Godzilla Vs Kong è quello che succede quando si fa contemporaneamente un film con entusiasmo e uno senza

Godzilla vs Kong è per metà un sogno ad occhi aperti di un bambino diventato regista che ama allo stesso modo la ricerca dell'impossibile.

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I personaggi vengono prima di tutto. Sono coloro che permettono a un film di risuonare emotivamente, di identificarci e appassionarci con la storia. Godzilla Vs Kong mette in crisi questa antica regola degli sceneggiatori. Perché, siamo onesti, in un film in cui due mostri giganteschi se le devono dare di santa ragione a chi importa di una piccola bambina sorda o di un tecnico di una società tecnologica che cerca di svelare al mondo i suoi distorti piani? 

Nei difficili mesi che hanno preceduto l’uscita del film, bloccato tra piccolo e grande schermo a causa del Covid, il regista Adam Wingard ha fatto di tutto per manifestare il suo amore verso le creature. Disse infatti

Voglio davvero che il pubblico prenda questi personaggi seriamente, voglio coinvolgerlo emotivamente non solo nelle storie dei personaggi umani, ma anche dei mostri. Vorrei vedere gli spettatori con le lacrime agli occhi alla fine del film, emotivamente coinvolto in ciò che accade.

Le cose non sono andate proprio così: Godzilla Vs Kong è un buon film, da qui ad essere emotivamente devastante aveva ancora molta strada da fare. Però, in questa affermazione aziendalmente molto corretta, come si addice alla fase di promozione del film, si legge tra le righe una cosa: Adam Wingard venera molto di più i mostri dei suoi personaggi umani. Finalmente. 

Godzilla Vs Kong: lasciate fare ai mostri

Godzilla Vs Kong ha un altro tipo di conflitto interno: è un film pensato dal reparto marketing, scritto dallo studio per non infastidire né i fan di Kong né quelli di Godzilla (nessuno vince e nessuno perde), per chiudere un ciclo senza chiudere il franchise. Questo fa a pugni con il film che vuole fare Wingard, che emerge tra le righe e nelle sequenze spettacolari. Il suo è infatti la splendida messa in scena di un rito di incoronazione. Un antico duello per stabilire il dominio, tribale e viscerale come può esserlo un film per un pubblico avvezzo alla fantasia infantile (intesa però nel migliore dei suoi significati, pura, senza limiti). Abbiamo un Re che ritorna a casa. Si scontra con l’altro difensore per un’antica rivalità e non solo: è una faccenda di territorio, e di sopravvivenza. Differenze culturali difficili da colmare tra Kaiju. 

Qui dentro c’è un film coloratissimo, spettacolare e vibrante inframezzato con un film buio, statico e fastidiosissimo. Due trame: quella delle botte e quella dei personaggi, che non si intrecciano mai. La prima è densa di idee, e trova proprio nel titanismo le emozioni maggiori. Sa che può commuovere proprio nella potenza circense dello spettacolo cinematografico. L’altro invece, che è chiaramente stato scritto con l’obiettivo dell’immedesimazione, e dell’approfondimento tematico, è uno strazio di sentimenti affettati. Godzilla Vs Kong funziona, Millie Bobby Brown e Brian Tyree Henry contro la corporation cattiva no. I loro personaggi, rispettivamente Madison Russell e Bernie Hayes, camminano in lungo e in largo come unico plot device per spiegare a voce cose che verranno mostrate poco dopo. 

Siamo a distanza di tre anni dalla sconfitta di Ghidorah. Kong è tenuto a bada dalla Monarch, mentre Godzilla distrugge le sedi della Apex in cerca di qualcosa. Madison, la figlia di Mark Russell, si mette alla stessa ricerca del re dei mostri insieme a un impiegato infiltrato e autore di un podcast sul complotto dell’azienda. Nel frattempo il geologo Nathan Lind viene reclutato dal presidente della Apex Walter Simmons per  una missione alla scoperta della Terra Cava, l’antica casa dei mostri.

Il divertimento è tutto negli occhi

L’ordine dei nomi in un titolo è importante. Non è Superman vs Batman, ma Batman v Superman. Nel film di Snyder la prospettiva è infatti prevalentemente quella di Bruce Wayne. In Godzilla vs Kong invece l’ordine è stato deciso probabilmente da una ragione di mercato, di indicizzazione o dall’idea di chiudere una trilogia. Però porta fuori strada. Sarebbe stato più opportuno fare il contrario. Nel film c’è un protagonista assoluto, che ha addirittura l’arco narrativo migliore, che combatte un villain invece piatto. È più facile identificarsi con Kong che con la giovane compagnia di allegri investigatori che si mangia metà del tempo a disposizione. Mentre Godzilla resta uno strumento spettacolare, meno elaborato come carattere ed evidentemente subordinato alla presenza scenica di Kong.

