Halloween, anatomia di un capolavoro, come 40 anni fa Carpenter ha creato "il Via Col Vento del cinema horror"

Forse il film più importante della storia del cinema horror, Halloween nasce con un'idea da exploitation e poi incontra un genio nel momento giusto

Critico e giornalista cinematografico


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Il produttore di Halloween, Joseph Wolf, lo definisce: “Il Via Col Vento del cinema di paura” e nonostante sia di parte ha ragione. Halloween è un film spartiacque, quello che ha fondato un nuovo modo di fare paura e assieme a Non Aprite Quella Porta e Lo Squalo ha creato una struttura base dello slasher movie, poi imitata fino ad oggi. Ha cambiato le strategie produttive di Hollywood a partire da niente, da un pugno di mosche (che è quel che non lo accomuna a Via Col Vento). Dimostrando un’altra volta nella lunga storia del cinema che non sono mai i soldi a fare i film ma le idee, e le idee non costano niente.
Halloween è un cumulo di aneddoti e stratagemmi non convenzionali, un atto da vero cinefilo possibile solo da una generazione (quella dei Lucas, Spielberg, Scorsese, Coppola e Carpenter) cresciuta con il cinema non solo americano e desiderosa di essere autore come gli europei.

A dimostrazione di come il cinema, quello migliore, più innovativo e autoriale, non debba essere per forza figlio della volontà di un autore ma può anche nascere su commissione, Halloween nasce dalla mente di un produttore come idea commerciale. Lo spunto era fare un film che avesse la parola Halloween nel titolo, perché qualcuno si era accorto che non c’erano mai stati nella storia di Hollywood. E per sfruttarlo viene scelta un’altra idea succosa per il botteghino: baby sitter assalite.
Quando viene contattato John Carpenter, non c’è una sinossi ma solo parole chiave. Quel che gli viene proposto è “baby sitter assalite da un serial killer ad Halloween”. E lui accetta.

La scelta era caduta su di lui perché il suo film precedente (il primo ad aver ricevuto una vera distribuzione) era Distretto 13, remake di Un Dollaro D’Onore a budget inesistente ma di grandissimo effetto ed atmosfera. A Carpenter non interessava per nulla la paura (aveva fatto prima una parodia della fantascienza, Dark Star, poi per l’appunto un western mascherato da poliziesco) ma nel sistema americano l’importante è lavorare con il final cut, non importa cosa sia il film, quale missione ti dia il produttore, importa poterlo fare a modo proprio.

Carpenter quindi accetta e vuole il final cut (il sogno di quella generazione, quello che in Europa i loro miti hanno sempre). Per ottenerlo sostiene di poter fare tutto per 300.000 dollari, cifra ridicola, di cui 10.000 (più il 10% degli incassi che si prevedeva sarebbero stati miseri) se li sarebbe presi lui e facendo anche le musiche. La risposta è (letteralmente): “Per quella cifra puoi avere tutto quello che vuoi”.


Sono condizioni e idee che solo un emergente può proporre. Carpenter aveva già una sua truppa con cui lavorare, a cui si aggiunge il fondamentale apporto della sceneggiatrice Debra Hill, sapeva di saper stare dentro cifre contenute e voleva soltanto fare qualcosa di diverso dal solito. Siccome la paura gli interessava relativamente comincia a lavorare sui personaggi, lasciando il terrore da parte, esplora le ragazze, il loro mondo e gli dà carattere. In questo è più determinante P.J. Soles di Jamie Lee Curtis.

Come un vero malato di cinema va a guardare dentro di sé e dentro i suoi ricordi cinefili. I coltellacci del giallo italiano di Bava e Argento (soprattutto la sua musica!), l’atteggiamento inarrestabile e vuoto di Yul Brynner pistolero robot inarrestabile in Il Mondo Dei Robot e i principi che da sempre reggono la paura, quelli insegnati alla scuola di cinema: anticipazione e negazione. Per prima cosa non è quel che vedi a mettere paura ma quello che non stai vedendo (Ridley Scott ci costruirà la fortuna di Alien ma prima ancora Jacques Tourneur l’aveva sancito in un film epocale, Il Bacio Della Pantera, in cui non si vede niente di niente ma si teme tutto), e come seconda cosa se vedi qualcuno di pericoloso entrare in una stanza e poi ci entra il protagonista senza saperlo avrai paura (principio canonizzato da Hitchcock). Così compone Halloween, lasciando sempre la sua minaccia nello sfondo, facendola comparire dietro le siepi o dietro le finestre mentre le protagoniste parlano di altro.

