Gemini Man, di Ang Lee | Bad Movie

Il Bad Movie della settimana è Gemini Man di Ang Lee con Will Smith, spy action dove la star americana lotta con se stesso

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Spoiler Alert

Me Two

Possiamo incontrarci? Nel senso di guardare in faccia non un altro ma noi stessi? Il cinema l'ha permesso e in alcuni casi è stato un vero proprio duello, incubo o comunque esperienza straniante. Stava capitando a Marty McFly in chiave di commedia in Ritorno Al Futuro - Parte II (1989). Non riesce a vedersi negli occhi il piccolo James Cole (Bruce Willis) ma comunque percepisce quanto quell'uomo baffuto con un brutta camicia colpito alle spalle all'aeroporto da poliziotti con orribili cravatte... gli comunichi qualcosa. È un sé stesso più vecchio mentre cerca di fermare, senza riuscirci, uno stragista pronto a sterminare gran parte del pianeta terra diffondendo un virus. Il film era L'Esercito delle 12 Scimmie, il pessimismo circa il fato dell'eroe del racconto quello tipico di Terry Gilliam e il soggetto originario proveniente addirittura dal 1962 firmato Chris Marker, autore del corto a fermo immagini La Jetée in cui si partiva dall'assunto parossistico di un bambino che avrebbe visto sé stesso morire. Morte, o meglio uccisione, anche alla base dell'incontro tête-à-tête tra noi & noi in Looper (2012) di Rian Johnson in cui il killer della malavita Joe (Joseph Gordon-Levitt) dovrà far fuori nel 2044 la versione di sé stesso del futuro datata 2077 (Bruce Willis; abbonato a questo filone dopo L'Esercito delle 12 Scimmie). Concludiamo con uno dei momenti più divertenti, e raffinati, di Avengers: Endgame (2019) ovvero quando un Captain America più scafato proveniente dal futuro incontra a New York nel 2012 il Captain America più ingenuotto del passato, cerca di convincerlo con la dialettica e poi, visto che quello si conferma un testardo supersoldato perfetto, dovrà passare alle cattive maniere per ottenere ciò che vuole. E Ang Lee?

I Will Survive

Henry Brogan (Will Smith) è un killer che ammazza i cattivi per il governo. 72 uccisioni per 51 anni di età. Una media dunque di 1,4 assassinii per ogni anno della sua vita partendo dalla nascita. "Nel profondo la mia anima è ferita" lo sentiremo dire. È l'ennesimo agente governativo americano non particolarmente allegro nel cinema hollywoodiano post 11 settembre 2001. C'è un senso di colpa profondo come nel caso di Jason Bourne (che una volta riacquistata la memoria andava a scusarsi con i familiari dei suoi bersagli passati) e uno spaesamento politico quando qualcuno gli fa capire che forse alcune se non molte di quelle 72 uccisioni non sono state indiscutibilmente a fin di bene. Quando si capisce che non potrà morire da sereno pensionato (sa troppo) ecco i soliti boss dei servizi segreti truffaldini pronti a scagliargli addosso nientemeno che lui stesso ovvero una copia clonata di Henry nata nel 1995 e cresciuta dal suo ex capo (un Clive Owen tra spietatezza e voglia di tenerezza) ben 12 mesi prima della famosissima pecora Dolly, il primo mammifero clonato da cellula somatica. Grandi sparatorie, viaggi per tre continenti, due alleati per Henry (una giovane collega perbene + il vecchio sidekick pilota d'aerei). Il film di Ang Lee propone una storia vecchia con nuove forme di ripresa. Girato a 120 fotogrammi al secondo 4K 3d può essere visto nella maggior parte del mondo solo a 60 fps 2k 3d (la miseria di 14 cinema in Usa lo proietteranno per come è stato realizzato). Il risultato è straniante. Prima di tutto la mancanza quasi totale di comparse e/o oggetti attorno ai personaggi ne fa quasi un film intimista in cui il mondo sembra deserto forzando lo spettatore a concentrarsi sui pochi protagonisti nonché su temi astratti come senso di colpa, identità, verità di stato e paternità. Se in realtà l'obiettivo primario doveva essere lo spettacolo di uno spy action globe trotter (Sudamerica, Europa, Nordamerica), la pesante nitidezza dell'immagine non aiuta il suddetto genere visto che tutto sembra quotidiano, quasi tedioso (le scene al porto della Georgia). Nella prima parte ti chiedi: "Ma perché il regista de La Tigre e il Dragone, Brokeback Mountain e La Vita di Pi ha accettato un progetto del genere?". Poi ti ricordi che ha diretto anche film più autolesionisti come Hulk (2003) e Billy Lynn: Un giorno Da Eroe (2016) e ti ricordi della filmografia di Lee in cui il regista nato a Taiwan ha ogni tanto quasi volutamente affrontato un genere cinematografico sovvertendo le regole per spiazzare lo spettatore. Nel secondo tempo capisci perfettamente il perché della scelta visto che non si spara quasi più, fino allo showdown finale, con Will Smith che diventa un Henry Brogan sempre più convincente e in sottrazione mentre la copia di sé stesso giovane diventa il Will Smith più bravo degli ultimi anni.

