In fondo al mar: perché amiamo i mostri marini al cinema?
Il cinema è ricco di mostri marini e creature leggendarie pronte a emergere dagli abissi. Perché ne siamo da sempre affascinati?
Un paio di storie da contar
“Vi voglio narrare una storia che parla del grande oceano blu! E di una sirena bellissima avvolta in un grande mistero laggiù!” cantano i marinai de La Sirenetta. La più affascinante delle creature marine affonda le sue radici nel mito e si tramanda nel tempo grazie alla noia e alla solitudine dei naviganti. L’idea romantica della vita del marinaio è in realtà spesso scandita da interminabili periodi di navigazione in mezzo al nulla, tra spazi angusti all’interno della nave e sconfinati orizzonti all’esterno. Il più delle volte, senza alcuna compagnia degna di nota. E non c’è niente di meglio di una storia per tenere occupata le mente di un lupo di mare. Chi dal pennone di maestra canta di affascinanti sirene non è molto diverso da Aragorn che intona la storia della dama Lúthien. Anche chi naviga è spesso un ramingo in terre selvagge, che canta di imprese e di amori per scaldarsi il cuore. “Ho un paio di storie da contar, un paio di mie avventure! Storie di balene e fiocinator, di donne ardite e di folli amor!” cantava Kirk Douglas in 20.000 Leghe Sotto i Mari. “Yo ho! Yo ho!” intonano i protagonisti di Pirati dei Caraibi con una bottiglia di Rum. Il mare e lo spazio rispecchiano da sempre la nostra idea di vastità e di ignoto, ma sul grande schermo le canzoni celebrano più le acque che i cieli. E da sempre l’umanità ama fantasticare tanto sulle forme di vita aliena quanto su cosa ci sia nelle profondità degli oceani. Di recente James Wan, al lavoro su Aquaman, ha ribadito il paradosso che è proprio il nostro pianeta a essere, ad oggi, fortemente inesplorato. Un’occasione ghiottissima che gli consentirà di infarcire l’Universo Cinematografico DC Comics di spaventosi e per nulla amichevoli mostri marini.
La superficie terrestre è fin troppo nota, ma cosa c’è negli abissi? Di fatto, siamo in grado di mappare aree e geolocalizzare elementi di una superficie che per il nostro pianeta è simile alla buccia di una mela. Il cinema ha sempre guardato alla polpa, ossia alle acque, con interesse. Tra i registi più legati al mare c’è sicuramente James Cameron, che con The Abyss ha girato un avveniristico atto d’amore per l’oceano e per i suoi tesori ricchi di vita, ripercorrendo in chiave fantascientifica l’idea delle civiltà sottomarine. Cameron mostra un incontro tra l’uomo e le creature marine che a tratti sembra richiamare Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. Sia gli extraterrestri che gli abitanti del mare si manifestano inizialmente con uno stratagemma tanto caro alla settima arte: i giochi di luce. Che siano in cielo o in acqua, le luci misteriose catturano la nostra attenzione spingendoci inevitabilmente a guardare in alto o in profondità. Sia i visitatori che gli esseri marini prendono sul finale il protagonista per mano, portandolo verso lidi dove potrà comprendere l'ignoto. E in entrambi i film esiste un elemento di mediazione tra la specie umana e quella aliena: la musica nel film di Spielberg e l’acqua in quello di Cameron. Gli extraterrestri di Incontri Ravvicinati si servono delle partiture musicali per comunicare con noi tanto quanto gli abitanti del mare di The Abyss utilizzano l’acqua come strumento di comunicazione. “Io credo che possano plasmarla e controllarla!” esclama Lindsley nel film, dopo aver osservato una colonna d’acqua mobile che riproduce le fattezze di un volto umano.
L’oceano è anche alla base di gran parte dell’attività di Cameron come documentarista, che lo ha visto immergersi fino a quasi 5000 metri di profondità non solo per filmare alcune sequenze di Titanic, ma anche per documentare minuziosamente lo stadio di conservazione del relitto in relazione all'ambiente marino. Cameron è più che mai convinto che il fascino del mare eguagli quello dello spazio: il documentario Aliens of the Deep, ambientato a grandi profondità, è un titolo che fa riflettere. E sono proprio le acque di Pandora gli scenari più attesi dei sequel di Avatar, per i quali il team creativo di Cameron sta sviluppando un vero e proprio ecosistema ricco di biodiversità. La chiave della vita sul nostro pianeta è proprio l’acqua, che è dunque l’habitat naturale per ospitarla e per vedervi prosperare gli ecosistemi più disparati. Il mare, nel nostro mondo come in altri, ha ancora più di “un paio di storie da contar”.
