Halo, quindici anni da fieri compagni d’armi di Master Chief

A novembre non si festeggia solo Xbox, ma anche Halo, la saga di Microsoft che ha rivoluzionato un genere e che in questo 2016 ha compiuto quindici anni di vita.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


Condividi

C’era la grafica pazzesca, un arsenale stuzzicante, nemici di ogni stazza, mezzi dotati di cannoni e lanciamissili, una colonna sonora che sarebbe passata alla storia e un senso di libertà che, seppur in buona parte fittizio, coinvolgeva l’utente in un’avventura dai toni epici, seriosi, maturi. C’era naturalmente Master Chief, protagonista volutamente senza volto, ma non per questo privo di carattere. Non si potevano scorgere i suoi occhi, né le smorfie per la fatica di abbattere a mani nude i pericolosissimi Elite, ma più di ogni altra cosa c’era la sua voce, sempre calma e pacata, a rassicurarci, a sussurrarci che nonostante la nostra specie fosse a un passo dall’estinzione, lui, incapace di fallire, avrebbe trovato il modo di risolvere tutto, di condurre l’umanità intera ad una vittoria insperata.

Halo, FPS senza mezzi termini rivoluzionario, in quel novembre del 2001, mostrò con un lampo accecante il futuro del genere e dei videogiochi in generale. Ancor prima di Mass Effect, dimostrò che l’epica sci-fi su console fosse possibile, se non dovuta ad un pubblico ormai maturo e pronto al cambiamento dei paradigmi in gioco, incentivato e veicolato dai nuovi hardware a 128-bit.

Per alcuni è stato un autentico colpo di fulmine, un punto di non ritorno che ha costretto molti team di sviluppo ad alzare l’asticella qualitativa solo per reggere il confronto con il nuovo termine di paragone.

Halo 2 migliorò praticamente in tutto il predecessore, emancipando definitivamente il multiplayer in rete su console, strappando il gioco online tra le principali fonti di vanto tra chi fruiva i videogiochi esclusivamente su PC. Alcuni trovarono fastidioso il vestire alternativamente i panni di Master Chief e dell’Arbiter, ma qualsiasi critica venne spazzata via dallo splendore grafico espresso dalla creatura di Bungie che sfruttava a dovere tutta la potenza, irraggiungibile per la concorrenza, della prima Xbox.

[caption id="attachment_164443" align="aligncenter" width="600"]Halo screenshot La prima volta che si alzano gli occhi al cielo, nel primissimo capitolo della saga, e si scorge la superficie dell’Halo che si estende sopra la propria testa, è il momento esatto in cui si intuisce di avere a che fare con qualcosa di straordinario e unico nel suo genere.[/caption]

Halo 3 rappresentò il grande salto nella generazione di console successiva. Chi si aspettava un potenziamento grafico in linea con lo spettacolo offerto dal predecessore rimase estremamente deluso e, per molti, fu proprio con questo episodio che la saga iniziò inevitabilmente a scricchiolare. Eppure, a distanza di anni, non si può non ricordare con tenerezza e nostalgia un multiplayer che ci costò numerose nottate in bianco e una campagna single player che concludeva con il giusto pathos un’epopea alimentata da un universo immaginifico gigantesco, credibile, vibrante di vita.

Con l’abbandono di Bungie e la presa in carico di 343 Industries alle redini della serie, Halo ha vissuto e sta vivendo la parte più controversa della sua esistenza. Il quarto e il quinto capitolo vengono citati soprattutto per elencare ciò che non ha funzionato, più che per le emozioni che hanno comunque saputo regalare. Eppure, entrambi i titoli hanno ulteriormente approfondito il personaggio di Master Chief, mostrandoci aspetti ancora ignoti del suo carattere. Anche l’art design ha fatto passi da gigante, senza farsi problemi nell’andare a pescare a piene mani da fonti d’ispirazione comunque utilissime al compito (Metroid Prime su tutti). Il multiplayer, semmai, ha dovuto battagliare con una concorrenza ormai agguerritissima, composta dai vari Call of Duty, ma anche Destiny e Titanfall, perfettamente in grado di combattere ad armi pari e persino di proporre qualcosa di completamente nuovo.

Nel mezzo ci sono stati Halo: Reach, certamente il migliore dal punto di vista narrativo, Halo 3: ODST, che mescolava piacevolmente più di una carta in tavola, Halo Wars, che ereditava di sana pianta diverse caratteristiche che furono di Age of Empires. C’è stato persino un episodio per il mercato mobile, fumetti, serie TV e romanzi.

