Harry Potter e i doni della morte – Parte 2, dieci pensieri per i dieci anni del film
Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 festeggia il suo decimo compleanno: lo ricordiamo con queste dieci riflessioni
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1) La distruzione è un atto creativo. L’ha detto Giorgio Chiellini ed è la filosofia con cui David Yates ha affrontato un film che racconta la fine di un mondo e l’inizio della ricostruzione dalle sue macerie. Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 è un addio prolungato e ininterrotto a tutti quei luoghi, e in certi casi personaggi, che abbiamo imparato ad amare nei sette film precedenti. Che qui vengono invasi, demoliti, rasi al suolo, dati alle fiamme, ci vengono mostrati, insomma, non nella loro condizione naturale ma nel bel mezzo di una guerra. Parliamo di Hogwarts, ovviamente, dove si svolge gran parte del film, ma anche della Gringott, e ovviamente di tutti quei volti ai quali volevamo bene e ai quali, come in ogni battaglia finale che si rispetti, dobbiamo dire addio.
3) Una valanga di mazzate. IDDM2 (I doni della morte – Parte 2, nel caso non fosse chiaro) è senza alcun dubbio il film meno parlato e più ritmato dell’intera saga. O, se preferite, è un film che non sta fermo un secondo, e che mette in fila una quantità sinceramente impressionante di scene d’azione e di cose che si sfasciano. È come se, di fronte alla prospettiva della battaglia finale, la produzione avesse finalmente deciso di dare il permesso di aprire tutto: giganti contro statue animate di pietra? Fate pure. Ghermidori fritti vivi da una barriera magica? Prego. Ponti che crollano, mura che collassano, primi piani di cadaveri insanguinati? Non vi diremo di no.
4) La differenza tra film cupo e film buio. Il più grosso difetto di Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 è anche conseguenza diretta del fatto di essere l’unico film della saga convertito in 3D: il risultato è buio, non “cupo” o “scuro” o “notturno”, semplicemente troppo buio, e a tratti incomprensibile, soprattutto durante le altrimenti spettacolari riprese aeree di Hogwarts assediata dall’esercito di Voldemort. Non c’è bisogno di rendere l’immagine illeggibile per far capire che il film sta virando in territori più dark del solito.
5) David Yates è ingiustamente odiato. È vero, gli manca il tocco personale di Cuaròn ma anche l’approccio fanciullesco di Chris Columbus, e Yates è stato spesso accusato di essere un mero esecutore, uno shooter senza personalità e troppo fedele all’ordine delle cose come previste dal testo originale. Ma è ingeneroso bocciare così anche il suo lavoro per IDDM2: soprattutto quando c’è da alzare il volume e fare casino, Yates si dimostra un regista più che discreto, con un ottimo occhio per la leggibilità dell’azione e un gusto anni Ottanta per one-liner e salvataggi dell’ultimo secondo.
6) Severus Piton è ingiustamente amato. Scusate, questa è una considerazione dell’autore che richiederebbe lunghissime discussioni sulla figura del professore più odiato e poi amato dal fandom, e questo ci porterebbe fuori dal seminato e soprattutto riaprirebbe ferite che pensavamo ormai chiuse. Concentriamoci quindi su quanto Alan Rickman riesca sempre e comunque a spiccare come un fuoriclasse, anche in un film (e una saga) interpretato da gente che, dopo anni nello stesso ruolo, aveva finito per identificarsi con il proprio personaggio. E proprio riguardo a questo…
7) Che problemi avete con Daniel Radcliffe, Rupert Grint ed Emma Watson? D’accordo, possiamo discutere delle loro prove in qualcuno dei film precedenti, e anche delle loro scelte di carriera post-Potter, del loro talento e di quanto ne abbiano davvero, tutto quello che volete. Ma qui, dopo otto film nei panni degli stessi personaggi, dopo aver passato i migliori anni della loro vita nei panni di figure di finzione, è chiaro che non stanno neanche più recitando, ma stanno essendo Harry, Hermione e Ron. E sono quindi, per definizione, perfetti.
8) La battaglia finale funziona meglio che nel romanzo. In parte per quanto dicevamo sopra su Yates e sulla messa in scena, in parte perché i romanzi scritti da JKR sono andati incontro (a distanza di anni possiamo dirlo senza preoccuparci troppo delle conseguenze) a un notevole calo qualitativo dal punto di vista stilistico, che è andato in parallelo, ma all’opposto, con l’incedere della storia e l’esplosione della mitologia. La misura perfetta in questo senso è stata raggiunta nel quinto romanzo, L’ordine della fenice, mentre i successivi diventano gradualmente più densi di spunti, idee, direzioni narrative e soluzioni originali, e contemporaneamente peggiorano a livello di scrittura; per cui l’impatto della battaglia di Hogwarts è parzialmente attutito dal fatto che quei capitoli avrebbero beneficiato di una seconda passata di editing – quella che non serve invece al film di Yates.
9) Il finale nell’Apple Store invece no. Il limbo nel quale Harry incontra Silente per un’ultima volta funzionava molto meglio su carta, perché era descritto come un luogo non descritto e lasciava quindi spazio all’immaginazione. Il salto dalla pagina al grande schermo, purtroppo, obbliga a fare scelte estetiche e a cristallizzare un non-luogo in un’immagine precisa – e quella scelta da Yates e compagnia è tremendamente pacchiana, oltre che fuori posto (il suo vero posto sarebbe dentro Matrix). L’impatto della scena tutto sommato non cambia perché è uno dei momenti decisivi di un percorso durato otto film, ma l’impressione nel 2021 è che si potesse fare di meglio che copiare i keynote di Tim Cook.
10) Siamo tutti Minerva McGonagall. “I’ve always wanted to use that spell!”.