La sua minaccia è sia terrena che soprannaturale, è una persona ma è anche ovunque. Non lo vediamo bene, non sappiamo dove sia e quindi potrebbe davvero stare dietro ogni angolo. Michael Myers diventa il simbolo non di una minaccia particolare ma della paura che ci attanaglia al primo rumore, il simbolo di tutto quello che temiamo quando siamo soli in casa o quando va via la luce.
La minaccia per la prima volta è superiore al minacciato. Addirittura all’inizio non doveva nemmeno essere Jamie Lee Curtis la protagonista, lei era la seconda scelta diventata la prima dopo il rifiuto di Anne Lockhart. E benché questo film per la prima volta incroci l’horror con il teen movie, i sentimenti e la psicologia delle ragazze che poi saranno uccise, lo stesso chi siano diventa secondario. Del resto anche Donald Pleasence arrivò ad interpretare l’unico ruolo per il quale era richiesto un volto noto dopo il rifiuto di Peter Cushing e Christopher Lee.

In questo vero tour de force di tecnica filmica fatto in poco tempo e con pochi soldi, c’è una voglia di cinema commerciale che esce da ogni poro. Halloween è il pop corn movie definitivo: divertente, pieno di ironia, battute, ragazze nude, sangue e squartamenti nella durata perfetta, 90 minuti. È un film che nasconde le sue idee sofisticate benissimo e a più non posso. Un film che vuole incassare, lo desidera tantissimo e lo ottiene: 50 milioni di dollari (diventati 70 milioni negli anni a venire) a fronte di 325.000 di budget, è stato il film indipendente di maggior profitto di sempre per anni (poi nei ‘90 il cinema indipendente è diventato di grande incasso e il profitto di Halloween fa ridere di fronte a quello di Pulp Fiction o Shakespeare in Love). Senza star e senza registi noti, Halloween aveva distrutto il botteghino solo con le proprie forze, la gallina dalle uova d’oro per qualsiasi produttore, imitato poi da tutti: Halloween nei sogni (Nightmare), Halloween nei boschi (Venerdì 13) e via dicendo.
Su questo, non a caso, la sentenza migliore è di Carpenter stesso, che vede il proliferare di cloni ma anche proprio di sequel di Halloween come segno dell’immortalità di Michael Myers, il fatto che davvero è ovunque.

Con un pianosequenza iniziale epico che introduce subito il pubblico ad un film come nessun altro, Carpenter stabilisce immediatamente le regole del gioco. Ci sarà sangue e morte e non avverrà quel che credete. In un solo respiro arriva la morte e la scoperta che l’assassino è un bambino. La scena era impossibile da fare con quei soldi, non c’è il tempo per montare i binari per trasportare la macchina da presa lungo le stanze e poi provare scene così complesse, ma Carpenter sa che c’è questo nuovo sistema (la steadicam) che l’anno prima era stato usato per la prima volta in tre film (Rocky, Questa Terra È La Mia Terra e Il Maratoneta) che abbatte i costi. Gira tre ciak e li assembla in modo invisibile (i tagli sono uno quando prende la maschera e l’altro, dopo l’omicidio prima di scendere le scale). Addirittura anche il dolly finale non è un vero dolly ma solo un braccio meccanico. Le inventa tutte per fare tanto con poco.
Non potendo girare davvero in autunno sparge le foglie morte con un ventilatore durante le scene in esterna e siccome non ne hanno molte, finito ogni ciak i tecnici le devono raccogliere tutte e rimettere nel sacco.

Anche la maschera iconica era stata semplicemente comprata in un negozio, era una maschera del capitano Kirk di Star Trek (cioè William Shatner) a cui avevano tagliato gli occhi per essere più grandi, levato sopracciglia e basette e spettinato i capelli, tutto per raggiungere (di nuovo) qualcosa che stava nella sua memoria di cinefilo, la maschera che annulla i tratti somatici di Occhi Senza Volto, un film francese gotico e terribile del 1960 su una persona che deve portare una maschera perché ha il volto sfigurato.

Tutto doveva finire addosso alle ragazze, giovani e belle. Tutto doveva avvenire sul loro corpo. Benché muoiano anche dei ragazzi, loro sono le vere prede, loro sono l’obiettivo del killer fin dalla prima scena. Nude e pronte a fare sesso vengono massacrate a letto. Carpenter tutt’oggi si arrabbia con chi sostiene che quel cinema puniva il libertinaggio e esaltava la ragazza che si astiene, che si trattava di film che facevano morire chi fa sesso, fuma erba e beve alcolici mentre la final girl, cioè l’unica a sopravvivere e sconfiggere la minaccia (idea che nasce qui), era sempre la più pura. Si arrabbia perché non la pensa così e in realtà nel suo film, dice lui, muore chi è distratto e non pone attenzione a quel che lo circonda. Ma il cinema è più grande anche di chi idea i singoli film e il complesso degli slasher (non i singoli film) sono diventati la più grande rappresentazione della paura giovanile, paura di conseguenze terribili nel momento in cui si fa quel che i genitori e la società proibiscono. Nel momento in cui ci si nasconde per far sesso o fumare.

Il 15-16-17 ottobre Halloween tornerà nei cinema italiani in edizione restaurata e rimasterizzata in digitale: scopri di più cliccando qui.

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