Hawkeye episodio 3: ...E quella sensazione di non avere mai conosciuto Clint Barton
Il terzo episodio di Hawkeye è la prova che abbiamo sempre visto solo una piccola parte del personaggio e ora Clint Barton ruba la scena.
Nel nostro speciale sul personaggio a cura di Angie parlavamo di quanto Hawkeye fosse il cuore e la carne degli Avengers. Sacrificato nel primo film come elemento per far procedere la trama, in Age of Ultron diventava il contrappunto umanissimo del temibile androide. Il metallo (o meglio vibranio) e gli ingranaggi cercano di difendere la terra attuando un matematico, ma illogico piano di creazione della pace. Sterminare l’umanità per evitare le guerre. Clint invece, il più debole degli Avengers (più di Black Widow come abbiamo visto nel film a lei dedicato), è colui che dà la spinta giusta agli altri. Le sue motivazioni sono le più profonde: ha una famiglia e figli da difendere oltre ovviamente al resto del pianeta. Soprattutto però le sue ferite non si rimarginano come quelle degli altri. Soffre di più, deve essere salvato, rimane invalido, come lo troviamo nella serie.
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Il terzo episodio di Hawkeye usa le difficoltà uditive di Clint, condivise da Echo, per variare le scene d’azione. Riallontana Kate dal suo mentore, ma li unisce con il non verbale. La relazione prosegue senza troppe parole e con molta affinità, come nella riuscita sequenza in metropolitana basata su uno sfalsamento del dialogo, proprio come i balloon dei fumetti sovrapposti al contrario.
Piccole cose per Ikaris l’Eterno, ma un enorme problema per l’umano Clint. Sta qui tutto il bello della run di Fraction e Aja su cui è basata la serie (anche visivamente). Proprio quel fumetto ci ha regalato la scena più bella fino ad ora, quella delle frecce ovviamente. Che strumento cinematografico che è l’arco! Un’estensione della mano, ma anche un attacco letale che richiede gesti quasi magici.
Il cinema orientale ha saputo raccontare grandi poesie su quella corda che si tende per scoccare un oggetto che da quella forza trarrà la sua (si veda L’Arco di Kim Ki-Duk, per dirne giusto uno). Hawkeye invece ha una tale varietà di frecce che vederlo combattere non è tanto differente dall’ammirare i diversi incantesimi di Doctor Strange.
Il bello dell’arco è che, se non sei Legolas, dopo un po’ gli attacchi che puoi scagliare finiscono. Clint Barton e Kate Bishop devono tenere il conto di quanto possono scoccare. Soprattutto però devono valutare ogni singola volta quale sia la freccia migliore per quell’occasione! È facile per la regia, data questa premessa, dare freschezza e originalità alle parti più movimentate. Quanto si può dire del personaggio sulla base della scelta di una punta “Pym” o di una a “USB” invece che quella corrosiva! Ogni freccia ha potenzialmente un portato psicologico.
Quanto aveva da dirci Clint negli altri film che non ha avuto il tempo di esprimere. Avengers affaticato, outsider timido e riservato. Però un po’ gli pesa non avere la fama dei suoi compagni. È fondamentalmente un buono che vuole una vita serena. Sa essere amico, sa piangere le perdite. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Cosa ha fatto in quei cinque anni dallo schiocco di Thanos? Quanta rabbia l’ha guidato per sopravvivere in quel lasso di tempo?
Hawkeye man mano che va avanti delinea finalmente un protagonista tridimensionale nei molteplici aspetti della sua vita. Anche in quelli meno necessari, che sono il gusto di una serie tv che può permettersi di “perdere tempo” per mostrare qualcosa che non sia strettamente legato a ragioni di plot, ma per espandere il mondo immaginario. Lo conosciamo meglio, e più lo si conosce più viene voglia di capire i suoi lati oscuri. Che prima non solo non interessavano granché, ma che proprio si faticava a vedere. Chi, in Endgame, ha pensato più a lungo di qualche secondo al suo tormento?
Lui invece è come quell’amico un po’timido che sta sempre in disparte nel gruppo. Una volta interpellato o coinvolto nella discussione trova coraggio e si racconta. Man mano che si apre si capisce che quello sguardo e quella marginalità non erano povertà di personalità. Anzi, erano segno della pazienza di chi ha tanto da dire, ma sa aspettare il proprio momento per farlo.
Speriamo la sua cosa non si concluda tra tre episodi.