Full Monty: c’è dignità nel rimanere “in mutande”, anche economicamente
Full Monty non parla di uno spogliarello, ma di uomini che imparano a danzare con la loro condizione di disoccupati in cerca di salario
Full Monty è un film sul coraggio e sulla dignità di rimanere senza niente.
Sheffield era una città in piena espansione industriale. Gli operai avevano lavoro, le famiglie si sono insediavano intorno alle fabbriche nella speranza di un futuro luminoso. La crisi ha invece coperto di plumbea atmosfera britannica le vite di quegli uomini. Ora ex manovali, svogliatamente alla ricerca del lavoro, indolenti, molto più propensi a trovare modi per togliersi di mezzo. Che sia facendosi beccare durante furtarelli incompetenti, o tentando vistosi suicidi. Alla fine tutti si salvano a vicenda, buttandosi un occhio qua e là e un “come va?” di supporto. A fine giornata sono però al punto di prima: con nulla in mano e sempre meno nel portafoglio.
British e pruriginoso (quindi non troppo), Full Monty segnò l’immaginario collettivo. Diede anche un bel colpo al maschilismo cinematografico di quegli anni con corpi normali, complessati, ma simpaticissimi nella loro diversità. Un atto di orgoglio tutto maschile che poteva essere imitato senza vergogna. Perché nonostante la mestizia che lo accompagna, Full Monty è segretamente un film sorridente. Hot Stuff, roba che scotta a cui non vale la pena resistere e nemmeno vergognarsi. Non ce la fece nemmeno il Principe Carlo, cedendo al richiamo nazional popolare di ricrearne una scena sulla tv nazionale.
Eppure la città è compressa, e va liberata. Come una pentola a pressione accumula una tensione sessuale inespressa. Le donne sono costrette a casa, a fare le brave mogli in attesa che i mariti tornino. Questi sono solo l’ombra di ciò che erano un tempo. Non si realizzano nel lavoro, si sentono perduti come individui. Ciondolano qua e là senza concedersi mai a letto. Questa distanza fisica cresce sempre di più, senza che ci sia modo di accorgersene. Una goccia dopo l’altra, senza mai far traboccare il vaso. Come è possibile? Grazie a una valvola di sfogo, tutta al femminile, nei bar pomeridiani. Un luogo misterioso dove si sfogano fantasie e libertà.
Lo strip.
Servirà un intero film agli uomini per capire cosa ha di affascinante lo spogliarello. Non la nudità di per sé, ma l’orgoglio con cui ci si mostra fieri di quello che si è. Sta qui l’idea più appagante di questa commedia che dagli anni ’90 a oggi è ancora impossibile da mettere in pausa. L’andare fino in fondo “full monty”, e fare di tutto con dignità.
C’è tanta rassegnazione sul finale: alla fine gli obblighi del lavoro vincono. Però ci si concede nello show una piccola fuga dal sentiero già tracciato dagli enti governativi per la disoccupazione, almeno per qualche ora. Alla fine si tornerà tutti di nuovo a lavorare. Tutto come prima, ma con uno spirito assai diverso.
Il genio del gruppo di lavoratori è ribaltare l’ineluttabilità del loro destino, accettandola e danzando con essa. Non c’è niente di male nell’essere economicamente “nudi”, senza un salario a coprire la debolezza rispetto a un territorio ormai brullo e ostile.
Inizialmente però tutti gli uomini cercano scuse. Si inventano "abiti" che non indossano più da tempo. Le donne che sono loro più vicine, anche se non lo dicono -forse non sanno come farlo-, hanno capito che qualcosa non va. Loro però si ostinano a resistere, immobili come delle lamiere, mentre vengono derubati di tutto. Prima non riescono ad attingere alle fonti di denaro, poi perdono la mamma, il figlio, la moglie fino al vero proposito di quello che stanno facendo.
Sono convinti di imparare a fare uno spogliarello per fare soldi. Invece, nella geniale sequenza della fila per prendere il sussidio di disoccupazione, si tolgono la maschera. Quando parte alla radio Donna Summer, il gruppo si mette a ballare compostamente i passi dello striptease. Rivelano due cose: primo che il progetto dello spogliarello è una parte di loro ormai inscindibile. Secondo, che lo è, allo stesso modo, anche la loro condizione di disoccupati. Né l’uno né l’altro meritano di essere nascosti. Anzi, serve coraggio per danzare al ritmo dei continui tentativi, dei ripetuti no per il lavoro, diventando sempre un po’ più nudi, ma sempre più sé stessi.
https://www.youtube.com/watch?v=H4wuH9pSSRo
Si torna quindi sul finale ad attrarsi a vicenda, a sedursi, tutti con corpi diversi e non giudicati. Azzeccatissimo il momento in cui, dopo avere dato i “voti” alle donne viste su una rivista, il gruppo si guarda preoccupato: “che succede se venerdì prossimo 400 donne arrivano e dicono ‘quello è troppo grasso, l’altro è troppo vecchio, il terzo sembra un petto di pollo’ e dopo che facciamo?”.
Superando la paura del giudizio diventano una forza che ribalta. Chi doveva ridere, invidia. Chi doveva avere ribrezzo, viene sedotto. Non serve prendersi troppo sul serio. A volte è bello anche giocare con quello che si è, mettersi a nudo, e sentirsi liberi come lo è solamente chi non ha nulla da perdere.
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