Homer l'eretico: la società vince sempre
Per la seconda volta Homer va contro un comandamento e diventa l'eretico. Non gli dirà peggio dei religiosi ma alla fine tornerà al gregge
Questo articolo è parte della rubrica Tutto quello che so dalla vita l’ho imparato da I Simpson in cui ogni settimana rivediamo, raccontiamo e celebriamo i 50 episodi della serie che riteniamo più significativi.
Homer l'eretico - I Simpson, Quarta stagione, episodio 3
MARGE: “Ho la responsabilità di crescere questi ragazzi in modo retto e a meno che tu non cambi dovrò di loro che il loro padre è… un malvagio”
HOMER: “Ragazzi lasciate che vi racconti di un altro cosiddetto uomo malvagio. Aveva i capelli lunghi e delle idee bizzarre e non sempre faceva quello che gli altri ritenevano giusto. E quell’uomo si chiamava… l’ho dimenticato. Ma il punto è… ho dimenticato anche quello. Marge tu lo sai di chi sto parlando! Quello che guidava quella macchina blu!”.
Nella seconda stagione I Simpson avevano affrontato direttamente il rapporto tra la famiglia e la religione nella puntata Homer contro Lisa e l’ottavo comandamento. Rubare la televisione via cavo metteva Homer nella posizione del peccatore, di quello che viola uno dei comandamenti cardinali. Invece che farlo sentire in colpa con maggiore sottigliezza la puntata agiva tramite Lisa, rendendola un Grillo parlante, l’esternalizzazione della sua coscienza. Era lei a non sapersi fare una ragione del fatto che la sua famiglia la portasse in chiesa ma poi infrangesse un comandamento. Era una puntata fatta di visioni, fiamme dell’inferno e momenti di parodia di episodi della Bibbia. Fu un successo. E quando c’è un successo l’idea è sempre di trovare il modo di replicarlo.
Al Jean e Mike Reiss, che erano gli showrunner della serie, visto il successo della puntata decisero di prendere di petto un altro comandamento. Non più Non rubare ma Ricordati di santificare le feste che sembrava il più adatto a Homer e la sua pigrizia. Così nella quarta stagione affidano l’episodio a George Meyer che crea non solo una delle molte puntate a sfondo religioso della serie ma anche una delle più serie e sensate sul contrasto tra promesse spirituali ed esigenze materiali. Homer, è abbastanza evidente, è una rappresentazione perfetta dell’edonista e del materialista, non ha nessun interesse a tutto quello che si può raggiungere nel lungo termine e pensa solo a soddisfare se stesso nell’immediato. In una mattinata particolarmente fredda, dopo che i pantaloni buoni da chiesa si sono strappati mettendoli decide di non andarci e rimanere a casa.
Tutto in quella sequenza iniziale sta nel contrasto tra dentro e fuori, nel rendere l’idea del piacere. Perché, di nuovo, il contrasto è tra dovere e piacere e il punto di Homer è che cede sempre agli istinti primari. Così dopo un’apertura fenomenale che annuncia tutto, in cui il sogno di essere ancora nel ventre materno ed esserne strappato dal parto diventa Marge che lo vuole tirare fuori dal letto, e una panoramica esterna sulla neve e un orso polare che gli fruga nella spazzatura, Homer prende la decisione. Da lì assistiamo ad un lungo montaggio incrociato di ciò che accade dentro casa e ciò che accade in chiesa, teso a dare ragione ad Homer, a far provare al pubblico il suo stesso piacere.
