Ghostbusters – Acchiappafantasmi tra risate, horror e populismo

Ghostbusters – Acchiappafantasmi è un ottimo horror, una grande commedia e uno strepitoso spaccato sociopolitico di un intero decennio

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Ghostbusters – Acchiappafantasmi è su Netflix fino al 30 novembre

Quando Dan Aykroyd scrisse la sua prima stesura della sceneggiatura di Ghostbusters – Acchiappafantasmi e la presentò a Ivan Reitman, si sentì rispondere “questa roba ci costerà almeno 200 milioni di dollari”. Era il 1983 e l’idea di spendere cifre immense per una commedia era fuori da ogni orizzonte creativo, come lo era quella di investire un sacco di denaro in un film che parlava di gente che viaggiava nel tempo a caccia di fantasmi. Solitamente, quando un progetto parte con grandi ambizioni e viene ridimensionato per questioni di soldi e di opportunità, il risultato è una pallida ombra di quello che sarebbe potuto essere, e il soggetto di lunghe interviste postume nelle quali chi aveva avuto l’idea si lamenta di non averla potuta esprimere al suo meglio. Dan Aykroyd, invece, e tutto il resto del team che lavorò a quella riscrittura e quindi a trasformare Ghostbusters – Acchiappafantasmi in quello che è diventato oggi, non solo riuscirono a migliorare la già ottima base di partenza, ma crearono un film che è anche un manuale dell’America reaganiana, un horror populista e irriverente che ha definito una generazione.

L’ha definita innanzitutto in termini politici, e in un modo che è molto diverso, e più complesso, di come viene solitamente presentato Ghostbusters – Acchiappafantasmi. E cioè: si tende a dire che il film di Ivan Reitman è una commedia conservatrice; c’è addirittura chi, come The Atlantic (che forse non a caso è bersaglio di una delle gag più veloci e sottili di tutto il film), è arrivato a definirlo “propaganda di destra”. Poco importa che Reitman, Aykroyd e Harold Ramis, per citare coloro che più di tutti hanno contribuito a definire il film, si autodefiniscano a varia misura “liberali” e siano tutti e tre donatori del partito democratico. L’idea è che Ghostbusters sia un film contro il governo e a favore dell’impresa e dell’iniziativa privata; il vero villain non è Gozer ma Walter Peck, l’impiegato governativo che mette i bastoni tra le ruote alla start-up degli acchiappafantasmi.

Sigourney

C’è senza dubbio almeno un fondo di verità in queste affermazioni; ma definire Ghostbusters un film di destra è secondo noi inesatto e anche riduttivo. È piuttosto un film populista, nel quale i nostri eroi non si scontrano necessariamente con “il governo” o “le istituzioni”, semmai con “i poteri forti” e “la burocrazia”. Incontriamo Walter Peck la prima volta durante una visita di semi-cortesia nella quale spiega che il suo dipartimento è particolarmente interessato all’attività dei Ghostbusters e ai rischi che pone, ma l’impressione non è che sia lì perché ha a cuore l’ambiente e la salute pubblica, ma perché è un uomo di potere che non sopporta che ci sia un pezzo di città che non è sotto il suo diretto controllo. Non si presenta con accuse precise, solo vaghi sospetti, e soprattutto, è il dettaglio fondamentale, le sue indagini non sono mai seguite da una altrettanto vigorosa protesta di piazza; Peck posa da ambientalista, ma non ha il supporto della folla, della massa, dell’attivismo, chiamatelo come volete.

Non parla con il popolo, in altre parole. Come non lo fa il rettore dell’università che espelle a calci il trio all’inizio del film, che derubrica i loro studi a fandonie da ciarlatani e toglie loro i fondi. Non a caso il primo slogan pubblicitario utilizzato dai Ghostbusters dopo che hanno lanciato la loro start-up è “we believe you”, ti crediamo: le istituzioni, i poteri forti, Big University, non hanno creduto a loro e allo stesso modo non crederanno mai alla gente che dice di avere un fantasma in casa (lo stesso Peck definisce i clienti degli acchiappafantasmi “grottescamente stupidi”). Ghostbusters – Acchiappafantasmi non è un film di destra, è un film populista e anti-istituzionale, una posizione che negli anni Ottanta americani si declinava inevitabilmente anche sotto forma di esaltazione del capitalismo sfrenato e della libera impresa; ma questo posizionamento socioeconomico è un sottoprodotto del vero messaggio del film, che non è diverso in questo senso da quello di, per dirne uno, Animal House: ci sono i potenti, e c’è il resto del mondo, e ribaltare le gerarchie è bello e anche motore di comicità.