Sì, perché è stato proprio questo il più grande contributo del brand. Fu tra le prime saghe videoludiche a tentare la strada della crossmedialità con una strategia ben precisa alle spalle, nel tentativo di creare una trama onnicomprensiva coerente, priva di contraddizioni e costantemente proiettata verso un passato nebuloso e un futuro tutto da scoprire. Non era Star Wars che occasionalmente si faceva videogioco, non era nemmeno Super Mario che goffamente esordiva al cinema con un prodotto che nulla aveva a che vedere con i capolavori che venivano sfornati, in serie, su NES e Super Nintendo. Era un videogioco che nel pieno rispetto di quello che mostrava sullo schermo, nel pieno rispetto del suo audience dunque, estendeva la sua storia e i suoi personaggi in altri contesti. Grazie ai romanzi abbiamo così scoperto le origini di John-117, con fumetti e serie TV abbiamo assistito impotenti alla caduta di Reach da più punti di vista.

[caption id="attachment_164445" align="aligncenter" width="600"]Halo screenshot L’evoluzione del modello poligonale dell’armatura MJOLNIR, lungo i vari capitoli della saga, rende l’idea della progressiva evoluzione degli hardware che hanno ospitato le avventure di Master Chief.[/caption]

In fin dei conti, chi ama Halo lo fa per l’abilità di sviluppatori e artisti con cui hanno concepito l’intero progetto fondendo meravigliosamente un futuro hi-tech credibile, con suggestioni mistiche, filosofiche e religiose che rimandano ad un mondo arcaico che ci appartiene e ci riguarda da vicino. Un’umanità che ha raggiunto mondi extrasolari abitabili, in lotta con una congrega di razze extraterrestri, accomunate da un fanatico credo che innalza a divinità un’entità parassita, è un’immagine già di per sé affascinante, che ribalta la comune visione di alieni mossi alla guerra da necessità energetiche. Nel mezzo c’è il grande dramma degli Spartan, strumento di morte necessario per mantenere l’ordine tra le colonie, divenuti ultimo baluardo di un esercito incapace di sopraffare il nemico. Non sono altro che bambini a cui è stata strappata la possibilità di vivere liberamente, al fianco delle proprie famiglie, marionette nelle mani della Dottoressa Halsey, altro personaggio dotato di una strepitosa caratterizzazione, che instaura con le sue “creature” un rapporto ambiguo, complesso, combattuto.

Più di ogni altra cosa, Bungie e 343 Industries sono riuscite nel non facile compito di dare forma ad un universo immaginifico facilmente espandibile. Ogni volta che si ha la sensazione di essere giunti all’alba dei tempi, la cronistoria sposta il limite un po’ più in là, ampliando gli orizzonti d’indagine, regalando ai fan più meticolosi nuovi indizi su cui tentare di ricostruire l’immagine d’insieme. C’erano i Covenanti, in principio, poi si sono aggiunti i Precursori, a loro volta specie succeduta ai Predecessori. È una spirale che sembra non conoscere fine, un turbinio di ere, guerre e specie che pur rendendo sempre più complesso l’orientamento lungo la timeline della saga, ha il grande (e tutt’altro che scontato) pregio di non tradirsi (quasi) mai, qualità frutto di una gestione oculata e meticolosa del brand.

Al di là delle critiche, dei difetti che hanno afflitto i vari capitoli del brand, non possiamo che essere fieri di essere compagni d’armi di Master Chief da quindici anni. La sua voce che ispira sicurezza e tranquillità, anche nel cuore della battaglia più disperata, è una di quelle consuetudini a cui non possiamo più rinunciare. Anche perché, ammettiamolo, ci commuoviamo sempre un po’ quando ascoltiamo il bellissimo tema composto da Martin O'Donnell, Never Forget, memori dei tanti compagni caduti nel corso della saga di Halo, come colti da un’inspiegabile e immotivata sindrome del sopravvissuto.

[caption id="attachment_164444" align="aligncenter" width="600"]Halo screenshot Difficile, per non dire ingiusto, giudicare la trama di Halo considerando solo ciò che viene svelato e raccontato attraverso i videogiochi. L’origine del Flood, più di ogni altra cosa, è parzialmente ignota senza aver letto al trilogia di romanzi dedicata ai Precursori.[/caption]

Perché alla fine, tirando le somme, è proprio questo che siamo: sopravvissuti. Nonostante tutto l’orrore, i genocidi e la guerra che puntualmente scoppia, anche all’indomani della vittoria sui Covenant, siamo ancora lì, al fianco di Master Chief, desiderosi, nonostante tutto, di una nuova avventura, di un ulteriore prova della sua resistenza a qualsiasi avversità, in una lotta di resistenza e logoramento in cui ciò che si salva, sembra sempre meno di quello che si è perso.

E alla fine dei conti, inspiegabilmente, è proprio questo senso di onnipotenza degli Spartan, rocce inamovibili in un mare di figure secondarie che si lasciano sopraffare, che ci tiene ancora intimamente e indissolubilmente legati all’epopea di John-117.

Anche e soprattutto per questo, buon compleanno Halo e grazie di tutto.

Continua a leggere su BadTaste