In chiesa il riscaldamento è rotto e si gela, i sermoni parlano delle calde fiamme dell’inferno e Bart le desidera, mentre a casa Homer si fa una doccia calda, prepara una colazione ipercalorica e mette il riscaldamento al massimo ballando in mutande come Tom Cruise in Risky Business. Le porte della chiesa sono bloccate dal freddo e tutti devono rimanere per più tempo, sono così disperati che Lisa prega che si aprano e Bart la riprende: “Lisa! Non è né il momento né il posto”. Homer invece guarda la televisione e una tribuna politica viene interrotta da una partita di football, usciti dalla chiesa che è stata aperta con la fiamma ossidrica la macchina non si mette in moto e invece a casa Homer, all’apice di una mattinata di piaceri incredibili in un anticlimax esilarante, trova un penny. È la cosa meno clamorosa di tutte ma è mostrata e vissuta come l’acme di una vita intera (con uno zoom lento e il presidente Lincoln che annuisce complice dal penny).
Quando finalmente il resto della famiglia ritorna infreddolita a casa la decisione è presa: Homer non andrà più in chiesa.
L’impostazione è tutta qui, siamo portati a dare subito ragione ad Homer e a provare una certa rabbia nei confronti della religione e dei suoi obblighi, soprattutto perché nessuno accetta la decisione di Homer, soprattutto Marge. Dagli anni ‘50 ad oggi la fede negli Stati Uniti è stata in crollo continuo con gli anni ‘70 prima e i ‘90 poi che hanno segnato (prima della picchiata dei 2000) i momenti di maggiore perdita di fede. Ad oggi una storia simile non potrebbe stare più in una puntata di I Simpson perché quel tipo di religiosità da messa tutte le domeniche non è una questione nemmeno in America, suona antiquata. E se lo suona è proprio per quello che stava accadendo nei ‘90, un cambio epocale fatto di nuove religioni, nuove spiritualità e perdita di fiducia nei dogmi e nelle imposizioni per una possibile vita eterna.
Non fu un caso che gli showrunner avessero deciso di affidare l’episodio a George Meyer, personificazione di questa tendenza, educato da cattolico e poi diventato ateo. La persona giusta con il senso di rivalsa più adeguato a scrivere questa storia. Fin dall’inizio infatti l’obiettivo era dare al pubblico una storia di passione e redenzione che, come sempre, dentro di sé contenesse il contrario. Tutto alla fine torna in equilibrio e il peccatore si redime perché la società vince sempre. Solo che il sapore che rimane in bocca è che tutto questo non sia giusto.
Homer si chiede e chiede a Marge: “E se avessimo scelto la religione sbagliata?” causando altre preoccupazioni e preghiere perché cambi. Influenzato da tutto questo una sera crolla dal sonno e sogna di parlare con Dio in una visione epica. L’episodio è diretto da Jim Reardon, un vero ribelle, a cui sarebbero stati affidati gli episodi più violenti e duri (ad esempio quello senza pietà Il nemico di Homer), che si inventa Dio come da lì in poi sarebbe stato: gigantesco, in tunica e sandali con la barba bianca lunga e mai inquadrato in volto. Dio appare ad Homer e da che lo vuole punire per i suoi peccati, una volta sentite le sue ragioni, è d’accordo con lui, parlano di football e poi si congeda perché: “Ora scusami ma devo apparire in una tortilla in Messico”.
È il Dio immaginato da Homer, non quello vero. Passare per un sogno era stato fondamentale in fase di pianificazione e produzione della puntata. Nessuno voleva sostenere la tesi che esista un Dio ma dall’altra parte desideravano mostrarlo, così l’apparizione in sogno è la soluzione a tutto. Solo che in una prima stesura le apparizioni erano così tante da rendere implausibile i continui colpi di sonno di Homer. Alla fine quindi appare due volte.
Al risveglio Homer sente di aver avuto l’autorizzazione da Dio a venerarlo come dice lui e nella scena dopo è vestito come San Francesco con un accappatoio al posto del saio e gli animali che gli vengono vicino (ma poi lo seguono anche in doccia) mentre Lisa gli chiede “Papà perché dedichi la tua vita alla blasfemia?”.
