Fortnite: tira più un buco nero che le critiche di chi non lo ha mai giocato sul serio
Eppure, al di là dell’efficacissimo contesto, lo stesso che lo renderebbe persino un eccelso racing game, Fortnite è persino un gioco eccelso
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
I motivi sono molteplici, la maggior parte dei quali, a dire il vero, contingenti all’esperienza ludica in sé e per sé. Epic Games, con una sovrannaturale capacità di fiutare, interpretare e influenzare i trend che serpeggiano tra i più giovani, si è resa protagonista di un impronosticabile filotto, azzeccando una serie di scelte di design che hanno permesso alla sua creatura un successo senza precedenti.
[caption id="attachment_202108" align="aligncenter" width="1024"] Tra le novità di questo nuovo capitolo, la possibilità di pescare e di guidare imbarcazioni armate di tutto punto[/caption]
Eppure, a ben vedere, svariate stagioni dopo e a distanza di due anni dal fatidico switch di cui sopra, sembra ormai evidente a tutti che Fortnite, oggi come oggi, potrebbe anche essere un racing game, piuttosto che un emozionante battle royale, per funzionare ugualmente alla grande.
Innanzi tutto, la software house ha scelto con consapevolezza il suo target di riferimento, creando l’habitat più accogliente possibile per il suo pubblico potenziale. Apertura a tutte le piattaforme esistenti e nessun costo iniziale richiesto sono le solide basi su cui poggia un business model quanto mai elastico, proiettato in un presente in cui gli smartphone sono spesso il principale e unico device utilizzato dai giovanissimi per giocare.
" Le novità introdotte recentemente dal secondo capitolo, il nuoto, la pesca e il potenziamento delle armi, solo per citarne alcune, hanno ulteriormente approfondito un’esperienza già per sé estremamente trasversale"Laddove PlayerUnknown's Battlegrounds ha saputo attirare a sé tutti gli amanti del genere, Fortnite lo ha ampiamente surclassato non costringendo nessun genitore e nessun curioso, almeno sulle prime, a sguainare la carta di credito dal portafogli.
La semplificazione in termini di accessibilità prosegue naturalmente sul piano dell’art design dove forme semplici e colori sgargianti aiutano nell’identificazione dello scenario, caratteristica utile sia per rendere immediatamente riconoscibile il gioco anche a uno sguardo distratto, sia per incentivare lo scontro indiscriminato, rendendo più facile del solito l’individuazione degli avversari.
Non è naturalmente tutto qui. Nell’epoca in cui persino i giovanissimi sono attenti alle firme degli abiti che indossano, Epic Games ha posto enorme attenzione alla personalizzazione del proprio avatar, rendendo la feature la principale fonte di guadagno del gioco. Passi di danza e ormai famosissime skin, eliminati perk e progressione del personaggio, sono l’unico modo per distinguersi dalla massa. Oltre ad anellare vittorie su vittorie, non c’è altro modo per emergere che investendo, in tutti i sensi, sul look del personaggio, vera e propria medaglia al merito, da sfoggiare direttamente sul campo di battaglia, nonostante nessun avversario metterà realmente a fuoco la sagoma su cui sta aprendo ossessivamente il fuoco.
Eppure, al di là dell’efficacissimo contesto, lo stesso che lo renderebbe persino un eccelso racing game, Fortnite è persino un gioco sublime.
La mappa è sufficientemente variegata da costringere i giocatori a variare continuamente il proprio approccio alla battaglia. Il sistema di crafting integrato al gunplay è uno scarto stilistico che differenzia sensibilmente l’offerta di Epic Games da qualsiasi altro concorrente. Le novità introdotte recentemente dal secondo capitolo, il nuoto, la pesca e il potenziamento delle armi, solo per citarne alcune, hanno ulteriormente approfondito un’esperienza già per sé estremamente trasversale.
Del resto, questa inclusività, altro volano che rende il gioco appagante, è catalizzata da una parte dalla presenza di bot, che rendono più semplici e godibili le prime partite del neofita di turno; dall’altra da tutta una serie di piccoli obiettivi, realmente alla portata di tutti, che imprimono un minimo di progressione alla produzione e danno un senso anche alle battaglie più catastrofiche e sfortunate.
[caption id="attachment_202109" align="aligncenter" width="1024"] Ufficialmente questo nuovo capitolo di Fortnite è ancora in fase beta, segno che potranno esserci ulteriori novità e migliorie[/caption]
Non basta giudicare ciò che accade sullo schermo per capire appieno Fortnite e per comprendere la portata della sua rivoluzione culturale, processo certamente indirizzato ed animato da un pubblico mediamente giovanissimo, ma comprensibile ed analizzabile anche da chi osserva a distanza.
Del resto, parlando da ormai vetusto videogiocatore a vetusti videogiocatori, se ai nostri tempi ci è parso assolutamente sensato sacrificare decine di ore del nostro tempo libero solo per sviluppare un Charizard fino a livello cento, perché c’è chi trova così scriteriato osservare un buco nero digitale per un paio di giorni, in attesa di vedere come prosegue l’avventura?
Dopo un calo più che fisiologico nelle visualizzazioni su Twitch e negli introiti prodotti, Fortnite è tornato a macinare cifre da record a buon ritmo. Laddove le pure meccaniche di gameplay iniziavano a stancare il pubblico, è intervenuta la sottile, ma coerente struttura narrativa a rinvigorire il gioco, con un’apocalisse che non poteva che anticipare e presupporre un nuovo inizio.
E l’attenzione ai dettagli, alla ferrea programmazione e alla fidelizzazione del cliente, si evince anche da cose come queste. Niente male per un “semplice” battle royale per “bambini”.