Un mare di mostri
Lo spazio non pullula soltanto di teneri E.T., ma anche di letali Xenomorfi. L’oceano non fa eccezione. Non vorreste imbattervi nelle feroci piovre mutanti di Deep Rising, diretto nel ’98 da Stephen Sommers, che attaccano la nave da crociera Argonautica facendo una vera e propria carneficina: ingoiano le proprie vittime intere per consumarne i liquidi e risputarle orrendamente spolpate, lasciandole morire tra atroci sofferenze. L’oceano sa essere misterioso quanto crudele e la legge del mare non è altro che l’esasperazione di quella della giungla. Lo ribadiva persino il buon Merlino ne La Spada nella Roccia: "Anche il mondo acquatico ha la sue foresta e le sue giungle, e così ha anche le sue tigri e i suoi lupi" asseriva il saggio mago nelle fattezze di un pesce. Il feroce luccio, che inseguiva il povero Semola, confermava la teoria. I mostri avranno anche i muscoli, ma gli eroi hanno il cervello, e per sopravvivere alle grinfie delle mostruosità più remote e diaboliche è necessaria una buona dose di materia grigia. Oltre, naturalmente, alla saggezza di darsela a gambe quando è l'opzione migliore. Il rischio di fare una pessima fine potrà anche venire da grandi profondità ma spesso va a caccia a pelo d'acqua.
Le creature nelle quali ci si può imbattere sono le più disparate, e spesso per non cadere nelle grinfie di un titano del mare non c’è che da sperare nella catena alimentare. “C’è sempre un pesce più grosso” sentenzia Qui-Gon Jinn in Star Wars: Episodio I mentre il mostro marino che lo insegue sul fondale di Naboo viene divorato da un predatore più grande. Talvolta, l’animale di turno non è un mostro marino in senso stretto, ma lo diventa per via della problematica che pone: da Lo Squalo di Spielberg, passando per innumerevoli prodotti derivati e collaterali fino a Blu Profondo di Renny Harling, i predatori del mare danno filo da torcere all’uomo per potersi nutrire o perché vittime di qualche genere di intrusione nel loro habitat o nella loro natura. Idee che il cinema ha spesso stiracchiato a scapito del loro fascino iniziale: gli squali sono sempre più grandi e anche il resto della variegata fauna marina, se violentata dagli esperimenti dell’uomo, può mutare in maniera esponenziale e per nulla amichevole. Che sia uno squalo mutante o l’Indominus Rex, il mostro di turno è destinato a sfuggire al controllo di chi lo ha creato. E lo shark movie, a più di quarant'anni dal successo spielberghiano del ’75, è divenuto il più inflazionato dei filoni, spaziando da Tintorera di Reeé Cardona Jr. del 1977 alle ultime demenziali follie della serie di Sharknado, tanto paradossali quanto riuscite proprio perché mirate a ridicolizzare l’esasperazione di un genere.
Più interessanti sono i casi di specie acquatiche potenzialmente esistenti in natura ma puramente ipotetiche o ritenute estinte. E' un espediente che si presta alle creature marine quanto agli animali di laghi e fiumi: dal coccodrillo di Lake Placid, al mostro di Loch Ness ai piranha di innumerevoli thriller di stampo survival. Il Megalodonte, famoso nello scult Shark Attack 3: Megalodon, è un vero gigante del mare del passato che non si vede in giro da un bel po' di tempo. Un po' come il Mosasauro, che a qualche decina di milioni di anni dalla sua estinzione viene clonato e geneticamente modificato per intrattenere il pubblico del Jurassic World. Non a caso, la gigantesca bestiola divora proprio uno squalo: un pizzico di iconoclastia può anche omaggiare il papà del franchise.
