Hollywood ha un problema con il fandom tossico e non può più tacere

Game of Thrones, Star Wars, Zack Snyder's Justice League, MCU sono realtà che dipendono dai fan. Ma cosa succede se diventano fandom tossico?

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Se si butta avanti lo sguardo di qualche anno e si osserva il periodo che stiamo vivendo, è facile pensare che l’attuale segmento di storia del cinema verrà ricordato come il momento in cui il rapporto tra il pubblico e l’industria creativa è mutato per sempre. Non si tratta solo di Zack Snyder’s Justice League, nonostante rappresenti un caso limite ed estremo. Il cambio nei rapporti di forza tra produzioni e fandom è in atto già da tanto tempo.

Prima di procedere occorre fare un’importante distinzione tra audience, intesa come pubblico generico, fatto di cinefili e moviegoers casuali, e la fan base. Questi ultimi rappresentano la comunità ristretta di appassionati, fedeli al prodotto culturale, che ne alimentano le discussioni e si fanno ambasciatori di ciò che amano.

Dagli inizi degli anni 2000 le comunità di fan hanno acquisito un atteggiamento proattivo rispetto ai propri oggetti di culto. Internet si è rivelato lo strumento perfetto per rimodellare e ricostruire a piacimento le opere narrative. Hollywood intuì presto il potenziale e strutturò alcune sue narrazioni secondo livelli. Il primo piano di questa impalcatura era quello più accessibile a tutti, quello più immediato che lo spettatore riceveva passivamente godendosi il prodotto audiovisivo. Il secondo livello era costituito da tutto l’insieme di storie aggiuntive, crossover, ed espansioni che in un certo senso il fan doveva cercare attivamente. Seguire gli intrecci di trame di Matrix, sparsi tra cinema, fumetti, videogiochi, o tirare le fila del complesso universo di Star Wars, richiede impegno. E solo gli appassionati possiedono la disciplina per stare al passo.

Star Wars fandom tossico

Facciamo un salto ad oggi. Mentre il grande pubblico generico (dei frequentatori occasionali delle sale) si godeva il film della Justice League firmato Joss Whedon, ignari dei retroscena produttivi, in parallelo si combatteva una battaglia tra i fan e la produzione.

Le comunità che vent’anni fa venivano utilizzate dagli studi creativi come collaboratori attivi di un progetto narrativo, sono riusciti a ribaltare le gerarchie. Il fandom non è più un’amplificatore dei fenomeni culturali, ma è riuscito a diventare il motore trainante delle (pre)produzioni. 

Hollywood e il pubblico non sono mai stati così vicini. Ne sono testimonianza le molte - e nemmeno troppo velate - ammissioni di produttori, showrunner e artisti rispetto ai dibattiti online. I creativi leggono i forum, spesso interagiscono con i fan online (gli AMA di Reddit), studiano le teorie e le interpretazioni che circolano in rete. È pressoché impossibile trovare un’intervista in cui viene ammesso esplicitamente, ma è ormai chiaro che gli umori percepiti nelle discussioni attorno ai grandi franchise con infiniti capitoli, vengono ascoltati per calibrare gli episodi successivi. O, talvolta, per correggere il tiro di svolte non amate.

Questa tentazione colpisce sia il mondo del cinema, che delle serie tv. Ognuno ha sicuramente in mente almeno un momento in cui ha sentito curvare la strada degli eventi verso la direzione desiderata dai fan.

Per un periodo questo scambio ha assunto le sembianze di una sorta di pietra filosofale in grado di trasformare in oro ogni property conferendole una potenziale immortalità.

Da qualche anno si è capito che non è così. I grandi studi hollywoodiani si trovano ad affrontare la nuova mutazione del fandom causata da loro stessi. Non solo hanno fatto salire questo nuovo pubblico, estremamente selezionato, sulla grande nave produttiva. L’hanno accolto a poppa, gli hanno mostrato la direzione e si sono fatti ammaliare dal talento, dalla specializzazione settoriale di questi nuovi viaggiatori. E gli hanno, in parte, dato il timone.

GOT Fandom tossico

Una volta che si è capito il potere di questa interlocuzione, molti altri ancora sono saltati a bordo. I grandi franchise che un tempo sembravano indistruttibili (vero, Star Wars ed Harry Potter?) hanno compartimentato il pubblico in un gioco a matrioska. Sì, perché nonostante i grandi numeri al box office, gran parte dei blockbuster si è creato la propria nicchia di pubblico. Non importa quanto grande sia questa nicchia, resta sempre uno spazio di interesse circoscritto ed esclusivo.

Le fan base nascevano proprio come “base”, come punto di ritrovo accogliente e inclusivo per tutte le persone. Il terreno comune alle fondamenta, era la passione il prodotto culturale che accumunava i membri. Oggi le cose sono un po’ diverse. Entrare in una comunità di esperti di un qualsiasi universo narrativo, è un’ impresa estremamente difficile. Le molte comunità, le molte nicchie che nascono attorno a un prodotto, sono definite più da chi escludono rispetto a chi includono. È il paradosso su cui si fondano le basi di quello che oggi è definito come il fandom tossico.