Sarà rimproverato dal reverendo Lovejoy, invitato a cena da Marge per convincere Homer, e martellato da Ned Flanders deciso a ricondurlo al gregge cantando canzoni fuori dalla sua porta, al telefono e nella macchina accanto, dando vita ad un assurdo inseguimento con le station wagon come nei polizieschi con un passaggio a livello da superare e un finale al porto in cui Homer con l’auto salta su una chiatta di rifiuti.
Tutto all’interno di una sola settimana perché quella dopo quando Marge gli chiederà se è sicuro di non venire nemmeno quella volta in chiesa lui risponderà di no solo dopo aver sentito che in televisione sta per andare in onda “Come costruirsi una scala”. A questo punto in chiesa tutto il sermone sarà contro Homer mentre lui incontra Krusty che raccoglie soldi per i clown ebrei e da Apu scopre che lui è indù, insultando la sua religione (“Prego lei pagare per i suoi acquisti, sparire per sempre e tornare presto!”).
Fino a questo punto la puntata è tutta dalla parte di Homer, addirittura anche Dio lo è. Quel che accade in questa seconda domenica di mancata santificazione è che Homer stando a casa si addormenta con un sigaro acceso e la cosa appicca un incendio a casa. Quando si sveglia le fiamme sono ovunque e sarà necessario l’intervento dei pompieri ma soprattutto di Flanders (le cui difficoltà ricordano il film Fuoco assassino uscito 4 anni prima) per tirarlo fuori dalle fiamme. “Avresti fatto lo stesso per me” gli dirà alla fine ma Homer nonostante risponda di sì non può non immaginare come sarebbe andata, con lui sull’amaca a ridere e bere mentre la casa di Ned brucia. Farà anche notare che pure la casa di Ned è stata contagiata dalle fiamme, ma subito dopo averlo detto una nuvola di pioggia spegnerà solo quel fuoco.
La conclusione più semplice è quella che farà Homer, cioè che Dio è vendicativo e l’ha punito. La più parziale è quella di Ned e del reverendo che lo correggono facendogli notare che Dio non è quello che l’ha punito ma quello che ha spinto amici e vicini a salvarlo. La più complicata è quella che non prevede Dio nell’equazione. La puntata ha fatto molta attenzione a mostrare le sfortune e i guai della famiglia quando va in chiesa e la bella mattinata di Homer. I suoi guai della domenica successiva così non sembrano una punizione più di quanto non lo fosse stato il gelo della volta prima.
“Sarò lì domenica prossima, in prima fila!” chiude Homer e, con uno stacco di montaggio che vale un intero episodio, lo vediamo in prima fila in chiesa che russa. Non è rimasto a dormire a casa ma è andato a dormire in chiesa. Non sono gli obblighi che creano la spiritualità. E ovviamente dormendo sogna Dio, a cui chiede il segreto della vita, per sentirsi rispondere che lo avrebbe scoperto dopo la morte “Non posso aspettare così a lungo!” - “Non puoi aspettare 6 mesi?”.
L’episodio è chiuso dalla sigla che entra esattamente quando Dio sta per dire il segreto della vita anche se l’idea originaria era ben più forte e meta televisiva, cioè di avere il promo del programma successivo ad interrompere la frase, le esigenze commerciali del network che impediscono la vita spirituale, in pieno accordo con la puntata. Ma non fu così.
Nel tempo molto è stato scritto e detto sulla comparsa di Dio nella serie, cosa significhi e come sia rappresentato. Specie in riferimento alle altre religioni. Di tutte le notazioni la più fantasiosa è quella che parte dal fatto che Dio è l’unico personaggio ad essere disegnato con 5 dita per ogni mano, come se le divinità creatrici dei Simpson fossimo noi, o almeno la nostra razza (cosa poi vera in un senso lato).
Nel commento agli episodi contenuto nel DVD della quarta stagioni Jim Reardon spiega con schiettezza invidiabile che è stato solo un errore di distrazione. Questo dimostra quanto la questione della rappresentazione di Dio anche da parte di sceneggiatori atei, anche in una serie nota per la satira, sia sempre e comunque problematica.