House of Gucci non è quello che vi hanno raccontato su internet e sui social

House of Gucci è una ricercatissima farsa vagamente ispirata a fatti di cronaca, con un’identità fortissima e a tratti respingente

Condividi

House of Gucci è su Amazon Prime Video

Se c’è una cosa per cui invidiamo i madrelingua inglesi è la possibilità che la loro lingua fornisce di creare quasi dal nulla nuovi termini il cui significato diventa immediatamente chiaro nel momento in cui vengono pronunciati. House of Gucci di Ridley Scott, per esempio, è stato definito dall’Hollywood Reporter “trashtacular”, una crasi di “trash” e “spectacular” che riassume in dodici lettere tutta l’essenza di un film che – specialmente in Italia, e per ottimi motivi – è stato accolto nel modo sbagliato, probabilmente non capito e maltrattato per settimane dal sempre sfuggente “popolo di Internet”. Magari vi ricordate come reagirono i social quando del film uscì il primo trailer: folle inferocite che gridavano al disastro annunciato, e che puntavano il dito su certi accenti improbabili e sulla valanga di stereotipi sugli italiani che trasudavano da quei pochi minuti. Con il senno di poi della visione del film intero viene da sorridere, perché House of Gucci è esattamente com’era stato descritto dai suoi pregiudiziali detrattori – ed è proprio per questo che funziona.

La prima cosa da fare per affrontare al meglio la visione di House of Gucci è sospendere l’incredulità, nel senso più ampio dell’espressione. Che significa prima di tutto scordarsi di stare guardando un prodotto interessato alla fedeltà storica o anche al rispetto delle persone coinvolte. Ridley Scott l’ha detto: “Un Gucci è stato ammazzato e l’altro è finito in galera per evasione fiscale […] nel momento in cui fai queste cose diventi di dominio pubblico”. All’autore inglese non interessa la cronaca, non vuole raccontare una vicenda con precisione e amore per la verità; vuole raccontare una storia in senso cinematografico, vuole raccontare il dramma e la farsa di una famiglia che, nella sua visione, non solo si è fatta a pezzi da sola ma è anche stata fatta a pezzi dalla modernità, dalla contemporaneità, da quell’affetto incrollabile e tutto italiano per l’impresa di famiglia e dalla conseguente incapacità di superare quel modello (a sua volta già superato, a destra e sgommando, dal resto del mondo).

Per cui se in House of Gucci cercate un ritratto accurato degli eventi e delle persone coinvolte non potrete che rimanere delusi. Il film porta già nel titolo il nome della famiglia e della loro casa di moda, ma è in realtà la storia di Patrizia Reggiani, una che entra in questo mondo dorato dalla porta di servizio, seducendo il vulnerabile rampollo erede dell’impero Gucci e provando a plasmarlo secondo la sua personale visione. Tutto il film è alimentato dalle ossessioni di Patrizia, che influenzano e in certi casi cambiano irrimediabilmente il comportamento del resto della famiglia. Nessuno dei Gucci è un vero agente attivo di cambiamento nel film di Scott: tutto quello che succede è conseguenza del terremoto Patrizia, senza la quale, suggerisce l’autore, la famiglia Gucci sarebbe rimasta in qualche modo unita e proprietaria del proprio marchio, ma anche infinitamente più povera.

In un certo senso, se ci passate il paragone un po’ azzardato, House of Gucci è l’equivalente haute couture di La fiera delle illusioni di Del Toro (e prima di Goulding): in entrambi una figura esterna disposta a tutto pur di sopravvivere e fare successo entra in un mondo che non è il suo ma che impara presto a conoscere e poi a manipolare; e in entrambi questa figura arriva a un passo dal trionfo per poi venire punita dalla sua stessa superbia. Ovviamente il contesto è completamente diverso, ma certi temi e la morale finale sono quasi perfettamente sovrapponibili, come lo è la preoccupazione per l’immagine (in tutti i sensi) e la struttura da discesa agli inferi.

Quello che cambia è il tono.

Ridley Scott non riesce a prendere sul serio fino in fondo questa famiglia italiana di arricchiti, evasori, truffatori, pugnalatori alle spalle e genericamente brutte persone. Per lui, il fatto che la storia sia così italiana si traduce in una scelta fortissima e divisiva: virare senza esitazione verso la parodia, esagerando oltre i confini della caricatura certi tratti dei personaggi e giocando anche con un certo immaginario facilmente associato sia al nostro Paese sia al mondo dell’alta moda. Gli accenti finto-italiani, criticatissimi soprattutto dalle nostre parti, sono talmente fuori scala che è impossibile pensare che siano frutto di superficialità o leggerezza: sono una scelta, fatta per amplificare l’idea che questo clan proto-mafioso fosse composto da teatranti della vita, da gente che faceva delle sue giornate una performance pubblica perché era l’unico modo che conosceva per stare al mondo.

Ovviamente, in un film così appoggiato sulle interpretazioni, il risultato dipende anche dai singoli. E qui tutto l’impianto di House of Gucci oscilla. Stefani Germanotta nota come Lady Gaga, per esempio, è padrona assoluta della scena, dimostra da subito di aver capito il film e quindi come caratterizzare la sua Patrizia, e per le oltre due ore di film non perde un colpo. D’altro canto, Jeremy Irons e Al Pacino si limitano (soprattutto il primo) al minimo sindacale, e Adam Driver è più a suo agio nei momenti realmente drammatici che in quelli più farseschi, dove viene schiacciato sotto il peso della compagna di set. E poi c’è Jared Leto, sul quale non spenderemo troppe parole: il suo Paolo Gucci è talmente fuori scala, una sorta di Nicolas Cage coperto di lattice con un’insospettabile somiglianza con Antonio Cornacchione, che potrebbe anche piacervi.

In generale, “potrebbe anche piacervi” è un buon riassunto di House of Gucci. Ci sono un gran numero di motivi per odiarlo, a seconda di ciò a cui date più o meno importanza quando guardate un film. E c’è un altrettanto alto numero di motivi per amarlo: tutto l’impianto scenico, messa in scena, costumi, coreografie, montaggio, è come al solito di livello sopraffino (è un film di Ridley Scott), e il film ha un ritmo incalzante che raramente si ritrova in un dramma familiare di oltre due ore. Più di tutto, però, bisogna stare alle regole del gioco, e accettare che si sta per entrare al circo più che al cinema. Se la cosa non vi turba, House of Gucci potrebbe diventare il vostro nuovo guilty (o non tanto guilty) pleasure.

Trovate tutte le informazioni su House of Gucci nella nostra scheda del film!

Continua a leggere su BadTaste