Ghostbusters - Acchiappafantasmi gruppo

Non di orrore: per quello, Ghostbusters – Acchiappafantasmi si rivolge invece a un altro nobile precedente, del quale assomiglia pericolosamente a una parodia o comunque a una versione virata commedia. Parliamo di L’esorcista, storia di un demone sumero che trasloca in America per tormentare una donna innocente e farla fluttuare sopra le lenzuola, due metri sopra le lenzuola, e delle persone che lo sfidano per salvare la donna (e, nel caso di Ghostbusters, incidentalmente anche il resto del mondo). L’unica differenza, a parte quelle ovvie di tono, è nei metodi utilizzati: Friedkin si chiede come si possa usare la religione e la spiritualità per sconfiggere un male che la predata, mentre gli acchiappafantasmi sono uomini di scienza – anche se non necessariamente quella ufficiale ma quella che l’accademia vuole mettere a tacere, il che peraltro è un altro elemento a favore della teoria populista.

La matrice però è la stessa, e d’altra parte non è un mistero che Ghostbusters sia anche un mix di ispirazioni da altre opere più o meno horror (come non è un mistero che il graffito che dice “Venkman burn in hell” da sceneggiatura originale avrebbe dovuto recitare “Venkman sucks cocks in hell”), e che nasca come versione moderna delle classiche storie di “fantasmi da ridere” di coppie famose del passato tipo Abbott e Costello. Non c’è alcuna pretesa di originalità o rivoluzione nella porzione horror di Ghostbusters, solo un grande amore e un enorme rispetto per il genere – come dimostra il fatto che le scene più “di paura” sono girate con estrema serietà e grande stile, senza concessioni a battutine e rotture della quarta parete.

In questo senso Ghostbusters – Acchiappafantasmi è anche un esempio da manuale di perfetta commedia horror, dove nessuno dei due generi prende mai il sopravvento sull’altro; non è un film da ridere macchiato di fantasmi, né un horror con qualche risata qui e là, ma un equilibrato amalgama delle due istanze, nel quale le battute non mettono mai i bastoni fra le ruote all’azione ma si tengono in disparte fino a che non è il loro turno. Persino Bill Murray, che per gran parte del film è il più placido e travolgente torrente di cazzate che si sia mai visto al cinema, capisce quando è il caso di prendere sul serio quello che sta succedendo e chiudere un attimo in valigia l’umorismo.

C’è un’ultima considerazione da fare, che si ricollega al discorso iniziale e contribuisce almeno in parte a smontarlo. E cioè il fatto che, rispetto al cinema reaganiano classico, a Ghostbusters – Acchiappafantasmi manca completamente lo strato di machismo, o comunque il discorso sulla mascolinità dominante. Al contrario, tutti i maschi del film, protagonisti compresi, sono deboli e pieni di difetti, e soprattutto tremano di terrore di fronte alle figure femminili (tanto è vero che sul luogo di lavoro gli acchiappafantasmi vengono dominati prima dalla tizia che affitta loro la sede, poi da Janine); persino Bill Murray, l’unico che fa eccezione e che ha l’onore di meritarsi addirittura una romance, impazzisce per Sigourney Weaver per un motivo semplicissimo, e cioè che è una donna forte, intelligente e che gli è superiore, e di fronte alla quale non può che inchinarsi (o subire, a seconda di come volete leggerla). Ancora una volta è una visione figlia del retroterra culturale e artistico dal quale arrivavano Aykroyd, Ramis e Reitman; è ben lontana da quella dei veri Reagan movies, e getta le fondamenta di un miliardo di altre opere uscite dopo il 1984. A conferma che Ghostbusters – Acchiappafantasmi era sì un film figlio del suo tempo, ma anche un’opera che ha contribuito a riscriverlo e ridefinirne le caratteristiche. Che non è poco per un film che è nato perché il nonno di Dan Aykroyd aveva passato la vita a provare a comunicare via radio con i fantasmi.

Finale

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