Leviatani e pesci fuor d'acqua
Tra le ipotesi più fantasiose trova ampio spazio l’ibrido tra la nostra specie e la fauna marina, come lo squalo umanoide del film tv Creatura, diretto da Stuart Gillard e tratto dal romanzo Squalo Bianco di Peter Benchley. Il mostro del titolo è una fusione tra il più feroce dei predatori marini e la specie umana, frutto degli spregiudicati esperimenti del dottor Ernest Bishop. A conti fatti, è una sorta di Street Shark dal pessimo carattere. E a proposito di ibridi umano-marino, tra i più interessanti c’è il Mariner di Kevin Costner, che in Waterworld mostra delle branchie dietro le orecchie. “Mutazione!” urlano indignati gli abitanti dell’atollo prima di rinchiuderlo in gabbia. La vita ha trovato il modo: le acque ci hanno sommerso e gli effetti sulla biodiversità marina sono etichettati come scherzi della natura. “Dobbiamo catturare quello sgorbio ittico!” sentenziava il perfido Diacono di Dennis Hopper. Ma il mutante vende cara la pelle.
Gli ibridi più classici restano la sirena e il tritone: non sono esperimenti ma creature mitologiche, pronte a dare filo da torcere tanto a Ulisse quanto a capitan Sparrow a Whitecap Bay. La sequenza con le sirene è forse la più riuscita del quarto e meno efficace capitolo del franchise piratesco con Johnny Depp. Ma le belle e feroci abitanti del mare vengono inevitabilmente dopo il Kraken. “Ciao, bestiolina” sussurra Jack davanti alle fauci del gigantesco leviatano. Non è lo stesso mastodontico mostro sguinzagliato da Liam Neeson in Scontro tra Titani, ma è sufficiente a trasportare Sparrow nello Scrigno di Davy Jones, un’isola ai confine tra il regno dei vivi e quello dei morti, dove tutti coloro che non saldano i debiti col diavolo del mare sono destinati a impazzire.
Ne La Sirenetta, oltre ai simili di Ariel, Disney ha magnificamente giocato sulla natura spregiudicata di Ursula per regalarle un design ricco di significato. Da perfida santona dei disperati, la strega del mare richiede dei pagamenti impossibili da onorare e avvinghia le proprie vittime proprio come una piovra. I suoi tentacoli sono un’allegoria dell’usura di cui la malvagia strega si serve per scalare il potere: una volta caduti nelle sue trappole contrattuali, se ne resta invischiati per sempre. Basta guardare il suo “giardinetto di primizie”, nel quale ha rinchiuso gli sfortunati debitori. E persino nelle fattezze umane Ursula è maestra nell'incastrare a vita le proprie vittime: sulla terraferma, il terrificante contratto che tenta di siglare ai danni del Principe è proprio quello di matrimonio.
Dalle sirene fino alle civiltà subacquee, l’ipotesi di una vita intelligente al pari di quella umana è sicuramente la più suggestiva. E dunque, come spesso accade, è la meno accreditata. YouTube pullula di migliaia di bufale, improbabili avvistamenti e fantomatiche creature “caught on camera” credibili come noci di cocco al Polo Nord. Al pari degli avvistamenti alieni, siamo attratti da questo genere di video più per scoprire l’inghippo che per porci il problema della loro autenticità. La diffusione di tecnologie digitali a costi relativamente ridotti, combinata all’abilità dei videomaker, ha generato il mostro marino più grande: il pesce d’aprile permanente. “Vedere per credere” non basta più, e la coscienza critica resta l’arma suprema della nostra indipendenza di giudizio. E' molto meglio stare al gioco del buon vecchio cinema, che pullula di una vasta fauna di pellicole incentrate su mostri acquatici senza spacciare le proprie bestiole come autentiche. Da Il Mostro dei Mari di Robert Gordon a La Creatura del Mare Fantasma di Roger Corman (che a tratti sfotte spudoratamente Il Mostro della Laguna Nera del 1954), passando per Tentacoli di Oliver Hellman (pseudonimo del greco Ovidio Gabriele Assonitis), i mostri marini hanno rappresentato, epoca dopo epoca, il gusto dei cineasti per il sensazionalismo, l’entertainment e lo spettacolo. Che abbiano allestito improbabili baracconi o avvincenti monster movie, la regola d’oro dei registi è stata quasi sempre quella di mostrare la bestia con parsimonia, portando il pubblico all’apice di un climax che spesso coincide con lo scontro finale. Il più delle volte, la sconfitta del mostro è anche la spettacolare fine di un duello. Non è un caso che l’effetto sonoro durante la morte dello squalo del film di Spielberg sia lo stesso usato in precedenza per la fine del diabolico conducente del camion di Duel.
