Fortnite e il futuro intravisto durante il concerto di Travis Scott | Speciale

Fortnite non è più un semplice videogioco già da diverso tempo e il concerto interattivo di Travis Scott ne è stata la lampante dimostrazione

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Fortnite, ormai è evidente a chiunque, non è più solo un videogioco. Già da tempo, agli occhi dell’opinione pubblica in primis, si è evoluto in un fenomeno di massa tutto tondo, ben più resistente al passare del tempo e impattante, in termini puramente mediatici, di tanti altri titoli rinomati che hanno fatto parlare di sé anche chi non è solito intrattenersi con i videogiochi.

League of Legends, lo stesso GTA, tirato costantemente in ballo quando si tratta di atti di violenza perpetrati da giovanissimi, sono stati e in alcuni casi sono tutt’ora sulla bocca di tutti, ma in entrambi i casi manca un piccolo fattore che invece rende unica nel suo genere la creatura di Epic Games: sono e vogliono essere esclusivamente videogiochi.

Fortnite già da tempo si sta scrollando di dosso questa pur incerta e labile definizione, diventando ben più che un game-as-a-service, anelando a essere a tutti gli effetti una sorta di service-as-a-service, un hub dove principalmente si lotta per avere la meglio sui propri avversari, certo, utile luogo aggregativo per eventi digitali di diversa natura.

A stupire è che Epic Games si sia mossa in questa direzione ben prima dell’attuale pandemia e conseguente reclusione forzata a cui mezzo mondo è attualmente costretta.

L’evoluzione, se vogliamo, è iniziata un anno fa, con i primi concerti di Marshmello, all’anagrafe Christopher Comstock, disc jockey, produttore discografico e musicista statunitense. In quei casi, a dire il vero, si è trattato di esperimenti di per sé poco riusciti, ma ugualmente indicativi di un fenomeno che prenderà sempre più piede da oggi in poi. Passivi spettatori di fronte a un palco “montato” per l’occasione, il DJ ha intrattenuto per una manciata di minuti gli utenti confluiti sui server del gioco, mixando alcuni brani, ma lasciando ben poco spazio allo spettacolo.

In occasione dell’approdo di Star Wars IX: L'ascesa di Skywalker nei cinema di tutto il mondo, Fortnite ha mostrato ulteriormente le sue potenzialità, tramutandosi nello scenario ideale per presentare in anteprima un trailer esclusivo del film Disney, anticipato da una breve comparsata di un avatar dalle fattezze di J.J. Abrams, regista del lungometraggio.

Con il recente concerto di Travis Scott, tuttavia, abbiamo sbirciato tra le linee di codice del Matrix, scorgendo un futuro per certi versi sicuramente inquietante, ma ugualmente affascinante e ricco di opportunità, a partire da quelle milionarie e commerciali che saprà innescare Epic Games.

Mentre il mondo della musica collassa in totale panic mode sui social più disparati, proponendo in certi malaugurati casi imbarazzanti e qualitativamente deprimenti “concerti” su Instagram, sembra evidente che Fortnite abbia barato, consultando l’unico cartomante dell’universo che ci azzecca, facendosi trovare (quasi) pronto, in piena quarantena, con un qualcosa che difficilmente si sarebbe potuto organizzare in una manciata di giorni, quando ormai era chiaro che di grandi eventi pubblici non ce ne sarebbero stati almeno sino alla fine dell’anno.

L’esibizione di Travis Scott, in un certo senso, è l’ennesimo traguardo raggiunto da un media a cui qualsiasi definizione sta puntualmente stretta, proteso com’è a varcare nuove soglie, desideroso di appropriarsi di nuovi linguaggi, determinato ad inglobare cinema, letteratura, musica, eventi dal vivo.

Sì, perché se finora il teatro ha resistito fieramente, trincerandosi dietro l’imprescindibile performance dal vivo, quella pur mediata del rapper americano ha tuttavia scalfito persino questo principio aureo.

Correndo a perdifiato per la mappa di Fortnite, inseguendo il gigantesco avatar di Travis Scott che danzava attorniato da un corpo di ballo di ologrammi, mentre una pioggia di fuoco incendia lo scenario; nuotando affianco al cantante, mentre si inabissava lentamente come un perfetto palombaro nel titanico acquario adibito per l’occasione; volando a velocità sostenuta in uno scenario vagamente lisergico, che aveva ben poco da invidiare al Tesseract di Interstellar, ci siamo accorti tutt’un tratto che non si stavamo più giocando a Fortnite, ma che eravamo nel bel mezzo di un evento collettivo mai visto prima, che, in qualche modo, ballavamo davvero insieme ad un modello poligonale di ragguardevoli dimensioni che, probabilmente, non calcolava nemmeno l’effettiva presenza dell’avatar controllato dal giocatore.

Il concerto di Travis Scott non può certo definirsi interattivo nel vero senso della parola, eppure lo straniamento provato una volta terminato l’evento, ricondotti bruscamente ad una normalità fatta di armi da raccogliere e nemici da combattere, è sintomatico della riuscita dell’esperienza.

Sì, perché è impossibile non volerne ancora e di più. Se le esibizioni di Marshmello hanno grattato solo la superficie, in questo caso è stato lampante come eventi del genere possano funzionare, concentrando un ampissimo pubblico, non per forza direttamente interessato all’artista di per sé.

Difficile, giusto per intenderci, che tutti i 12 milioni di videogiocatori che hanno partecipato alla prima data del tour virtuale fossero fan di Travis Scott.

Ecco perché Epic Games si sta già famelicamente leccando i baffi, nella posizione di scegliere con tutta calma il prossimo partner commerciale a cui prestare il suo gioco, il suo spazio virtuale, il suo servizio di aggregazione digitale.

Probabilmente nel nostro immediato futuro ci sarà ancora vietato di partecipare a concerti, di andare al cinema, di goderci uno spettacolo dal vivo. Fortnite, in qualche modo, potrebbe sopperire a questa necessità, anche a patto di essere più o meno ignari spettatori di pirotecnici spot pubblicitari del futuro.

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