Fuoco assassino, compie trent’anni il Top Gun dei pompieri

Fuoco assassino compie trent’anni: è ancora uno spettacolo incredibile, ed è ancora oggi il motivo per cui molta gente sceglie la carriera di pompiere

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Ci sono film che passano alla storia non solo per il loro valore cinematografico, ma perché indirizzano le scelte di vita di un’intera generazione. Jurassic Park ha creato una generazione di paleontologi, SpaceCamp fu un grande spot (nonostante la tragedia del Challenger), e Top Gun fu, nelle parole del consulente tecnico di Tony Scott John Semcken, “il miglior film fatto per convincere la gente ad arruolarsi di sempre”. Fuoco assassino, che oggi compie trent’anni, appartiene a questo filone: è il film che per la prima volta a Hollywood celebrò, per la gioia di un’intera categoria professionale, la figura del pompiere, l’eroe americano per eccellenza (una mitologia tristemente alimentata dagli attentati di dieci anni dopo), una persona che ogni giorno mette a rischio la propria vita per salvarne altre, che sfida l’elemento più incontrollabile e pericoloso che ci sia.

Fuoco assassino è la creatura di Gregory Widen, l’inventore di Highlander, che prima di dedicarsi al cinema aveva lavorato per tre anni come pompiere in California, e aveva assistito in prima persona alla morte di un collega, ucciso da una fiammata di ritorno (backdraft, come il titolo originale del film). Fuoco assassino era il suo omaggio a quell’esperienza: Widen ci teneva talmente tanto a fare un film che raccontasse, senza abbellirla troppo, l’esperienza di fare il pompiere, che convinse l’intero cast ad addestrarsi in preparazione alle riprese, e a partecipare a numerose chiamate per poter assistere in prima persona alle operazioni di spegnimento di un incendio.

Kurt Russell

Naturalmente un film basato esclusivamente sulla cronaca della vita professionale di un pompiere non può reggere, a meno di non trasformarlo in un documentario; e quindi Widen immagina una storia che ruota intorno a una caserma, ma che parla anche di famiglia, amore, corruzione, vendetta. Fuoco assassino è un film corale, nel quale si intrecciano almeno tre o quattro storyline differenti, un’epopea di oltre due ore (e nella versione home video trovate altri tre quarti d’ora di scene tagliate) che avrebbe beneficiato di qualche taglio, ma alla quale si perdona ogni lungaggine in cambio di una serie di prove attoriali di primissimo livello.

Il protagonista assoluto dovrebbe essere William Baldwin, che dopo anni a fare il fotomodello per Calvin Klein stava cominciando ad affermarsi anche come attore; interpreta Brian McCaffrey, figlio di un pompiere che vent’anni prima ha assistito in diretta alla morte del padre durante un intervento e che da allora va in cerca di una strada nella vita, di uno scopo, qualsiasi esso sia. Purtroppo per lui, per quanto Fuoco assassino sia un’ottima dimostrazione del suo talento, al suo fianco c’è Kurt Russell, che al tempo era ancora considerato un attore “di genere” e che qui, nei panni del fratello maggiore Stephen, dimostra tutta la sua profondità e il suo carisma. I due fratelli si odiano, non genuinamente ma di quell’odio macchiato di fastidio per le occasioni fallite dall’uno, e per il costante senso di inadeguatezza dell’altro: la ricerca di una forma di stabilità familiare dopo anni di più o meno forzata è, almeno dal lato umano, il cuore di Fuoco assassino, e il motore degli eventi.

