Game & Book #1 - Mondi paralleli. Ripensare l'interattività nei videogiochi

Game & Book: il concetto di interattività scomposto, analizzato e ridiscusso nel volume di Enzo D'Armenio

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Mondi paralleli. Ripensare l’interattività nei videogiochi (Unicopli, 2014) si inserisce in una linea editoriale consolidata, che mira a scomporre il funzionamento del videogame utilizzando gli strumenti della semiotica. Il lavoro di tesi magistrale di Enzo D’Armenio va infatti ad aggiungersi ai libri di Agata Meneghelli e Dario Compagno, pubblicati nella collana Ludologica curata da Matteo Bittanti e Gianni Canova. Il taglio semiotico è croce e delizia del volume: se da un lato il rigore degli strumenti utilizzati permette spunti originali, dall’altro questo approccio potrebbe risultare ostico per i non avvezzi ai formalismi. Sarebbe però un peccato lasciarsi spaventare, perché sotto la scorza teorica c’è una genuina passione videoludica.

Il bersaglio principale del libro è la nozione di interattività, peraltro debole dal punto di vista teorico. Tratto distintivo del medium, si suol dire, eppure così non è. Anche un libro, per esempio, richiede la sua buona dose di interazione per essere compreso, per completare con le proprie inferenze il non detto del testo. Da vanto esclusivo del medium, l'interattività sarebbe invece un ostacolo alla sua comprensione. Non è accurato sostenere che il videogioco ci permette di interagire, sostiene l’autore, perché si tratta in realtà di una costrizione: interagire, affinché il gioco funzioni, è obbligatorio. Il giocatore deve infatti muovere un’interfaccia per far muovere un avatar nello spazio di gioco: è proprio nella modulazione tra questi movimenti – nella corrispondenza o divergenza tra i desideri del personaggio e i doveri di chi lo manovra – che il videogioco fonda le sue strategie. Emergono quindi i concetti di enunciazione cinetica e narrazione spaziale. L'autore tenta di superare l’opposizione ormai classica tra narrazione e gameplay.

[caption id="attachment_140324" align="aligncenter" width="600"]Shadow of the Colossus Shadow of the Colossus[/caption]

A essere analizzati, lungo il volume, sono alcuni dei giochi più rappresentativi degli ultimi anni. La posta in gioco è provare a spiegare come i videogiochi ci spaventano, ci emozionano e ci esaltano. È l’allestimento degli spazi e dei ritmi, secondo l’autore, a fare la differenza. In Resident Evil, per esempio, la tensione è il risultato tanto del fuori campo visivo e sonoro – che ci avverte della minaccia che incombe – quanto dell’obbligo di procedere nella sua direzione. In Shadow of the Colossus, al contrario, il conflitto di emozioni è dato dalla necessità di eliminare degli esseri sacri. La difficoltà e l'apparente ingiustizia dell’impresa trasmettono al giocatore l’amore che Wander prova per Mono: lo si obbliga ad agire come (forse) non vuole. “Mentre noi controlliamo la nostra protesi con i nostri movimenti, i suoi effetti ci influenzano passionalmente”.

Alternando analisi di singole sequenze a letture più generali, il libro di D’Armenio si misura su un numero considerevole di casi: da Ico a BioShock Infinite, passando per Deus Ex, Red Dead Redemption e la saga di Portal. Il merito dell'analisi non è quello di mostrare l’efficacia degli strumenti semiotici, già evidenziata in passato da altre penne, né di rilanciare un dibattito teorico che fuori dalle accademie rischia di allontanare gli interessati. Il merito è quello di mostrare che, tra rigore formale e stampa specializzata, c’è spazio per un’altra critica.

[caption id="attachment_140323" align="aligncenter" width="600"]Red Dead Redemption Red Dead Redemption[/caption]

Per concludere, due domande all'autore.

Il tuo volume nasce da una tesi di laurea. È stato difficile adattare il lavoro originario? C'è qualcosa che hai tagliato e non avresti voluto tagliare, o qualcosa che a posteriori vorresti modificare o arricchire?

La mia idea iniziale era di ristrutturare la tesi affinché fosse appetibile a un pubblico più vasto, cosa che in effetti ho provato a fare. Mi sono però accorto che ridurre la presenza “semiotica” avrebbe snaturato il lavoro. Quindi ho cercato di rendere meno pesanti i formalismi aggiungendo sezioni più esplicative e tagliando alcune parti teoriche, ma senza modificare l’impostazione di base. Naturalmente sono certo che avrei potuto trovare un equilibrio migliore! Se avessi l’occasione di scrivere un altro libro sugli stessi temi, cercherei di pensarlo dal principio come un libro di critica, oltre che un libro di semiotica. Per tornare alla tua domanda, a posteriori aggiungerei altri esempi di analisi: penso a The Last of Us e Dishonored. Oppure a The Walking Dead di Telltale, che sarebbe un ottimo esempio per raccontare come il videogioco sia riuscito a sposare la serialità dando vita a una formula che ha tratti molto originali. Sono però riuscito ad aggiungere nel volume la parte su BioShock Infinite, che non era presente nella tesi: mi sembrava un caso perfetto per rendere conto dell’importanza degli elementi spaziali.

[caption id="attachment_140322" align="aligncenter" width="600"]Portal Portal[/caption]

Un intero capitolo del libro è dedicato a Portal e al suo sequel. Nel volume vengono analizzati anche altri titoli, è vero, ma nessuno ha un capitolo tutto suo. Sei amico di Gabe Newell oppure trovi che i due Portal siano opere particolarmente rivelanti dal punto di vista teorico?

Non sono amico di Gabe Newell: per questo ho dedicato una corposa parte del volume a due dei suoi giochi, speravo di diventarlo! Scherzi a parte, Portal e Portal 2 mi hanno portato a maturare le idee centrali del lavoro, perché sono due titoli che lasciano sempre la facoltà di movimento al giocatore. Anche se non contengono sequenze narrative sotto forma di cutscene – e solo una manciata di eventi scriptati – sono due titoli che raccontano storie emozionanti. Mi interessava capire come queste storie venissero trasmesse tramite i meccanismi di gioco.

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