Junior

È la seconda volta che Smith recita nei panni di un Junior dopo il J di Men In Black (1997) di Barry Sonnenfeld in cui molta ironia si faceva circa l'associazione tra quel termine latino dal significato di "più giovane" e il concetto della gavetta che ogni buona matricola avrebbe dovuto fare dentro l'agenzia governativa impegnata nella gestione degli alieni sulla Terra al secolo Men In Black. Qui Junior è la cosa più bella del film ricordandoci quanto poteva essere bravo Smith da ragazzino nei pochissimi ruoli realmente drammatici della sua filmografia come Sei Gradi Di Separazione (aveva 25 anni nel 1993, due anni di meno rispetto all'età di Junior nella trama del film di Lee) per la regia dell'australiano Fred Schepisi, in cui recitava anche un imberbe J.J. Abrams all'epoca 27enne. Il Junior di Gemini Man è un killer ragazzino bravissimo con le armi ma sempre più spaventato dalla verità. Chiamerà "madame" un'agente donna leggermente più grande di lui presa come ostaggio ma osservata con imbarazzo mentre si spoglia (questa sua educazione contegnosa da ragazzo della Georgia verrà sfruttata dal sé stesso più vecchio Henry Brogan) e sarà sempre più stravolto con il passare dei minuti. Guardate come piange. Toccante. È stato Will Smith a recitare coi puntini in faccia tramite il processo del ringiovanimento stile Marvel di Ant-Man, Civil War, Guardiani Della Galassia 2? No. È un personaggio completamente creato al computer come accadde ai deceduti Oliver Reed ne Il Gladiatore e Carrie Fisher + Peter Cushing in Rogue One: A Star Wars Story (2016). Così l'attore che sembra più vero è quello più finto laddove l'aspetto teatrale della seconda parte paradossalmente è fornito dall'elemento più distante dal concetto di recitazione dal vivo.

Conclusioni

È più un test sperimentale che non un testo canonico? È più anticipazione del cinema di domani (le star non moriranno mai?) che non uno spy action che possa piacere alle platee di oggi? È un film più per i cinesi (dove si sono persi gran parte del giovane Will Smith considerato che Men in Black non fu praticamente distribuito da quelle parti) che non per l'Occidente? Tutto vero, probabilmente come è vero che una sceneggiatura in gestazione per 20 anni, partendo dalla Disney e con Clint Eastwood o Sean Conney in mente, non sia riuscita a diventare peculiare in relazione al presente che viviamo nel momento in cui, finalmente, è entrata in produzione tre anni fa grazie a Jerry Bruckheimer. Nei suoi momenti migliori d'azione Gemini Man sembra una versione iperrealista de La Tigre e il Dragone con high frame rate e 3d al posto di attori legati alle corde che si inseguivano sui tetti.
Nelle scene intime più convincenti sembra di assistere come in Brokeback Mountain alla lotta della sensibilità singola strangolata da una divisa che ne blocca l'espressività.
Lì erano cowboy moderni in crisi sessuale con la propaganda del loro ruolo erotico nella società Usa.
Qui abbiamo a che fare con delle spie sull'orlo di un esaurimento nervoso, cresciute nella menzogna di una Patria infida che è stata anche un Papà bugiardo.

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