Gascoigne è la storia di un uomo prima che di un campione

Gascoigne, il documentario su Gazza disponibile su Prime Video, parla di calcio ma assomiglia più che altro a una seduta di psicanalisi

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Oltre a essere stata una delle serie-simbolo della prima fase della pandemia, quando ancora non sapevamo bene cosa fare con tutto quel tempo libero a disposizione, The Last Dance ha cambiato in qualche modo il mondo dei documentari sportivi, per come riusciva a unire una narrazione drammatica e strutturata come un film all’esplorazione non solo di uno sportivo ma anche di un essere umano complesso e sfaccettato. Gascoigne di Jane Preston, uscito nel 2015 e disponibile attualmente su Prime Video, non ha le ambizioni della serie su Michael Jordan, ed è con ogni probabilità un tipo di documentario che vedremo sempre di meno con il passare degli anni. Ma ha il merito di raccontare la storia di uno dei più grandi calciatori inglesi di sempre da un punto di vista originale e che porta il racconto in direzioni inaspettate: quello dello stesso Paul Gascoigne.

Se non avete familiarità con il calcio inglese, due parole su Paul Gascoigne detto Gazza, nato nel 1967 a Gateshead. Figlio di operai, passa l’infanzia a giocare a calcio con gli amici in cortile, usando una pallina da tennis in mancanza di un pallone vero. Pur non essendo cresciuto in una situazione di povertà estrema (la sua parabola è diversa da quella classica del “ragazzo cresciuto nelle favelas di Rio che ha trovato la salvezza nel calcio”), Gascoigne vive un’esistenza priva di lussi ma ricca di tragedie: uno dei primi episodi che racconta lui stesso nel corso del documentario è quella volta che gli affidarono il fratello di un amico, lui se lo perse e questo venne investito da un camion e morì sul colpo. Gascoigne, il film, assomiglia quindi molto a una seduta psicanalitica alla quale l’ex calciatore decide di sottoporsi: il racconto alterna momenti in cui si parla della sua carriera sportiva a lunghe confessioni durante le quali Gazza snocciola l’infinita serie di traumi che l’hanno tormentato fin da bambino.

L’effetto è straniante e anche desolante, perché tra alcolismo, dipendenza da slot machine, episodi di violenza e pure pessima alimentazione quello che emerge è il ritratto di una persona disturbata i cui problemi non derivano da cause sistemiche ma dal fatto che la sfiga sembra perseguitarlo da sempre. La sua stessa carriera da calciatore gli ha regalato molto meno di quanto si sarebbe meritato: una storica semifinale mondiale contro l’Argentina (persa, con tanto di espulsione per doppia ammonizione per Gascoigne), l’adorazione dei tifosi nei suoi periodi al Newcastle e al Tottenham, il trauma di un’esperienza romana devastata da un infortunio gravissimo, qualche titolo in Scozia. Pochissimo per un calciatore non solo fortissimo, ma anche unico nel suo genere: un toro con la stazza e l’attitudine di Vieri ma il talento nel dribbling di Maradona, una visione di gioco impareggiabile – che “usava solo quando era stanco, altrimenti voleva fare gol lui” nelle parole del suo compagno Gary Lineker – e uno spirito di sacrificio (e sprezzo del pericolo) che lo resero un idolo dei tifosi ovunque andasse ma che lo esposero anche a infortuni orrendi e dolorosissimi.

L’impatto di Gascoigne è amplificato dal fatto che Jane Preston non si risparmia, non approccia la materia con distacco ma con affetto e un pizzico di pietismo, e a tratti arriva a esagerare con i dettagli strappalacrime o i primissimi piani sulla pelle del viso di Gazza consumata dall’alcool. Come detto, più che un documentario è una celebrazione e insieme una vetrina per Paul Gascoigne per confessare, spiegarsi, provare a far capire il perché di certe sue scelte di vita sempre ai confini con l’autodistruzione – il tutto intervallato a momenti di pura poesia sportiva (e di grande calcio inglese anni Novanta).

Sarebbe tutto più efficace se potessimo dirvi che da allora Gascoigne ha risolto tutti i suoi problemi e vive felice e disintossicato nel suo attico in centro a Londra, ma la realtà è che già nel 2015 assaltò un fotografo e molestò la sua ex, e l’anno dopo si beccò una multa per aver fatto battute razziste alla sua guardia del corpo, dopodiché nel 2017 entrò in rehab per l’ennesima volta e nel 2018 venne accusato (e poi assolto) di violenza sessuale. D’altra parte non basta una singola seduta di terapia per risolvere tutti i propri problemi; però almeno una ce l’abbiamo, si chiama Gascoigne e merita la vostra attenzione.

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