John Rogers, lo sceneggiatore di Catwoman, ha coniato nel 2004 l’azzeccato termine “fandamentalist”, una crasi tra il fan e il fondamentalismo. Già all’epoca si intravvedeva un tratto distintivo delle comunità più estreme: il complesso rapporto con il “canone”.  Un oggetto di per sé mutabile, considerato però alla stregua di un testo sacro a cui ritornare. Nemmeno l’autore stesso può tradirlo secondo il fandom più radicalizzato. Non ci può essere una radicale variazione agli eventi già canonizzati dai fandamentalisti.

Oggi, questo problema, lontano dall’essere anche solo assorbito dall’industria, sembra però un’inezia rispetto alla deriva del fandom tossico.

Ghostbusters Fandom

Nessun grande studio è oggi immune dall’influenza delle comunità. Qualche caso significativo, oltre alla già citata Snyder Cut. La Sony dovette fare fronte a innumerevoli attacchi per via del suo Ghostbuster al femminile che non aiutarono certo la campagna promozionale. A prescindere dal risultato finale, l’intero progetto era stato rumorosamente rigettato ancora prima di arrivare in sala. La Lucasfilm (e quindi la Disney) si sono confrontate con la community di Star Wars sempre in fermento, ma ancora di più tra l’uscita dell’ottavo e del nono episodio della saga. Molti attori ricevettero insulti fino ad abbandonare i social network. La fanbase stessa si spaccò ulteriormente. La Marvel si ritrovò 58 mila recensioni negative su Rotten Tomatoes solo poche ore dopo l’apertura di Captain Marvel

È importante tenere a mente che si sta parlando di minoranze, di piccoli gruppi, rispetto alla totalità degli spettatori. Ovviamente sono voci molto rumorose che prendono facilmente possesso dell'attenzione dei media.

E anche il termine “fandom tossico” va letto con un accento sulla seconda parola e meno su “fan”. Spesso infatti queste derive delle comunità si fanno portatrici di messaggi e istanze che prescindono dal film in questione. Spesso avanzano attacchi misogini o razzisti, hanno un sottofondo ideologico o comunque politico.

Certo, queste reti sono in grado di portare risultati positivi, come la comunità di fan di Zack Snyder che hanno raccolto 500 mila dollari per la prevenzione dei suicidi. Un gesto in onore di Autumn, la figlia scomparsa del regista.

Ma quando questo non avviene è un problema. Parliamo di casi ben più gravi rispetto alla guerra di recensioni negative sui film prodotti dallo stesso studio.

Approfondisci qui: Godzilla vs Kong: su IMBb arrivano i voti negativi di alcuni sostenitori del movimento #RestoreTheSnyderVerse

A gennaio la cosplayer Krystina Arielle ha subito attacchi razzisti dopo che venne assunta come conduttorice di The High Republic Show. Una trasmissione di StarWars.com dedicata a uno sguardo dietro le quinte dell’universo di Guerre Stellari. Lucasfilm era solitamente silenziosa su questi fatti; non intervenì quando Kelly Marie Tran fu costretta a lasciare i social network per via dell’ondata di insulti, ad esempio. Questa volta però non ignorò le minacce alla donna e rispose con un tweet di supporto. 

Pochi mesi dopo lo studio si trovò a fare i conti con le affermazioni controverse dell’attrice Gina Carano. Prontamente licenziata. Due facce della stessa medaglia che dicono come Hollywood abbia finalmente capito di avere un grosso problema tra le mani e abbia deciso di agire. Lo fa con poche azioni molto prudenti, ma necessarie. Servono però a stabilire il tono della discussione, a mettere ai margini comportamenti tossici. Non a troncare la conversazione con il fandom.

Secondo il giornalista Sean O’Connell ignorare la minoranza rumorosa e violenta significa silenziosamente perdonare questo tipo di comportamento. È necessario, per l’industria creativa, avere una politica di tolleranza zero. O’Connell nota che quando Ann Sarnoff si è espressa contro il fandom tossico non è stata respinta dalla community. Le reazioni negative derivavano dall’intenzione di non continuare lo snyderverse. C’è spazio di manovra quindi per limitare i disturbatori.

È un momento delicato quindi per un fenomeno che è destinato ad accentuarsi sempre di più. Vanno quindi studiate e sperimentate nuove modalità di interazione. Gli studi devono riprendere un posto di primo piano, riottenere la voce più forte. Le risposte avute fino ad ora sono ancora timide, prive di continuità.

Invece di andare a rispondere ai singoli eventi, l’intera industria dovrà agire come un comparto unico, stilando delle linee guida, delle modalità comunicative da adottare per circoscrivere dei confini precisi all’interno dei quali si svolgono l’intrattenimento, l’arte e la cultura. Tutto il resto è fuori. Deve essere messo ai margini (e non più al centro, come sembra oggi con gli attacchi di odio), non certamente costretto al silenzio, quello sicuramente è impossibile, ma almeno senza essere indirettamente giustificato guardando dall’altra parte.

Fonte: Hollywoodreporter

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