Giustizia per il Trono: Arya Stark
La nostra rassegna sulla fine del viaggio dei vari protagonisti di Game of Thrones oggi punta i riflettori su Arya Stark
La nostra rassegna sulla fine del viaggio dei vari protagonisti di Game of Thrones oggi punta i riflettori su quello che non solo è uno dei ‘vincitori’ del gioco dei troni, ma anche uno dei personaggi più amati e seguiti di tutta la serie: la giovane e ribelle Arya, assetata di vendetta e impossibile da imbrigliare nelle regole e nelle formalità dei giochi di corte, interpretata con adeguata passione e intensità da Maisie Williams.
Ritorno a Westeros
Come tanti altri personaggi di cui abbiamo parlato, Arya si presenta alla vigilia della settima stagione con un altissimo potenziale: dopo avere concluso, o quanto meno interrotto, il suo addestramento presso gli uomini senza volto di Braavos, la giovane Stark decide di tornare a casa e di regolare i conti col passato. Forte delle doti da assassina che ha sviluppato, inclusa la capacità di assumere i volti delle vittime, si prepara a depennare dalla sua lista della vendetta i nomi più ostici e più pericolosi.
Arya l’Inarrestabile
Si diceva che Arya è uno dei personaggi più popolari e amati della serie. Questa è allo stesso tempo la sua grande forza e la sua grande condanna. Perché quello che gli showrunners hanno in serbo per lei è riassumibile in una sola parola: vincere, vincere, vincere. La Arya che si ripresenta alle porte di Grande Inverno è un personaggio che non ha più nessun punto debole. È indipendente, è scaltra, è coraggiosa, uccide con lo sguardo (o col coltello), sa maneggiare le armi al punto di tenere testa a un cavaliere come Brienne; insomma sa tutto, fa tutto, non la ferma nessuno.
Ecco, se c’è una vittima che le due ultime stagioni della serie reclamano sul fronte di Arya è proprio la complessità e l’umanità del personaggio. La storia della giovane Stark che decide di diventare un’assassina non era mirata tanto a farne una ninja invincibile, quanto a esplorare (per poi scoperchiare) i traumi degli anni terribili che aveva vissuto a partire dalla decapitazione del padre di fronte al tempio di Baelor. Un po’ come col fratello Bran, alla fine di quel percorso abbiamo un’Arya iperpotenziata (nell’uso delle armi anziché dei poteri mistici) ma alquanto disumanizzata. E se nel caso di Bran, il distacco dal lato umano, per quanto non gestito benissimo, poteva essere comprensibile, nel caso di Arya è qualcosa di più cheap: la ragazza è un po’ il simbolo della semplificazione e dell’appiattimento delle caratterizzazioni nelle ultime due stagioni, una supereroina action-oriented destinata ad accontentare e ad esaltare gli spettatori dei bar e delle visioni di gruppo con l’ennesima mossa a effetto, con la battuta sagace o con il guizzo del pugnale. Quasi un personaggio del (tardo) Universo Cinematografico Marvel.
Il Re della Notte
La beatificazione di Arya trova la sua espressione più alta (e più controversa) nell’atto risolutivo che mette fine al Lungo Inverno e alla calata del Re della Notte e del suo esercito di non morti nelle terre dei vivi: derubando, è il caso di dirlo, il fratello Jon Snow di un finale che era praticamente scritto, è l’inafferrabile ninja di casa Stark a sferrare la pugnalata fatale che uccide il sovrano degli zombi e disgrega il suo esercito.
Molto è stato detto su questa scelta narrativa, e la spiegazione primaria addotta dagli showrunner è la famigeratissima subvert expectation, l’ossessiva necessità di sovvertire le aspettative. L’autore dei romanzi, Martin, ha usato ben pochi giri di parole al riguardo, in una sua ormai celebre intervista al riguardo, con la metafora del romanzo giallo:
Se piazzi una serie di indizi che indicano che l’assassino è il maggiordomo, e a metà libro qualcuno capisce che l’assassino è il maggiordomo, non puoi cambiare idea e dire che l’assassina è la governante, perché tutti gli indizi che puntavano al maggiordomo risulteranno falsati.
Forse una tirata d’orecchie alla necessità di “sovvertire le aspettative” a tutti i costi, ma nulla ci toglie dalla testa che la metafora fosse mirata in modo particolare a fare di Arya Stark l’eroina della battaglia di Grande Inverno al posto del fratello, quando tutto il resto della serie lasciava presagire a uno scontro finale risolutivo tra Snow e il Night King. Ma tant’è. Arya nel tempo libero risolve anche le linee narrative altrui. Anzi, addirittura la linea portante di tutta la serie.
Divagazioni Finali
Eliminata con nonchalance la minaccia del Re della Notte, ad Arya resta ben poco da fare, e le ultime puntate dell’ultima stagione la vedono sballottata in scene e sottotrame più surreali che mai. In viaggio verso sud col ritrovato Mastino per completare la sua lista della vendetta con l’eliminazione di Cersei Lannister, arriva letteralmente alle porte della Fortezza Rossa di Approdo del Re per poi sentirsi rifilare da Sandor Clegane un predicozzo non troppo convinto sull’importanza di non lasciarsi corrompere dal desiderio di vendetta come lui, e sai che c’è? Forse ha ragione lui, Arya ingrana la retromarcia e se ne va. Questa, duole dirlo, è uno degli sviluppi più raffazzonati e frettolosi dell’era crepuscolare della serie, perché in Arya i giochi dal punto di vista morale ormai sono fatti: si è lasciata alle spalle una scia di cadaveri infinita, è reduce dalla strage di un intero casato con tanto di figli cucinati e serviti come pasto al padre, ma l’elemento dirimente che dovrebbe segnare la sua perdizione definitiva nella vendetta dovrebbe essere una singola uccisione di una persona che peraltro se la stramerita? Poco senso.
L’ultima sequenza di scene che la vede protagonista, altrettanto surreale, è la fuga da un Approdo del Re devastato dall’attacco del drago di Daenerys, in cui Arya viene ripetutamente sepolta da macerie, travolta da gente in fuga e sballottata in ogni modo senza andare a parare da nessuna parte, se non forse per ribadire la titanica plot armor di cui è dotato il personaggio.
In conclusione: in Arya Stark non ci sono travisamenti eccessivi o uno snaturamento drastico del personaggio. Il suo sviluppo e la sua crescita sono lineari e coerenti, ma probabilmente estremizzati e sottoposti a una piatta semplificazione. La beniamina del pubblico è risolutiva, inarrestabile, grintosa, irriducibile. Ma ahimè, poco umana.
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