George Lucas: 80 anni di storia del cinema… e non solo

Ripercorriamo gli otto decenni appena compiuti dal Maestro Jedi per eccellenza, George Lucas: 80 anni di storia del cinema

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Il 14 maggio scorso, George Lucas ha compiuto ottant’anni. Un traguardo notevole dal punto di vista umano, ma ancora di più dal punto di vista artistico, cinematografico e, osiamo dire, culturale. Molti nomi più esperti e degni di noi hanno scritto di tutto e di più sull’avventura di Lucas come cineasta, sulla rivoluzione che ha portato nel cinema e sulle intuizioni che lo hanno portato fino alle vette più alte della produzione.

Di fronte alla proposta di celebrare gli otto decenni appena compiuti dal Maestro Jedi per eccellenza abbiamo deciso di percorrere una strada meno battuta ma forse più sentita, sottolineando come George Lucas, nel corso di questi ottant’anni, non abbia soltanto svolto il ruolo di apripista e visionario dal punto di vista della regia, della sceneggiatura e della produzione cinematografica, ma sia riuscito a cogliere, esprimere e incarnare quello che è stato il sentire più profondo e più intenso dell’epoca in cui viveva, a incarnare e raccontare vizi e virtù della cultura americana e, per osmosi, del resto del mondo.

Gli anni cinquanta: alle radici del mito

“Il bambino è il padre dell’uomo”, recita il detto. Gli anni che vedono il piccolo Lucas crescere nella tranquilla cittadina della provincia californiana di Modesto, come parte di una famiglia che gestisce l’emporio del paese e che sembra l’incarnazione dei Kent di Smallville, sono in un certo senso quelli che definiranno tutto il suo percorso creativo. Lucas cresce a suon di fumetti di supereroi e di avventure pulp, di storie di fantascienza e di proiezioni a puntate nei cinema del sabato mattina. Assorbe, si entusiasma e sogna in un mondo di avventure che “i grandi” nel migliore dei casi guardano con un sorriso di sufficienza e nel peggiore dei casi bollano come puerile o deleterio. Ma per il piccolo Lucas sono la chiave del riscatto per evadere dalla monotonia di una vita quotidiana piccola e ripetitiva: continua sognare e ne fa tesoro. E assieme a lui, magari in sordina proprio come lui, lo stesso accade alla sua intera generazione.

Gli anni sessanta: le inquietudini della gioventù

Abituati come siamo a immaginare Lucas come un giovane schivo, taciturno e timido, ci riesce difficile immaginarlo come adolescente irrequieto e scapestrato alla ricerca delle emozioni forti che scandiscono il trascorrere degli anni dell’adolescenza. Una Fiat Bianchina accartocciata nel corso di una gara spericolata da cui il giovane Lucas viene estratto malconcio ma miracolosamente vivo ci dicono il contrario. Sono gli anni della contestazione e di Woodstock, ma anche della “Camelot” di Kennedy che incita l’America a sognare in grande, e se nell’infanzia il desiderio di grandezza poteva essere tenuto a bada o trovare sfogo nei racconti di fantasia, adesso si agita irrequieto tra le banalità di una vita quotidiana sempre uguale a se stessa e la bramosia di qualcosa di più. E se una mitologia che faccia grande la vita non si trova, la stessa banalità della provincia viene assurta e trasfigurata in mitologia: tutto raccontato con la dovizia di particolari che solo chi quelle emozioni le ha vissute in prima persona può permettersi in American Graffiti.

Gli anni settanta: la scommessa

I sogni dell’infanzia e la ribellione dell’adolescenza si fondono in una sintesi che cambia la storia del cinema. A tutti gli effetti, gli anni settanta remerebbero in tutt’altra direzione. L’America è sfinita e sfiduciata da una guerra in Vietnam che ne ha messo a nudo i fallimenti, gli scandali di Nixon hanno ridotto il credo nel sogno americano al minimo, gli omicidi di Kennedy e Martin Luther King hanno insegnato agli Americani che è meglio tacere anziché sognare o pensare in grande. Perfino nell’industria del cinema, ad andare per la maggiore sono i film catastrofisti, dall’Inferno di Cristallo a Lo Squalo. Lucas avrebbe vita molto più facile come giovane regista se seguisse il flusso, ma decide di andare controcorrente. Sa che l’avventura, l’umorismo, le imprese mirabolanti e gli scenari fantastici che lo facevano sognare da bambino e che hanno tenuto in vita il sogno in lui possono riaccendere la scintilla anche negli altri e si gioca letteralmente tutto per restituire al cinema e al pubblico l’innocenza della fiaba e la gioia dell’avventura pura e incontaminata del passato con Star Wars. Ne esce logorato, sfinito dalle mille lotte condotte per portare a casa la pellicola, ma è suo il turning point che cambia la direzione del cinema e forse restituisce, letteralmente, “una nuova speranza” all’America.

Gli anni ottanta: le altre strade

Completata la trilogia stellare, un’impresa che consacra il suo successo ma che sotto certi aspetti lo lascia ancora più consumato e sfinito, Lucas decide di voltare pagina e abbandona le vie della Forza per tentare di applicare le lezioni imparate con Star Wars ad altre iniziative alcune trionfano, come l’Indiana Jones realizzato con l’amico Steven Spielberg, ma più generalmente, anche se negli anni successivi il tempo galantuomo farà delle sue opere di questo periodo dei cult apprezzati da fette più limitate di pubblico (Labyrinth, Willow e il discusso Howard the Duck), la formula magica che aveva consacrato Star Wars non è facile da riprodurre con altrettanto successo in altri campi. Ironicamente, migliore sorte avranno altre produzioni di amici e concorrenti che, scoperta la fame di fantastico del grande pubblico, sapranno seguire la strada di Lucas “a modo loro”, dal Conan di Milius ai vari Robocop e Terminator, dall’Excalibur di Boorman ai Gremlins di Dante fino al Ritorno al Futuro di Zemeckis.

