Harry Potter e la Pietra Filosofale: 15 anni di incantesimi e di speranza nel presente
A 15 anni dall'uscita di Harry Potter e la Pietra Filosofale, ripercorriamo il momento in cui i maghi di Hogwarts sono sbarcati sul grande schermo
Il mondo ha già conosciuto gli X-Men di Bryan Singer ma non ancora il boom dei supereroi come lo conosciamo oggi. Poco dopo l’alba del nuovo millennio molte star ci pensano ancora due o più volte prima di interpretare un cinefumetto nel quale, nell’immaginario di molte agenzie di gestione dell'immagine, si rischia ancora di rendersi potenzialmente ridicoli finendo per “indossare una calzamaglia”. Donald Trump non è ancora apparso in The Apprentice e, tra un matrimonio e una bancarotta, ha aiutato Kevin McCallister a trovare la lobby del Plaza Hotel. Non ci sono smartphone e social network e i vegani sono ancora gli abitanti di Vega evocati in Contact di Robert Zemeckis (“Coincidono, se si ragiona come un vegano!” svela S.R. Hadden alla dottoressa Arroway). Non sono ancora pienamente sdoganati i concetti narrativi e commerciali di reboot e di universo cinematografico, che troveranno la massima espressione nelle fortunate operazioni della Warner e dei Marvel Studios del 2005 (Batman Begins di Nolan) e del 2008 (Iron Man di Favreau). La serialità televisiva ha il suo giro di affari, ma fa ancora scuola a sé e poco s’impiccia delle faccende del grande schermo: Netflix è ancora una compagnia di noleggio di DVD e videogame ma la HBO, tra I Soprano e Sex and the City, è già entrata nella produzione di Band of Brothers con Steven Spielberg e Tom Hanks. Il Signore degli Anelli è un progetto atteso e chiacchierato, ma nessuno ha ancora un’idea chiara di quanto e come la trilogia di Peter Jackson avrebbe cambiato la storia del cinema. Il futuro premio Oscar neozelandese è conosciuto ma non ancora noto al grande pubblico, e sul grande schermo la Terra di Mezzo ha visto solo una mezza trasposizione nel lungometraggio animato di Ralph Bankshi del 1978, rimasto appeso senza il suo seguito per via degli scarsi incassi.
Un mondo che già immaginavamo
Se ignoriamo il fenomeno, se fingiamo che dopo il primo capitolo del franchise non sia successo nulla, appare forse più limpido come Harry Potter abbia incarnato innanzitutto un universo che era già in nuce nella mente di più di una generazione: il mondo fantastico che gli studenti creano attorno ai loro professori per rendere la vita scolastica più interessante, meno stressante e più ricca di spunti di evasione. Harry Potter ha studiato materie che sia il pubblico che i lettori avrebbero voluto studiare. Non ha avuto i professori che tutti avrebbero desiderato, bensì i docenti che gli alunni hanno spesso immaginato di avere già, consegnando ai loro insegnanti una giostra di identità parallele assimilabili agli educatori di Hogwarts.
Oltre a rappresentare esattamente questo, la carica emotiva del franchise cinematografico è stata amplificata dalla sua cadenza pressoché annuale. Il pubblico che è cresciuto con Harry Potter, condividendo con i protagonisti le età dalla prima adolescenza all’età adulta, ha tacitamente trasposto se stesso in un universo fittizio che, al netto della sospensione dell’incredulità, è parallelo solo sulla carta: se i maghi hanno la magia, noi abbiamo la tecnologia. Entrambe ci conferiscono possibilità sempre crescenti e, spesso, ci danno l’illusione di poterle utilizzare a nostro vantaggio e, soprattutto, a parziale o totale sostituzione del ruolo degli educatori. Abbiamo accesso, oggi ancora più di ieri, a una mole spaventosamente ampia di conoscenza, ma non possiamo fare a meno di essere indirizzati da chi ha più esperienza di noi. Magia e tecnologia non possono uccidere l’etica della responsabilità, pena la totale disgregazione di entrambe le società che i maghi e i babbani hanno costruito, anche al netto delle rispettive storture. “Non sono le nostre capacità che dimostrano chi siamo davvero, sono le nostre scelte” sentenzierà Albus Silente in Harry Potter e la Camera dei Segreti. Ancora oggi, forse, è la massima che meglio riassume l’idea portante sulla quale è costruito l’universo narrativo di J.K. Rowling.
Speranza in un presente migliore
Al netto dell'operazione multimilionaria, il cui esito non era affatto scontato, quale è stata la chiave narrativa, visuale e emozionale che è riuscita a fare un patto col box office per oltre un decennio? Una possibile risposta, rigorosamente non univoca, è nella capacità del mondo di Harry Potter di premere sul presente del pubblico. Più che contenere un'antropologia e una visione del mondo, e più che far ben sperare in un futuro migliore, Harry, Ron e Hermione hanno mostrato un punto di vista "pronto" e "utilizzabile" per gli spettatori già all'uscita della sala cinematografica. Il tutto, rivolto a una fascia d'età che, in effetti, aveva tutto il diritto di non preoccuparsi dell'avvenire. La dimensione parallela dei maghi, pronta a riprodurre le stranezze del mondo umano in chiave magica e bizzarra (scuole, banche, ministeri...) era sovrapponibile alla nostra e la rendeva, in tutto e per tutto, più interessante. E anziché contenere un'antropologia nuova, il mondo dei maghi riproduceva non solo le dinamiche del nostro presente, ma anche gli eterni interrogativi posti dalle cosmogonie che, per quanto immaginifiche, hanno al centro i sentimenti umani: come la Forza, che usata bene o male colloca nel lato chiaro o oscuro, anche la Magia pone ai suoi fruitori la scelta dicotomica tra le forze del bene o del male.
