Guardiani della Galassia: con il Volume 3 ha dimostrato di essere l’unica vera trilogia MCU

Partiamo da una provocazione: Guardiani della Galassia Volume 3 non esiste, la saga è come un film unico in tre parti. Una vera trilogia.

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Guardiani della Galassia 3 è arrivato su Disney Plus.

Ci si può perdere nell’interminabile e un po’ inutile dibattito su quale sia la migliore trilogia dell’MCU. Oppure si può discutere su cosa colleghi effettivamente i film in un universo narrativo dove tutto fa parte di un grande arazzo narrativo. Perché con la Marvel è più difficile da dire che altrove. Captain America: Civil War è più legato ad Avengers che al primo film su Steve Rogers. Quantumania non voleva nemmeno essere un sequel di Ant-Man and the Wasp, così come Thor: Ragnarok è contemporaneamente la fine di un arco narrativo e l’inizio di uno nuovo. Persino The Marvels non sarà un sequel puro, ma la somma di due storie (Carol Danvers e Kamala Khan). Per i Guardiani della Galassia questo però non vale.

L’opera di James Gunn è innervata nel Marvel Cinematic Universe: ha una sottotrama fondamentale per le ricerche delle gemme dell’infinito. I suoi personaggi arrivano con grande spinta durante la Infinity War. Sono stati costretti pure a collegarsi alla avventure di Thor senza che nessuno (né Waititi né Gunn) lo volesse. Eppure nessuno dei franchise Marvel ha questa compattezza sui tre film. Un arco narrativo che inizia, si sviluppa, e finisce dal volume uno al tre, venendo intaccato pochissimo dalle “gite” negli altri titoli. 

Prendiamo bellissima la scena di confronto (e conforto) tra Rocket e Thor in Infinity War: sulla via dello spazio per andare a forgiare Stormbreaker, il Dio del Tuono viene ascoltato e capìto dal compagno di viaggio come in una seduta psicanalitica. “Cos’altro potrei perdere?” dice Thor dopo aver elencato i suoi lutti, “io personalmente perderei molto” risponde Rocket.

Uno dei dialoghi più belli dell’MCU che ha per i due personaggi una valenza diversa. L’evoluzione dell’asgardiano si realizza proprio in quel film, in quel momento. La consapevolezza del guardiano che lo porta a dire ciò che dice c’è stata in un altro film: nel Volume 2. È nei tre Guardiani della Galassia, nelle sceneggiature di James Gunn che la trilogia si realizza compatta. Così compatta dall’essere l’unica trilogia MCU che si possa chiamare tale. Ovvero tre capitoli che interagiscono tra loro come un film unico. Come una grande narrazione e addirittura accomunati dallo stesso regista.

Terra, spazio e ancora terra

Guardiani della Galassia: Volume 3 è il film della tenerezza. È anche il più violento dei tre, e forse tra tutti quelli fatti dai Marvel Studios. Non graficamente, ma emotivamente. James Gunn lavora sugli opposti in una ricerca ossessiva e sistematica di una lacrima per ogni scena d’azione. Avanti nel tempo e indietro nel passato di Rocket, il film si innerva di una dolcezza da film d’animazione Pixar. 

È un’emozione molto diretta, poco raffinata direbbe qualcuno. Però che intensità! Che capacità di mantenerla costante dall’inizio alla fine! Passa tutto dagli occhi di creature animate a computer dentro cui ci si specchia, empatizzando e leggendo i pensieri. È l’opposto dell’uncanny valley per i piccoli procioni salvati da Rocket, per Lylla, Floor e Teefs. Li si sente vivi, presenti, concreti. 

Tutto il resto del mondo creato da Gunn è all’opposto: inquietante e sbagliato. Che sia un pianeta che sembra disegnato da David Cronenberg o la contro-terra con animali antropomorfi da incubo allucinato. Tutta la trilogia di Guardiani della Galassia si basa su questo valzer tra la sgradevolezza e il massimo appagamento di emozioni positive. Baby Groot è adorabile, ma nasce dalla morte. Le ferite sul corpo dell’amico Rocket fanno impressione. Star Lord è simpatico e piacione, ma quello che ha passato è il dramma del ritrovarsi solo. Nebula, Drax, Gamora, Mantis possiedono anche loro questa duplicità. 

Allora guardando Guardiani della Galassia: Volume 3 ci si sente alla fine del viaggio perché queste due anime si tengono insieme. Con un gioco di prestigio James Gunn fa rivedere tanto del passato alla luce della conclusione. Tante scelte assurde dei personaggi, tante asperità di carattere (che li rendono interessanti e tridimensionali), si spiegano alla fine dell’intera trilogia. 

Il senso di Guardiani della Galassia: io sono Groot

Tre film che si comportano come i personaggi che li compongono. Possiedono tutti e tre una personalità molto forte, colorata. Proprio come i Guardiani della Galassia anche i film non sono perfetti da soli, messi insieme invece sono grandiosi. 

È un dialogo cinematografico tra l’uno, il due e il tre che avviene in tanti modi. L’evoluzione musicale, insieme ai costumi, ai luoghi che la banda di reietti chiama casa, fino (e soprattutto) al modo in cui si guardano. I personaggi hanno imparato a stare insieme, a comunicare tra di loro, prima diventano una squadra, poi una famiglia, poi un gruppo di amici capace di lasciarsi andare. 

L’azione crea legami. E il progresso di questi legami viene simbolizzato da quel Io sono Goot che alla fine del film anche noi spettatori riusciamo a comprendere. Proprio allo scadere del tempo capiamo che la trilogia non è mai stata solo la storia di quegli individui. È stata la storia di noi spettatori. Di come siamo stati rapiti su un’astronave e pian piano abbiamo imparato a vedere in modo diverso questi alieni. Alla fine siamo parte anche noi della famiglia. Ci hanno ammesso loro o ce lo siamo meritati? Non è dato saperlo, ma quello che sappiamo è che per accadere ha richiesto ogni secondo dei tre film. E un Holiday Special.

Tutte le informazioni sul film le trovate nella nostra scheda!

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