Gli anni novanta: il ritorno della Forza

La “vita oltre Star Wars” a cui Lucas ambiva come regista e produttore sembra non arrivare mai e il creatore, fiaccato dall’irrilevanza che altri progetti sperimentali a cui si era dedicato hanno ottenuto, inizia a capire che il suo destino creativo è indissolubilmente legato alla saga che l’ha lanciato verso il successo: ogni altra produzione si porterà sempre dietro il peccato originale di avere “ritardato” la prosecuzione della saga stellare. Questa consapevolezza, unitamente (o almeno, questa è la dichiarazione ufficiale) allo sdoganamento della neonata CGI con Jurassic Park, che consentirà al regista di “realizzare la sua visione come l’aveva concepita in origine, lo spingono a dare il via alla trilogia dei prequel e alla storia di Anakin Skywalker. Come già era avvenuto all’epoca della trilogia classica con l’avvento degli effetti speciali “pratici”, la trilogia prequel si conferma l’opera di ‘sfonamento’ che sancirà la venuta della computer graphic in tutte le pellicole d’azione e d’avventura venture. Ma se ancora una volta Lucas si dimostra pionieristico nell’immaginare il futuro tecnologico del cinema, la narrazione dei prequel non folgora all’unanimità il pubblico e il creatore si trova a dover prendere atto di una discrepanza tra la sua narrazione e le aspettative (forse impossibili da soddisfare appieno dopo sedici lunghi anni d’attesa) del suo pubblico.

Gli anni duemila: il crepuscolo

Nel bene e nel male, con la conclusione della trilogia prequel, l’avventura creativa di Lucas inizia a volgere al termine. Un’ultima incursione nella sua “altra” saga di successo, Indiana Jones, finisce per confermare invece quello che era il male serpeggiante che aveva eroso i prequel, vale a dire la discrepanza tra il sentire del pubblico e quello del regista. Il nuovo millennio è uno scenario molto diverso da quello degli anni settanta che aveva visto l’avvento di Star Wars. Ironicamente, in primis a causa anche dello stesso Lucas, il pubblico degli anni duemila è un pubblico che mastica, divora, fagocita e seziona avventure televisive e cinematografiche sempre più estreme, all’avanguardia e complesse: sono gli anni della protonascita dell’Universo Marvel con gli X-Men di Bryan Singer e lo Spider-Man di Sam Raimi, ma anche gli anni della serialità di Lost, una sorta di reincarnazione dei serial a puntate della lontana infanzia di Lucas allucinato e sotto steroidi. E soprattutto sono gli anni del Signore degli Anelli di Peter Jackson che, forte della solidità della narrazione originale tolkieniana, sembra compiere il miracolo di ritrovare quella sintonia col pubblico e raccogliere il testimone starwarsiano nell’immaginario collettivo più segnante.

Gli anni dieci: l’abbandono

Per alcuni è una svolta epocale, per altri è un incubo, per tutti è innegabilmente un momento storico. Il Lucas pubblico cede definitivamente il passo al Lucas privato, e con la storica vendita per quattro miliardi di dollari, Star Wars e la Lucasfilm vengono cedute alla Walt Disney Company. Scelta che innegabilmente salva Star Wars dall’oblio (dal 2005, data d’uscita de La Vendetta dei Sith al 2012, anno della vendita, fatta eccezione per l’esperimento animato di The Clone Wars, la saga era scivolata nell’oblio e l’annuncio di una potenziale serie televisiva starwarsiana firmata lucasfilm rimbalzava di anno in anno senza mai giungere a un nulla di fatto), ma che viene vissuta comprensibilmente con dolore da chi aveva sempre visto in Lucas il nume tutelare dell’universo di sua creazione.

Separata la sua strada da quella della sua creazione, Lucas sembra volersi veramente dedicare alla sua vita privata. Ma se puoi togliere Lucas dal cinema, non puoi togliere il cinema da Lucas. Ben presto il regista e produttore torna a occuparsi della settima arte “dall’altra parte della barricata”, non più come creatore, ma come studioso e storico. Sono gli anni delle iniziative culturali dedicate alle preservazione delle pellicole e dei contributi ai musei del cinema.

Gli anni venti: Yoda

Giunto alla soglia dell’ottantesimo compleanno, Lucas può sedersi e voltarsi a guardare il cammino di una vita costellata di grandi traguardi: dalla rivoluzione nel settore degli effetti speciali alla riscossa dei film di avventura, della narrativa pulp e di tutto quello che oggi definiremmo ‘cultura pop’, a un impero multimiliardario. Non c’è ovviamente da sorprendersi se coloro che hanno inevitabilmente raccolto il suo testimone, i registi e i responsabili creativi della generazione successiva, ogni tanto sentono il bisogno di saltare su un X-Wing e di volare fino al sistema Dagobah per apprendere dal più grande dei maestri. Lo hanno fatto gli eredi più “diretti” come J.J. Abrams e Ryan Johnson, ma anche quello che è uno dei suoi “discepoli” più cari, Ron Howard. Lo hanno seguito nomi come Kevin Feige e Jon Favreau e si vocifera che perfino i registi e gli showrunner de Il Trono di Spade abbiano cercato in varie occasioni il consiglio del Maestro Jedi George. Perché tutti sanno di dovere qualcosa alla visione di Lucas, così come tutti sentono che c’è ancora molto che il maestro della vecchia guardia può insegnare ai Padawan delle nuove generazioni.

“È il terreno su cui noi cresciamo”.

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