

Paura del vuoto cosmico

James Gunn mantiene per tutto il film questo horror vacui, ma gli dà anche un ordine e un senso narrativo. L’intera complessità dell’universo mostrato può essere riassunta da una sola figura: il cerchio.

Siamo di fronte al film Marvel più visivo fino ad ora, dove l’occhio è un oggetto onnipresente sia come forma che concretamente (Rocket è ossessionato dagli occhi, come Thor ben sa). La forma dell’Orb, il MacGuffin del film, è quella di un bulbo oculare che si apre svelando l’iride viola al suo interno. 

La maggior parte delle inquadrature è composta per iscrivere il centro dell’azione in una circonferenza. Questa tecnica aiuta il direttore della fotografia a creare una scala gerarchica degli elementi e soprattutto guida l’occhio dello spettatore su ciò che è più importante per la storia. Indirettamente questa scelta ha una forza narrativa devastante. Se noi guardiamo sempre al centro, e tutto ciò che conta si svolge in quella porzione di schermo, a fine viaggio chi è stato per più tempo all'interno del cerchio avrà avuto la nostra attenzione ed empatia.

I Guardiani della Galassia

Star Lord, Rocket, Groot, Gamora, Drax con le loro personalità strabordanti si contendono il centro della scena. E la cinepresa li inscrive equamente in questa forma.

I Guardiani della Galassia scappano dalla prigione

Uno degli esempi più palesi di questo gioco sulla visione è la scena della prigione. I Guardiani della Galassia devono fuggire da un carcere spaziale di massima sicurezza, ma l’impresa non è affatto facile. I prigionieri sono continuamente sotto osservazione da guardie armate fino al collo.

 

Kyln, la prigione, è strutturata secondo il panopticon teorizzato da Michel Foucault. Una struttura architettonica che permette a uno di osservare molti, senza essere mai visto. Orwell fu uno dei primi a utilizzare narrativamente questo concetto, rivisto molte volte quando il cinema riflette su se stesso.

La struttura del panottico ha una torre centrale, dove un osservatore vigila. Intorno a questa postazione si trovano le celle dei prigionieri separate da un muro. Per via della particolare disposizione i carcerati sanno di poter essere osservati in qualsiasi momento, ma a loro è impedito di vedere le guardie.

Anche qui ritorna la forma dell’occhio, intesa come un cerchio all’interno di un altro. Per progettare il piano di fuga i Guardiani si incontrano proprio a metà tra le celle e la torre di guardia. L’unico modo per sfuggire alla sorveglianza continua è quello di “rompere” l’occhio. Prendere possesso del suo centro, la pupilla (in questo caso la torretta) e usarlo come via di fuga.

La circolarità ha un ulteriore significato all’interno della storia. Come ben sappiamo i cinque Guardiani si incontrano per caso: sono diversissimi tra di loro, si odiano, e sono accumunati solamente dal loro ego che non trova confini (ricordate il nome del villain del secondo capitolo?). Certo, c’è anche una bella dose di problemi con la figura paterna, ma questa è un’altra storia.

Il cerchio, secondo James Gunn, è una forma dal duplice significato: può tracciare un confine impenetrabile, uno spazio privato del singolo, o essere una linea di appartenenza. Come uomini di Vitruviani gli eroi sono inquadrati in cerchi (a dire il vero mai perfetti, spesso spezzati) che bastano a se stessi. Se una figura entrasse in quelle linee, spezzerebbe l’equilibrio.

Guardiani della Galassia

Problemi di Ego

Con il procedere del film pian piano la composizione si modifica. Star Lord e Gamora sono incorniciati insieme nel loro primo -breve- incontro amoroso in un occhio fatto di tecnologia e polvere di stelle. Una circonferenza che contiene due persone, e da qui tutto cambia. Pian piano le inquadrature stringono sul gruppo che inizia a lavorare insieme.

Il secondo punto cardine è quindi nella scena del “piano pronto al 12%”. Qui James Gunn dispone i personaggi in cerchio, per la prima volta si guardano negli occhi, senza essere guardati a loro volta. Ognuno reagisce secondo la propria personalità, le individualità sono mantenute. Ma alla fine di questo dialogo finirà la storia di Peter Quill e inizierà quella dei Guardiani della Galassia.

La circonferenza non è più uno spazio personale, ma è un luogo degli affetti. È il confine di casa, la linea che separa il mondo esterno da quello interiore. Le personalità così stereotipate, così inizialmente artificialmente cinematografiche, ritrovano l’umanità Marvel nell’abbraccio più importante di tutto il film. Quello di “noi siamo Groot”, in cui una sfera, questa volta fatta di rami, luci e foglie, salva la vita del resto del gruppo. Un gesto di altruismo impensabile per una creatura che sa pronunciare solamente il suo nome. Un sacrificio per gli altri che non viene dall’annullamento di sé, ma da una felice convivenza nello stesso spazio di un’inquadratura.

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