Sotto il film che andava fatto si può vedere però quello che Adam Wingard avrebbe fatto. Un atto d’amore degno di del Toro al cinema vertiginoso. Quello che testa il limite degli occhi sfidandosi ad essere sempre più grosso, sempre più ricco di dettagli o di estremi di colore. Questo carosello di immagini che si ripromettono di mozzare il fiato, è la ragione stessa per l’esistenza di un film del genere. Wingard lo sa e ce lo fa vedere: un regista che si sottopone a questo tipo di sfida deve trovare romantico un elicottero che passa di fronte a uno scimmmione dando così un’idea di scala che rivela la sua dimensione inimmaginabile. Questo deve esserlo molto più di uno sguardo o una lacrima. Che piaccia o meno, questa è una chiara idea di cinema.

È pur sempre un cinema delle emozioni, solo che passa attraverso dei canali diversi. La maggior parte dei film lo fa attraverso i sentimenti, Godzilla vs Kong lo fa con la visione inimmaginabile.

Godzilla vs Kong è il film più pensato e girato nelle camerette

Gli artisti visuali che hanno dato forma a questo scontro hanno dovuto rivaleggiare con la fantasia di bambini ora divenuti spettatori adulti. Quotidianamente vengono eseguiti centinaia di Godzilla vs Kong sotto forma di action figure che si scontrano mentre, nella cameretta, un regista della propria storia li tiene in mano. 

Così la produzione ha spinto sui dettagli, sull’ossessiva saturazione dell’immagine. La fantasia può raggiungere un numero limitato di informazioni contemporanee. Quando immaginiamo una situazione non riusciamo a pensare nello stesso momento al dialogo, ai volti dei passanti e alle scritte sulle insegne. Il cinema può. E infatti la prima vera scena di lotta è anche la meno entusiasmante. I due giganti si combattono in mare. L’abbiamo aspettata molto, tanto che ad ogni sequenza di dialogo si stacca sulle creature giusto per ricordare che prima o poi verrà il loro turno. 

Quando finalmente succede, la scena dà tutto quello che si chiede dal film. È un combattimento perfettamente decifrabile, fatto alla luce del sole e una prova di forza pura che misura la scala tra i due e risponde alla domanda: chi è più forte tra King Kong e Godzilla? Ce la si ricorda a lungo, però non è interessante come quella che segue.

Più classica (già vista ad esempio in Pacific Rim) ma più cinematografica è la rissa in città, nel buio illuminato dai neon. È il  secondo momento migliore. Lì la regia si interessa meno al deflagrare dei due corpi. Fa invece una sperimentazione visiva sulla distruzione. Siamo attratti nel vedere cosa succede alle forme dei palazzi e dei grattacieli polverizzati. Il contorno descrive l'azione meglio di chi fa quei danni. L'azione al negativo: il soggetto diventa meno presente del suo sfondo. Un turbinio di luci che segnano i contorni, che sballano le dimensioni: un’ascia si conficca in un palazzo e lì si capisce che sono grandi uguali. A chiudere gli occhi si entra invece in un tornado sonoro dettagliatissimo. Non è video arte, è amore per la materia che si tratta, è gioia nello spingere al massimo.

Un classico film di avventura?

Il momento più bello del film è però un altro. Si ritorna nella più classica delle situazioni: il viaggio al centro della terra. Wingard ha pensato un film di avventura, uno di quelli che usa la scoperta graduale come ulteriore stimolo per andare avanti nella scoperta stessa. Solo che nella trama secondaria ogni passo in avanti è simile a quello precedente. La spedizione principale che deve convincere Kong ad addentrarsi nelle viscere della terra, permette invece l’apertura ad un nuovo mondo totalmente cinematografico (che grande idea la gravità invertita). 

È ironico che in un film così sbilanciato sul lato visivo, tutto sia già stato visto altrove. Abbiamo esplorato la figura moderna di Kong in Skull Island e Godzilla è stato svelato gradualmente nell’omonimo film del 2014, mentre ha incrociato ogni mostro possibile in King of the Monsters. La guerra qui messa in scena, non può superare i precedenti. Così la sceneggiatura fa questa svolta inaspettata, eppure riuscitissima. Ci porta in un altro mondo, con regole sue e con dimensioni che stravolgono ulteriormente le gerarchie. Per la prima volta Kong sembra piccolo, e le navicelle che lo seguono piccolissime. Un nuovo metro di paragone.

Questo è l’entusiasmo di chi gode nel sognare che si materializza sullo schermo. È la passione per questa cosa di cui in molti oggi si vergognano, e che invece è una delle ragioni per cui le immagini in movimento sono diventate pervasive nella nostra vita: vedere l’impossibile; sfidare direttamente la realtà pretendendone la sua bellezza, riconoscendola, desiderandone ancora di più.

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