Halloween – The Beginning, una pessima idea sviluppata bene
Halloween – The Beginning parte da un’intuizione disastrosa, che in qualche modo Rob Zombie riesce a declinare in maniera accettabile
“Va’ e fai il tuo film, giovane Padawan, e non preoccuparti di quello che è venuto prima”. Con queste parole, che potremmo avere abbellito per l’occasione, John Carpenter investì, nel 2006, il giovane e rampante Rob Zombie née Robert Bartleh Cummings dell’esaltante ma anche ingrato compito di ridare vita a un noto franchise horror. Nacque così, con queste istruzioni così chiare eppure così foriere di incomprensioni e discussioni, Halloween – The Beginning; in un periodo nel quale tutte le grandi saghe horror del passato stavano tornando in vita con titoli che si concludevano in “The Beginning”, eppure in mezzo a quella valanga di anonimato buono solo ad alimentare polemiche sullo scarso rispetto mostrato verso i classici, il film di Zombie riuscì a spiccare e a farsi ricordare per qualcosa, invece che per l’assenza di qualcosa. Che poi questo qualcosa avesse degli enormi problemi di fondo ancora irrisolti perché irrisolvibili è un altro problema; quantomeno Zombie ci ha provato, ed è più di quello che si possa dire di tutti i Lussier, i Liebesman e i Nispel di questa Terra.
Non è ovvio per nulla, in realtà, anzi. Michael Myers nasce per rappresentare l’incarnazione del male assoluto e senza spiegazioni; una forza della natura, come l’ha sempre definito Carpenter. E certo, i film successivi al primo provavano già in qualche modo, un po’ per espandere l’universo Halloween un po’ per allungare il brodo, a farci dare un’occhiata dentro la testa del killer mascherato, e a farci capire le ragioni dietro la sua sete di sangue. Rob Zombie, invece, decide che la sottigliezza non fa per lui, e che le allusioni non portano da nessuna parte: il modo migliore per rendere Michael Myers spaventoso, secondo lui, è spiegarci per filo e per segno che cosa l’ha trasformato da dolce angelo biondo a feroce assassino senza emozioni.
È uno dei più grossi problemi non solo delle sequenze iniziali di Halloween – The Beginning, ma di tutto il film e in realtà di tutto il progetto di Zombie: quel tono da primi anni Duemila forzatamente disperato e al servizio di una messa in scena massimalista e quasi pornografica nel suo amore per la violenza, il sesso e ogni tipo di perversione. E per carità, mai ci sogneremmo di lamentarci di alcuno di questi elementi; il problema è che non sapendo mai quando tirare il freno a mano, Zombie mette in scena una sequela di situazioni non solo sgradevoli ma soprattutto ripetitive – ha un’idea da farci passare (Michael Myers è diventato Michael Myers perché ha avuto un’infanzia difficile) e passa interi minuti a martellarcela nel cranio, dimenticandosi dell’atmosfera per immergersi a piene mani nel gore (i due Halloween di Zombie sono senza fatica i due capitoli più violenti e splatter dell’intera saga).
Tutto intorno a questa collezione di sangue e violenza, il film si trascina stancamente, tutto appoggiato sulle spalle di Malcolm McDowell nei panni del dottor Loomis – un volto tradizionalmente da psicopatico al quale è stato affidato il ruolo dello psichiatra, una scelta meta-cinematografica questa sì geniale, e che Zombie ci tiene a sottolineare più volte con intensi rimi piani degli occhi azzurri di Loomis che pronuncia frasi tipo “guardateli, questi sono gli occhi di un killer” (in riferimento ovviamente a Myers, almeno dall’altro lato della quarta parete). A un certo punto, verso il minuto 50, viene quasi voglia di mettere in pausa e di controllare di stare guardando il film giusto; poi arriva il momento in cui Zombie toglie i freni al carroarmato e introduce l’altra metà del cielo, l’altro pezzo del puzzle, l’altra faccia della medaglia, Laurie Strode.
Scout Taylor-Compton da sola si carica il resto del film sulle spalle, e il fatto che la sua entrata in scena coincida con il momento in cui smettiamo di guardare lunghi monologhi di Malcolm MacDowell che prova senza successo a conversare con un preadolescente pluriomicida sicuramente aiuta. La seconda metà circa di Halloween – The Beginning è, finalmente, Halloween, con i suoi omicidi in serie, le sue ombre imponenti che si stagliano su un muro mentre in casa una famiglia felice si gode una deliziosa cenetta ignara di quello che sta per succedere, la sua corretta dose di violenza non più gratuita. Zombie immagina un Michael Myers che è ancora più grosso del suo predecessore, di un’altezza quasi irreale per un essere umano (uno dei pochi dettagli nei quali il progetto vira dal realismo per andare in territori adiacenti al soprannaturale); e che è ancora più crudele, che non uccide con fredda efficienza ma sembra divertirsi – per quanto possa farlo un tronco d’uomo senza espressione – mentre lo fa. E di conseguenza la povera Laurie è più vittima e meno final girl della sua corrispettiva interpretata da Jamie Lee Curtis; soffre di più, si fa più male, e sembra ancora più impotente di fronte all’inevitabilità di Myers (ma questa percezione potrebbe essere macchiata dall’Halloween del 2018, che ha fatto una sola cosa buona ed è quella di riconsegnarci una Laurie Strode in versione survivalist).
Purtroppo non bastano tutti gli omicidi concentrati nella seconda ora di film per salvare del tutto Halloween – The Beginning, un film troppo pesante in tutte le possibili accezioni del termine, e la cui idea di fondo (“perché Michael Myers è così?”) è costituzionalmente meno interessante dell’approccio carpenteriano (“Michael Myers è così”), o comunque meno efficace nel generare terrore – è un film che fa di tutto per farci provare un po’ di empatia per uno dei killer più famosi della storia del cinema, e già per questo merita applausi per il coraggio, ma anche una vigorosa scrollata di capo e un profondo sospiro di fronte a una scelta che in partenza condanna il film a essere inferiore alla fonte a cui si ispira. Le riflessioni di Zombie continueranno due anni dopo con un sequel inevitabile e per molti versi migliore del predecessore; ne parleremo presto.