Anche Guillermo del Toro ha ribadito il concetto che l’oceano può essere il primo scenario delle ipotesi più fantascientifiche. Tuttavia i suoi Kaiju di Pacific Rim, pur venendo dal mare, non sono mostri marini, ma alieni fuoriusciti da un'altra dimensione attraverso un portale apertosi nelle profondità del Pacifico. La breccia è l'ingresso di un nuovo mondo, non l'imboccatura di una grotta nella quale dimorano esseri sopravvissuti da tempi ancestrali. Spiace che oltre al sequel di Pacific Rim si sia arenato da anni anche il progetto di Alle Montagne della Follia: il ciclo di Cthulhu è uno degli esempi più efficaci di cosmogonia legata al mito di un essere semi-divino che dimora proprio nelle profondità marine. Anche il mostro di Cloverfield viene dal mare, e un gustoso mix di marketing virale e indizi nascosti ha fatto luce sulla sua possibile origine. Più complesso è il caso di Godzilla: più che legato ai misteri degli abissi, il buon vecchio Gojira è l’allegoria di un mare di significati cari all’unico popolo che ha ricevuto in testa due bombe atomiche. Anche l’uomo, di rimando, è in grado di costruire i suoi mostri marini, a partire dai sottomarini nucleari dei quali nessuno sembra mai preoccuparsi. “Professore, somiglia al mostro!” esclamava Peter Lorre alla vista del Nautilus in 20.000 Leghe Sotto i Mari. Dal sottomarino del Capitano Nemo alla moderna tecnologia militare, abbiamo creato i nostri giocattoli dai denti aguzzi. "Per combattere i mostri abbiamo creato altri mostri" si sente nel prologo di Pacific Rim. E spesso, la tecnologia può rivoltarsi contro di noi. “Un mostro marino ha mangiato i miei gelati!” urlava disperato Zio Paperone in un episodio di DuckTales: apparentemente, una gigantesca orca assassina aveva divorato i carichi di denaro contante che Paperone faceva trasportare per nave, mascherandoli come carichi di gelati per depistare i tentativi di sabotaggio. Eppure, la belva non era che un gigantesco sottomarino a forma di cetaceo, governato da uno scienziato pazzo al soldo del perfido Cuore di Pietra Famedoro. E un altro degli episodi più celebri della leggendaria serie dei paperi vedeva la squadra imbattersi nella perduta città di Atlantide, con tanto di abitanti anfibi e di una gigantesca creatura a protezione della città.
Più fiabeschi e conditi di elementi onirici sono i mondi subacquei di Hayao Miyazaki in Ponyo sulla scogliera e di Tomm Moore in Song of the Sea. Entrambi celebrano il mare non in chiave mostruosa ma salvifica: sia Miyazaki che Moore sono nativi di due isole, e i loro film rispecchiano alla perfezione la cultura insulare di Giappone e Irlanda. E' un’ulteriore riconferma che l’oceano può essere un mondo di incubi o di meraviglie a seconda dello sguardo di chi ne celebra la vastità. “Stessa storia diverse versioni, e sono vere tutte!” esclamava Tia Dalma in Pirati dei Caraibi - La Maledizione del Forziere Fantasma: la verità, per un pirata, è il punto di vista di cui ha bisogno sul momento. Ma la verità, per tutti noi, è che non ci stuferemo mai dei mostri marini finché saranno un concentrato di significati nascosti unito al pregio di essere vistosamente appariscenti. La famigerata sfida tra uomo e natura rischia di perdere di appeal se non si dà un volto credibile a entrambi i contendenti. E nel variegato panorama dei mostri, chi meglio di chi dimora nelle profondità degli abissi può mettere alla prova le nostre certezze?