Bob De Niro William Baldwin

Ma è solo uno dei tanti tasselli del puzzle. Che coinvolge anche le rispettive consorti o aspiranti tali: la moglie di Stephen (Rebecca De Mornay) l’ha lasciato per via del suo carattere incontrollabile, fin troppo simile al fuoco che combatte tutti i giorni; Jennifer (Jason Leigh) è invece la persona di cui Brian è più o meno segretamente innamorato, e che finora l’ha tenuto a distanza perché lo ritiene inaffidabile – ancora una volta, come il fuoco che tutto il resto della caserma è convinto che Brian non sia pronto a combattere. C’è una vena thriller che esplode sul finale: Robert De Niro è il capitano Rimgale, che di mestiere investiga i luoghi degli incendi per capire se siano di origine dolosa, e che aiuterà Brian a scoprire una rete di corruzione e doppiogiochismo che sale fino ai livelli più alti della politica di Chicago (a proposito: la scelta di ambientare il film a Chicago è conseguenza della reputazione del Chicago Fire Dept., “il migliore d’America”).

C’è, ed è curioso per un film uscito lo stesso anno di Il silenzio degli innocenti, un esperto piromane interpretato da Donald Sutherland che aiuta il dipartimento a risolvere il caso, e in cambio chiede di poter comunicare esclusivamente con la giovane recluta – come accade a Jodie Foster nel film di Jonathan Demme. La scontatissima definizione “film corale” non rende l’idea di quanto il film di Ron Howard sia sorretto dalle prestazioni del cast, che tiene a galla la storia anche quando Widen la appesantisce con infiniti rivoli narrativi: in mano a un altro cast, e a un altro regista, Fuoco assassino sarebbe potuto risultare eccessivo, sovrabbondante, fin troppo barocco. Invece Howard compie il miracolo di tenere la tensione alta per oltre due ore, senza rinunciare a tocchi umoristici o di generico calore umano. E gran parte del merito va a Industrial Light&Magic.

Fuoco assassino Jennifer

“Il 95% degli effetti visivi del film sono incendi veri” secondo il produttore Richard Lewis; ci sono solo due o tre sequenze nelle quali il fuoco è stato girato a parte e poi sovrapposto al resto del girato. Vale la pena ricordare che stiamo parlando di un film del 1991: questo significa che per girare Fuoco assassino, Ron Howard e compagnia hanno dato fuoco a qualsiasi cosa, attori compresi (chiedete a Scott Glenn). Hanno costruito set dentro palazzi abbandonati, li hanno incendiati e hanno chiesto agli attori di gettarsi nell’inferno di fuoco senza paura – se aspettate i titoli di coda noterete che i nomi di Kurt Russell, William Baldwin e del resto dei pompieri sono accreditati come “stunt”, perché hanno girato in prima persona le scene tra le fiamme. Il fuoco che cammina sul pavimento? In realtà è un soffitto al quale era stato fissato il mobilio, e l’inquadratura è stata ribaltata in montaggio. Pareti che esplodono e crollano? È successo davvero, non era previsto ma nonostante questo la sequenza e rimasta nel film.

Non siamo certi che tutto questo sia una grandissima idea, e probabilmente oggi riprese del genere non verrebbero autorizzate (né servirebbero, visto che si può ricreare un incendio in CGI); ma dà l’idea della dedizione all’argomento, della voglia di tutta la produzione di far vedere cosa significa davvero fare il pompiere, di che razza di rischi si corrono ogni giorno quando si va in caserma. È impossibile non parteggiare per loro, e non infuriarsi con il candidato sindaco interpretato da J.T. Walsh, “l’uomo dei tagli”, una figura ben nota anche da noi e villain perfetto perché mette i bastoni tra le ruote agli eroi della città. Ed è impossibile non vedere nel fuoco una sorta di animale selvatico, incontrollabile, ma dotato di una personalità, di una volontà: Fuoco assassino lo tratta come se fosse il mostro di un horror, che lascia vittime carbonizzate e una scia di distruzione dietro di sé. Ci sono degli eroi, quindi, c’è una creatura malvagia da sconfiggere, c’è il traditore al soldi della creatura da incastrare, e ci sono famiglie da ricomporre e innocenti da salvare: trent’anni dopo, non è difficile capire come mai Ron Howard sia riuscito a convincere così tanta gente a intraprendere la carriera da pompiere.

Bimbo

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