George Romero, l'uomo che da 50 anni ci urla che gli zombie siamo noi

Il fondatore del concetto moderno di morti viventi, George Romero, l'unico ad averli utilizzati non solo per mettere paura ma anche per dire qualcosa

Critico e giornalista cinematografico


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Una carriera riassunta in un paio di occhiali a forma di fotogramma, lenti spesse e montatura squadrata immensa, sempre gli stessi fin da quando ha iniziato a portarli.

Compie oggi 76 anni il regista che ha creato, di fatto, il concetto di zombie al cinema come lo conosciamo oggi (prima di lui c’era qualche esempio ma nessuno ha canonizzato tanto quella figura come Romero).
Con una carriera iniziata a 28 anni con La Notte dei Morti Viventi, George A. Romero ha attraversato i restanti 50 anni di storia del cinema lavorando sempre sull’orrore, spaziando tra diversi tipi di paura, misurandosi con la televisione e in certi casi flirtando con i videogiochi, ma finendo sempre per segnare la sua filmografia con un nuovo capitolo della grande epopea zombie, ogni volta diverso, ogni volta unico.

Nonostante Wampyr, La Città Verrà Distrutta all’Alba, La Stagione della Strega o Creepshow, rimangano invenzioni formidabili e spesso dall’esito imprevedibile, mondi in cui la fantasia o il sovrannaturale non sembrano mai lontani, magici o impossibili ma sono anzi molto concreti, sporchi, luridi e “naturali”, lo stesso sono gli zombie la grande impresa di Romero. Nonostante cioè molti altri film abbiano mostrato bene le sue capacità narrative, nulla nella sua filmografia come i morti viventi ha inciso tanto nell’immaginario collettivo, nulla ne ha messo in scena le idee meglio, nulla è stato così in grado di segnare il cinema che sarebbe venuto dopo. Anche per questo dal 3 al 10 Marzo il Lucca Film Festival lo avrà come ospite d'onore.

Se tutti utilizzano i morti viventi come il grande nemico da scappare, l’apocalisse che minaccia la nostra civiltà, il villain da combattere, per Romero sono il nostro specchio, eravamo e siamo noi, una versione speculare e distorta delle ossessioni sociali utile ad enfatizzare i nostri tratti salienti.
Nei suoi film ovviamente ci sono degli umani che si contrappongono ai morti viventi, questi ultimi però sono una minaccia strana, apparentemente poco minacciosa. Sporchi, luridi, marci ma anche lenti e facili da uccidere. Ogni volta che muoiono mettono in evidenz quasi più la crudeltà umana che il rischio che causano. Benché vogliano mettere paura, forse tra tutti gli elementi del film costituiscono quello guardato con più benevolenza, a differenza di qualsiasi altro autore di cinema sugli zombie e più che altro a partire da Zombi, Romero non sottolinea mai tratti “meschini” dei morti viventi. Cercano di mangiare il prossimo senza intenzionalità, senza volontà, preda di istinti che vengono da altrove.
I morti viventi insomma nel cinema di Romero non hanno tanto senso per quello che fanno, quanto per quello che svelano di noi.


Incrociando due elementi diversi, cioè una nuova dimensione del catastrofismo e una forte critica sociale, Romero usa gli zombie per mettere gli uomini in crisi, per minacciare un afroamericano (nel 1968) in una baracca e farne uno strano eroe, braccato da un esercito di bianchi che bussano alla sua porta, vogliono mangiarlo e quindi sfruttarlo per sopravvivere. Ma poi ne farà anche, in una delle immagini più memorabili di tutto il suo cinema, delle pallide copie degli umani che erano quando in Zombi (cioè Dawn of the Dead) li guarda ciondolare senza un senso e senza un perché nei corridoi di un centro commerciale. In quell’inquadratura, nonostante camminino arrancando come gli è proprio, per un attimo non sembrano più cadaveri usciti dalle tombe ma per un attimo sembrano ancora vivi, sembrano noi.

Dagli anni ‘80 in poi Romero enfatizzerà sempre di più la sua determinazione nell’urlarci che siamo noi i morti viventi, che quelle creature sono la rappresentazione del nostro peggio, sono gli umani dopo la morte (celebrale) e quindi forse una buona parte di quelli che noi chiamiamo “vivi”. Non a caso spesso nei suoi film le persone in vita sono più pericolose degli zombie.
Per questo il suo figlio vero, l’unico ad aver compreso intimamente lo spirito con cui il re degli zombie costruiva le sue storie, può essere solo Edgar Wright, che fa del suo Shaun di L’Alba dei Morti Dementi uno zombie già da vivo, già dalla prima inquadratura per poi chiudere con un’incredibile identità tra la vita prima e dopo la trasformazione.

Anche per questo, oggi che George Romero fa 76 anni, sarebbe bello ricordarlo con il suo film più diretto e polemico, quello meno dalla parte degli umani e forse più vicino ai suoi amici zombie.

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