Fuga per la vittoria, quando Sylvester Stallone scoprì il calcio
Fuga per la vittoria è il film che fece conoscere a Sly lo sport dei suoi antenati, e lo fece a colpi di ossa rotte
Questo speciale fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.
Alla fine delle riprese di Fuga per la vittoria, il primo film dello Stallone post-Rocky a non essere un film di Stallone – e neanche del tutto un film con Stallone, più che altro un film anche con Stallone – Sly si ritrova con un paio di costole rotte, un dito fratturato ed ematomi ovunque. Il dito, in particolare, gliel’ha rotto Pelè tirando un rigore. È a questo punto che Sylvester Gardenzio Stallone, figlio di Francesco Stallone da Gioia del Colle, vede la luce come Fantozzi vide San Pietro sulla traversa: il calcio non è (sempre parole sue) “uno sport per signorine”, ma una virile manifestazione di mascolinità, e bene hanno fatto i suoi antenati a farne lo sport nazionale.
Fuga per la vittoria è un film di guerra, il racconto un (bel) po’ romanticizzato della vita di prigionieri di guerra dei tedeschi durante le prime fasi del secondo conflitto mondiale, ed è anche un intricato prison break nel quale si contano non uno ma due diversi piani per evadere dal campo di prigionia e ritrovare la libertà. Eppure, sarà la presenza di Pelé, sarà il bias nazionale, sarà perché tifiamo, è impossibile non vederlo come un film sul calcio e valutarlo in quella cornice. L’aneddoto sul dito rotto di Sly non è stato buttato lì per ridere, ma è indicativo di quanto il calcio abbia un potere trasformativo persino su un americano convinto che se non ti vesti in armatura da capo a piedi non stai facendo davvero sport.
E basta: questo è il canovaccio del film. Il resto lo fa il modo in cui è raccontata la storia, la costruzione dei personaggi e dei rapporti di forza, i singoli episodi da classico film sportivo che portano avanti il film creando atmosfera ma non necessariamente avanzando la trama. C’è, va detto, una storyline secondaria che coinvolge proprio Stallone e il suo personale piano di fuga, che però viene assorbita relativamente in fretta dal centro di gravità di Fuga per la vittoria, cioè la grande partita amichevole e la preparazione a essa. Ed è qui che amare il calcio aiuta.
Un evento epocale, dicevamo sopra. Tutti i calciatori che si vedono nel film sono professionisti che giocavano ad alto livello: molti degli inglesi, per esempio, erano giocatori dell’Ipswich Town, che oggi languisce tristemente nella terza categoria del calcio inglese (la League One) ma che negli anni Ottanta giocava regolarmente in Europa e vinse anche una coppa UEFA proprio nella stagione 1980-1981, quella durante la quale fu girato il film. C’è l’argentino Osvaldo Ardiles, campione del mondo nel 1978 ed ex giocatore tra l’altro del Tottenham. C’è il belga Paul Van Himst vinse otto scudetti in Belgio con l’Anderlecht e c’è l’olandese Co Prins, otto anni all’Ajax, stroncato da un infarto in campo nel 1987.
E poi ovviamente c’è Pelé, sulla cui grandezza relativa ad altri nomi noti taceremo in questa sede. Ma c’è anche un Michael Caine a cui brillano gli occhi ogni volta che è nei suoi paraggi, e in generale ogni volta che deve fare qualcosa che ha a che fare con il calcio. Fuga per la vittoria non è necessariamente il miglior film di sempre sul calcio nella misura in cui lo sport è rappresentato e messo in scena, ma è un’opera che trasuda calcio, e calcio inglese in particolare. E su questo sfondo Stallone spicca, almeno all’inizio, come una mosca molto grossa su un muro molto bianco. La prima scena nella quale prova a fare il portiere è esilarante, perché è evidente che non sta recitando, che davvero gli manca la memoria muscolare per fare certi movimenti che qualsiasi bambino europeo cresciuto con un pallone tra i piedi sa fare.
Il fatto che il suo Robert Hatch sia l’unico americano in mezzo a un branco di europei permette a Stallone di spiccare pur non essendo necessariamente il protagonista principale del film. Non gli serve neanche esagerare con l’interpretazione: è più misurato che nei precedenti Taverna Paradiso e I falchi della notte, perché gli basta essere americano per farsi notare in mezzo al torrente di “bloody hell!” e “lads” che lo circonda. Quello in Fuga per la vittoria è uno dei migliori ruoli dello Stallone fuori dalla sua comfort zone, in un film nella realizzazione del quale non ha potuto mettere becco. È la dimostrazione che non solo sa essere brillante e recitare con altra gente invece che di fronte ad altra gente, ma sa farlo nello stesso film nel quale ogni tanto deve fare il “solito” Sly.
Ovviamente lo aiuta il fatto che il film sia un culto assoluto, uno dei migliori e più amati film sportivi di sempre, un totem del quale non vale neanche la pena discutere i difetti (e ce ne sono, uno su tutti l’eccesso di retorica e l’atmosfera un po’ troppo romanzesca per essere un film ambientato in un campo di prigionia tedesco). Volendo ci si potrebbe anche spingere a vedere un fil rouge che congiunge Fuga per la vittoria con Rocky IV, e teorizzare che l’idea di risolvere la Guerra Fredda con un incontro di boxe abbia cominciato a germogliare nella testa di Sly ai tempi di questo film nel quale una partita di calcio unisce anche i più acerrimi nemici. Ma forse è una sovra-interpretazione: accontentiamoci di sapere che grazie al film di John Huston Stallone ha definitivamente stabilito il suo street cred italiano innamorandosi del calcio.