Ma il grande vantaggio del film di Chris Columbus è quello di non essere ossessionato da tutto ciò che "potrebbe succedere dopo". È per questo che la sua attenzione è tutta spostata su una singola emozione: lo stupore. E per definizione, lo stupore è inevitabilmente schiacciato sul presente: poco dopo, è già passato per far posto all'esperienza e al disincanto. Ecco dunque che la forza di Harry Potter e la Pietra Filosofale è tutta sulla scoperta di un mondo del quale si intravede soltanto la punta dell'Iceberg: alla vista del castello dalle barche delle reclute, che vedono la loro nuova casa stagliarsi maestosa sotto il cielo notturno e illuminata da un mare di lanterne, il pubblico scorge un presente più bello e ricco di fascino del proprio e, anziché esserne invidioso, se ne compiace e lo fa suo. Il Quidditch, anziché l’ora di educazione fisica, ha fatto il resto.
Il look vecchio, polveroso ma elegante e caldo del mondo dei maghi ha suscitato impressioni diverse in spettatori diversi richiamando alla mente uno spettro di suggestioni che spazia da Piramide di Paura (scritto proprio da Columbus) a Pomi d'Ottone e Manici di Scopa. Nulla, poi, sarebbe stato così efficace senza le partiture di John Williams: dal tema principale alle singole arie, il genio americano ha più volte citato se stesso attingendo in particolar modo da Mamma Ho Perso l'Aereo e da Hook Capitan Uncino: due titoli che, su cifre stilistiche diverse, hanno saputo amalgamare mistero, azione e spirito d'avventura raccontando tanto la Chicago dei McCallister che la Londra di Wendy Darling. E senza saperlo, l'incipit del franchise della Warner ha poggiato su più di un paradosso: il ciclo letterario non era concluso e l’indirizzo dell’universo dei libri non era ancora né chiaro né definito. E mentre le vicende narrate nelle pagine crescevano di dimensioni e intensità, il cinema continuava a dipendere dalle sue esigenze di battere cassa. Ecco dunque che Harry Potter e la Pietra Filosofale arriva a durare oltre 2 ore mezza a fronte di un romanzo molto poco voluminoso, mentre le successive avventure sul grande schermo hanno sempre più risentito dell’esigenza di comprimere, riassumere e spesso tagliare molte parti di una saga che sulla carta stampata cresceva di intensità e di ambizioni.
Il marchio, tuttavia, si rivela non solo vincente ma anche fonte di un rinnovato orgoglio tutto inglese nel continuare a produrre fenomeni culturali in grado di durare nel tempo. Per i britannici, se Harry Potter è "cosa fatta bene", lo è per tutti: "Siamo la patria di Shakespeare, di Churchill, dei Beatles, di Sean Connery, di Harry Potter!" esclama il primo ministro britannico di Love Actually, in barba all'ex alleato americano che esporta Big Mac e ci prova con la sua assistente.
Quindici anni, otto film e qualche miliardo di dollari più tardi, il mondo dei maghi è in fase di espansione con lo sbarco di un nuovo capitolo sul palcoscenico e un atteso spin-off sul grande schermo, intervallati dal crescente protagonismo del materiale pubblicato su Pottermore. Mentre la storyline dei protagonisti di Hogwarts prosegue (e secondo alcuni si stiracchia) nel libello teatrale di Harry Potter e la Maledizione dell’Erede, il Newt Scamander di Eddie Redmayne è pronto a inaugurare una nuova saga e a inglobare nel franchise della Warner lo strumento dell’universo condiviso. Animali Fantastici e Dove Trovarli sarà il primo di una saga di cinque film, che nasceranno e si svilupperanno su presupposti ben diversi dagli otto lungometraggi che già conosciamo. La Warner li ha affidati tutti allo stesso regista e J.K. Rowling è direttamente coinvolta negli script. La nuova serie di film di David Yates, responsabile di quattro degli otto capitoli con Daniel Radcliffe, avrà forse il vantaggio (?) di un’unica mente creativa alla guida del cast tecnico e artistico ma, allo stesso tempo, dovrà portare il pubblico su terreni inesplorati per evitare l’effetto "già visto" e per coinvolgere chi, ai tempi di Harry Potter e la Pietra Filosofale, non era ancora nato. Lo spin-off arriva dopo tre lustri intrisi di profondi mutamenti nei gusti del pubblico e negli assetti di mercato. È bene, più che mai, che si regga su basi solide senza contare di vivere della luce riflessa del suo illustre predecessore.