GameCube, l’amore per la console Nintendo in cinque feature | Speciale
Il 14 settembre del 2001 esordiva in Giappone il Game Cube, sfortunata ma indimenticabile console Nintendo di cui celebriamo i 20 anni di vita
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Il 14 settembre del 2001, quando l’ennesimo hardware targato Grande N veniva immesso sul mercato, per quanto concerneva le console casalinghe Nintendo aveva già perso terreno nei confronti del diretto rivale, Sony per l’appunto, e, per l’ultima volta nella sua storia, tentò il tutto per tutto presentandosi ai nastri di partenza sì in ritardo, PlayStation 2 era in commercio da più di un anno, ma con un hardware di tutto rispetto, capace di spostare l’asticella dello standard grafico un po’ più in là.
Per celebrarne i 20 anni dal lancio, abbiamo voluto brevemente elencare e riassumere cinque motivi, cinque caratteristiche che alimentano questa fama, incomprensibile ai più, assolutamente legittima per pochi.
Il design
PlayStation 5 e Xbox Series X (ma anche S), in modi diametralmente opposti, hanno giocato parecchio con il design. Laddove le console di una e due generazioni addietro proponevano linee più classiche e canoniche, questa next-gen ha certamente saputo stupirci.
Il GameCube, tuttavia, fece la stessa ed identica cosa vent’anni prima, proponendosi con quelle proporzioni di per sé elementari, eppure così caratteristiche. Un cubo con la maniglia, niente di più, niente di meno, un minimalismo universale, che affascinava ulteriormente quando proposto in colori anch’essi inusuali, come il viola, veste ufficiale della console, l’arancione acceso o addirittura l’argento.
Il suo design è certamente uno dei motivi per cui ci siamo innamorati e ancora amiamo il GameCube, feature che la rende anche agli occhi di chi non sa cosa sia una scatola misteriosa, ma estremamente intrigante.
L’hardware
Star Wars: Rogue Squadron II: Rogue Leader. Per tutti i fieri possessori di un GameCube, fu quello il gioco che rese evidenti le potenzialità dell’hardware di cui si fregiava la console Nintendo. Le texture definite, i modelli poligonali ricchi di dettagli, quella linea d’orizzonte che sembrava infinita, tutte qualità che resero il gioco sviluppato da Factor 5 immortale, un ricordo indelebile in tutti coloro che all’epoca erano ossessionati dall’idea del fotorealismo.
Il Gekko, questo il nome in codice del processore custom creato per l’occasione da IBM, cuore pulsante del GameCube, ebbe modo numerose volte di dare prova delle sue qualità, riuscendo a dimostrarsi ben più performante di quello montato da PlayStation 2, come era ovvio che fosse per una console lanciata sul mercato oltre un anno dopo, ma tenendo testa persino alla meglio equipaggiata Xbox, che pagava però lo scotto di dimensioni davvero generose per l’epoca e non solo. Titoli come Star Fox Adventure, Super Mario Sunshine, ma anche lo stesso Donkey Kong Jungle Beat, hanno puntualmente stupito il pubblico pagante, dimostrando quanto fosse potente e malleabile l’hardware del GameCube.
I mini-DVD
Qui si entra prepotentemente e pesantemente nel feticismo videoludico. Perché in verità non dovrebbe esserci un motivo al mondo per amare un formato che, viste le dimensioni contenute, ha spesso costretto gli sviluppatori a compromessi sconvenienti, i video terribilmente compressi di Eternal Darkness: Sanity's Requiem li ricordiamo (tristemente) ancora tutti, o a dividere le loro produzioni in due dischi, come accadde a Resident Evil 4 per esempio.
Eppure, esattamente come per il design della stessa console, i mini-DVD emanano un fascino quasi inspiegabile ed ancestrale. Oggi più di allora, ogniqualvolta capita per le mani il box di un qualsiasi gioco del GameCube, è praticamente inevitabile aprirlo, estrarne il prezioso contenuto e tenere tra le dita quel buffo ed irresistibile disco dalle dimensioni ridotte.
Il Wavebird
Esattamente come la console e i mini-DVD, lo stesso controller del GameCube presentava specifiche tanto bizzarre, quanto efficaci ed intriganti alla vista. Eppure, al di là di questo aspetto, fu soprattutto il Wavebird a tracciare una netta linea di demarcazione tra un prima e un dopo.
Laddove la maggior parte dei controller, a buon mercato ed ufficiali, utilizzavano gli infrarossi per consentire di giocare senza fili, tecnologia piuttosto limitata e scomoda, la periferica Nintendo sfruttava onde radio, consentendo così la totale libertà di movimento al videogiocatore, oltre a garantire un notevole raggio d’azione.
Periferiche fuori di testa
La rincorsa alle periferiche fuori da ogni umana concezione, negli ultimi anni è notevolmente rallentata, frutto anche del relativo insuccesso dei tentativi di replicare il Wiimote (sì, parliamo proprio di Move e Kinect).
Eppure, in piena epoca 128-bit, il trend era ancora vivo e vegeto e ne è una prova empirica lo stesso GameCube, console attorno alla quale sono ruotati diversi add-on più o meno utili, più o meno folli. Dal Game Boy Player, che permetteva di giocare sul televisore di casa i titoli dell’omonima console portatile di Nintendo, al tappetino per ballare di Dancing Stage: Mario Mix, sorta di spin-off di Dance Dance Revolution di Konami, tre periferiche in particolare si distinsero.
Il primo che merita una citazione a parte è sicuramente il microfono utilizzato sia in Mario Party 6, sia in Odama, folle simulazione di flipper in cui controllare, tramite la propria voce per l’appunto, l’esercito disposto sul tabellone. L’altro è il DK Bongos, letteralmente dei bonghi utilizzati sia in Donkey Konga, un gioco musicale, sia nel già citato Donkey Kong Jungle Beat, platform bidimensionale in cui l’avatar veniva controllato, a ritmo, tamburellando sulla superficie dell’add-on o battendo le mani. Infine, merita uno spazio tutto suo, lo scomodissimo ma scenografico controller a forma di moto sega venduto in bundle con Resident Evil 4, così bizzarro da essere l’oggetto del desiderio di qualsiasi collezionista degno di questo nome.