I critici cinematografici italiani sono inutili?

I risultati di Little Miss Sunshine sembrano confermare la mancanza di un pubblico per certi film nel nostro Paese. Ma soprattutto che i giudizi della stampa tricolore non hanno una grande influenza sugli spettatori…

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Meno di 130.000 euro. E’ questo il risultato ottenuto da Little Miss Sunshine nel suo weekend d’esordio in Italia. Decisamente poco per una commedia molto carina (anche se forse esaltata al di là dei suoi meriti) e che negli Stati Uniti ha superato i 50 milioni di dollari di incassi, a fronte di soli 8 di budget.
Colpa sicuramente degli spettatori, che, come spesso capita, trascurano pellicole di valore perché magari poco conosciute e/o apparentemente poco stimolanti.

Ma colpa anche della critica italiana, che non riesce a fare bene il proprio lavoro. Ma come, si dirà, i giornalisti nostrani hanno apprezzato molto il film, qual è il problema? Il problema, come spesso capita, è a monte. Ossia, nel fatto che il pubblico italiano, generalmente, si fida ben poco delle penne cinematografiche in questione. Anche perché, è proprio il caso di dirlo, i critici italiani (con qualche lodevole eccezione) si impegnano molto per ottenere questo risultato.

Il fatto è che il critico italiano medio spesso utilizza un linguaggio incomprensibile, utilizzando paroloni astrusi (ma magari sbagliando le più elementari regole grammaticali), facendo capire di voler parlare più ai suoi colleghi (tipo professori universitari che hanno lo stesso vizio), piuttosto che allo spettatore comune, e dedicandosi quindi ad una sorta di masturbazione mentale.

Ma anche chi parla un linguaggio più accettabile, molto spesso cerca soltanto di fare bella figura, difendendo film insostenibili per il pubblico normale (quante lodi sono state fatte a registi come De Oliveira, nonostante magari gli stessi recensori dormissero alle relative proiezioni?) e creando una rottura prolungata con quelli che dovrebbero essere i loro referenti.
Anche perché, i critici hanno un debole per i film italiani (forse perché non conviene stroncare i prodotti fatti in casa, tanto siamo tutti amici e una mano lava l’altra?) e per i titoli impegnati. Aids, omosessualità, terzo mondo, Afghanistan, basta mettere qualcosa del genere in una pellicola perché il giudizio sia sempre più benevolo di quanto sarebbe opportuno.

Mi ricordo che, nel 2001, uscirono praticamente in contemporanea Concorrenza sleale di Ettore Scola e L’ultimo bacio di Gabriele Muccino. Il primo ottenne un plauso unanime della stampa e decine di servizi/articoli, nonostante (o forse proprio per) uno sguardo superficiale sull’Italia fascista; il secondo non suscitò molta attenzione, anche perché riguardava una ‘banale’ crisi di coppia. I risultati al botteghino furono, ovviamente, ben diversi. D’altronde, qualcuno si ricorda di film italiani che sono stati portati al successo dalla critica in questi ultimi anni? Io no.

Il critico quindi parla per sé e per gli amici, senza preoccuparsi di far notare le difficoltà di visione di una pellicola (perché nessuno dice che Nuovo mondo, peraltro un prodotto notevole, non è certo un film per tutti i gusti?), ovviamente il pubblico ne trae le conseguenze e fa di testa sua. Ormai qui non siamo più alla classica domanda “comprereste un auto usata da quest’uomo?”. Altro che auto, qui non si spendono neanche 7 euro per certa gente…

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