Fracchia la belva umana è Fantozzi all’americana
Fracchia la belva umana è il remake di un film di John Ford, e si vede: è Fantozzi, virato USA
Quando si parla di Paolo Villaggio viene spontaneo parlare del ragionier Ugo Fantozzi, che tra l’altro in questo periodo di calcio e (per ora) soddisfazioni è tornato di moda come ogni volta che si gioca un Mondiale o un Europeo. Si parla molto di meno di Giandomenico Fracchia, che spesso viene ricordato più per certi dettagli di contorno come l’arcinota e oggi francamente impresentabile canzoncina che per il personaggio in sé – che pure è uno dei tre )insieme a Kranz e proprio a Fantozzi) che Villaggio ha coltivato e sviluppato di più nel corso della sua carriera. C’è un motivo, secondo noi, le cui avvisaglie si possono rintracciare già dal primo film per il cinema sull’impiegato sfigato di una fabbrica di cioccolato, cioè Fracchia la belva umana; che è un po’ come un film su Fantozzi, ma filtrato da una sensibilità diversa, relativamente meno italiana e sorprendentemente, ma in realtà no, americana.
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Prima di parlarne, però, una breve genesi di Giandomenico Fracchia, personaggio comparso per la prima volta in TV a Quelli della notte e che negli anni, mentre parallelamente Villaggio lavorava a Fantozzi, ha gradualmente cambiato forma e approccio alla vita, tanto che Fracchia la belva umana non è solo il primo film su di lui ma anche una sorta di reboot, almeno rispetto a com’era stato concepito all’inizio il personaggio. Le prime testimonianze del nome Fracchia si trovano nei primi libri di Villaggio dedicati a Fantozzi, per un personaggio che nel tempo diventerà il ragionier Filini; dopodiché Villaggio lo trasformò, in televisione, in una sorta di epitome non solo della sfiga, come già era Fantozzi, ma anche dell’assoluta mancanza di dignità, del servilismo di fronte ai potenti e dell’incapacità di fare sostanzialmente qualsiasi cosa.
Fracchia la belva umana, invece, è interamente concentrato sui risvolti psicologici della sfiga interiore che caratterizza il povero Giandomenico. Tanto è vero che è un film sul tema del doppio, che parla senza mai parlarne di yin e yang, della metà oscura e anche delle fantasie di potenza di un frustrato (“come sarebbe la mia vita se avessi il coraggio di fare quello che voglio?”). E soprattutto, vale la pena ribadirlo, è un remake: tutta l’idea di fondo – la storia di un signor nessuno che è anche il sosia di un feroce assassino e di tutte le disavventure che derivano da questa incresciosa somiglianza – è rimasta identica a come l’aveva concepita John Ford, solo che per un caso più o meno fortuito era un’idea che sembrava pensata apposta per il personaggio di Giandomenico Fracchia.
Rispetto all’originale, Neri Parenti alza il volume della comicità e moltiplica le gag. Per fare un solo esempio, in Tutta la città ne parla il protagonista Arthur Jones viene fermato dalla polizia per la sua somiglianza con il killer, e immediatamente rilasciato con un salvacondotto che ne conferma l’identità e gli eviterà ulteriori problemi con le forze dell’ordine. In Fracchia la belva umana, Giandomenico Fracchia viene arrestato tre volte consecutive, e tutte e tre le volte picchiato e abusato da differenti rami delle forze dell’ordine. Il film straborda di gag slapstick, alcune delle quali sollevate di peso dal repertorio di Fantozzi, ed è girato e soprattutto montato con una valanga di dissolvenze, inquadrature sghembe e altri trucchetti assortiti che distraggono ancora di più da ogni tentazione sociale o di denuncia, e portano tutto il racconto su un piano più francamente surreale e assurdo.
Il finale poi sottolinea e ribadisce quanto detto finora, e ci aggiunge pure un bel punto esclamativo in fondo – anche se ovviamente non lo riveleremo qui perché c’è sempre la possibilità che chi legge non l’abbia mai visto. Diremo solo che si tratta di uno dei twist più crudeli che si possa immaginare di infliggere a un personaggio, e la dimostrazione che anche per Paolo Villaggio Fracchia non era solo un clone di Fantozzi, ma una sua reinterpretazione ancora più estrema, misantropa e crudele, e che a Fracchia la belva umana non importa nulla di fare satira sociale, ma solo di torturare e umiliare il povero Giandomenico Fracchia.